Aspettando il Salone del Mobile. Partiamo dagli scarti: Paolo Ulian, una bella storia di design italiano

Da alcuni anni, ogni volta che si avvicina il Salone del Mobile con la sua marea montante d’inviti via email, posta imbustata nelle più stravaganti e costose dimensioni, sollecitazioni a partecipare, guide lunghe-corte dei vari magazine a “quello che non si può assolutamente perdere”,  sento montare dentro di me uno strano sentimento misto tra il fastidio crescente e l’inevitabile curiosità da “addetto ai lavori”. Il Salone è un evento impressionante nei numeri, se pensate che ogni anno porta in quattro giorni più di 300.000 visitatori in una città che ne conta poco più di un milione, generando centinaia di grandi e piccoli eventi che agitano Milano con la loro forza molecolare, immergendo chiunque ne abbia voglia in un divertente turbillon di mostre, cocktail, feste, case aperte, eventi, happening che in questi anni sono cresciuti esponenzialmente malgrado la crisi dando vita a uno strano scenario che fluttua pericolosamente tra la produzione più esclusiva e sofisticata alla deriva da fiera della salamella.

Il fastidio probabilmente è dato dalla sensazione che la maggior parte delle cose che si vedono e incontrano non danno alcuna risposta o visione rispetto ai tempi reali che viviamo. Sembra, da una parte, di essere immersi in un gigantesco falò delle vanità in cui bruciare risorse e immagini per tenere vivo il moloc produttivo del design italiano che è, ancora, una delle risorse economiche rilevanti del nostro Paese. Ma dall’altra, l’unicità assoluta del Salone e soprattutto dei suoi eventi laterali e indipendenti, ci offre un panorama di giovani autori e di ricerche in corso da guardare e cercare con attenzione, per cogliere alcuni leggeri afflati di quello che potrebbe essere in quel mondo degli oggetti e delle cose che popola inevitabilmente la nostra vita.

In questi giorni proverò a postare alcune mappe e tracciati utili alla ricerca di queste strade possibili, ma oggi vorrei cominciare con un breve ritratto di un autore italiano che, con quello che fa da anni, sembra offrire alcune delle risposte che dovremmo tutti cercare.

Il designer in questione è Paolo Ulian, uno dei migliori progettisti italiani in circolazione, classe 1961, nato e formatosi a Massa Carrara e poi, come la maggior parte dei designer nostrani (direi il 95%) si trasferisce a Milano nel 1990 per cominciare una breve formazione nello studio del “mitico” Enzo Mari che si conclude nel 1992 quando apre il suo studio indipendente.

Vorrei però fare una precisazione importante, io non sono un critico di design, mondo a cui mi avvicino via-architettura e che ho sempre guardato con grande curiosità per la capacità incredibile di produrre oggetti e piccole forme che popolano la nostra vita riuscendo a renderla, a volte, più gradevole, curiosa, interessante, e insieme capaci di insegnare a chi li usa a vivere in maniera leggermente diversa e più consapevole.

Io sono tra quelli che credono che ogni oggetto che pensiamo e produciamo abbia un valore politico nella realtà, ovvero che non basti una bella, sinuosa forma per rendere importante una cosa, ma che il suo valore simbolico, sociale, i messaggi che può portare con sé in maniera semplice e immediata, abbiano un enorme importanza nella nostra vita e questo porta immediatamente alla necessità che il progettista sia consapevole del suo ruolo e di quello che ci offre.

Quando io leggo i capitoli del breve, asciuttissimo sito di Paolo Ulian trovo frasi come: tracce, scarti/riciclo/recupero, accortezze costruttive, etica, aggiungere funzioni, buona forma, osservare comportamenti.

Quindi apro queste cartelle ed entro in un mondo magico e potente in cui ogni oggetto pensato, progettato e realizzato risponde coerentemente ai titoli di partenza, in cui gesto creativo e pensiero responsabile si compongo con grazia, intelligenza e una sottile, sanissima ironia.

Paolo Ulian viene da Carrara e dalle sue cave di marmo, da un mondo antico di mestiere e perizia artigianale in cui ogni strumento da utilizzare e ogni frammento di materia erano importanti e sacri, arte che sembrava essersi persa in questi ultimi anni, con l’impoverimento delle vene marmifere e l’incapacità di rinnovare il pensiero sulla produzione.

E in questi anni Ulian sembra essersi preso la responsabilità di ripensare il marmo nel suo uso più elementare e quotidiano partendo da una basilare presupposto di base: consumare la quantità minima di materia, non produrre scarti e fare in modo che ogni frammento di marmo diventi occasione preziosa da non sprecare. Il lavoro su questa materia diventa un potenziale laboratorio etico e sperimentale da applicare a ogni altra materia possibile perché troppo spesso non consideriamo che per ogni pezzo prodotto esiste una quantità due/tre volte superiore di scarti che concorrono alla sua realizzazione.

E anche partendo da questa logica tradizionale, contadina (del maiale non si butta via nulla) da applicare al mondo della produzione degli oggetti su scala anche industriale, che si possono stabilire le regole con cui ripensare alla dimensione etica, civile del buon design dove lo scarto diventa materia di progettazione consapevole che impegna il designer in un pensiero “diverso” e le imprese in una modalità produttiva che ha anche evidenti ricadute positive dal punto di vista economico (spreco materia, smaltimento…).

Riporto solo alcuni esempi dei lavori di Ulian rimandandovi alla scoperta delle altre opere sul suo sito:

Honeycomb – Tavolino – Edizione F65  – 2010: Realizzato utilizzando un unico foglio di Honeycomb di alluminio di 1250 x 2500 mm. L’Honeycomb è un sandwich di due fogli di resina con all’interno un alveolare di alluminio, solitamente è usato all’interno delle imbarcazioni da diporto per alleggerire il marmo dei rivestimenti. In questo caso è stato utilizzato per le sue qualità strutturali ed estetiche. Il foglio è stato diviso in due metà successivamente accoppiate tra loro. Sulla metà inferiore sono stati praticati dei fori  i cui scarti,  assemblati verticalmente, vanno a costituire  le gambe del tavolo. Per la sua realizzazione non viene prodotto  alcuno scarto di materiale lavorato.

Autarchico – Le Fablier 2011: Tavolini realizzati in marmo bardiglio o marmo bianco di Carrara. Il piano di ciascun tavolino è ottenuto assemblando in modo sfalsato tre sottili lastre di marmo forate con tecnologia waterjet secondo un disegno astratto. La foratura e la sovrapposizione danno luogo ad un particolare effetto di profondità. I pezzi di risulta derivati dalla foratura dei piani, usualmente scartati, vengono qui impilati a costruire le gambe dei tavolini.

Poltroncina Matriosca Modello 2008: La  struttura di questa poltroncina é composta dalla sovrapposizione di 10 sedie in plastica di produzione industriale.  All’ occorrenza  può essere scomposta in altrettante parti per offrire agli ospiti sedute di altezze diverse .

Double Match – Fiammiferi, Modello –  2001: Fiammifero con due teste infiammanti in modo da poterlo utilizzare due volte, un po’ come facevano le nostre nonne che non gettavano il fiammifero dopo averlo utilizzato una prima volta, ma lo riutilizzavano ancora per trasportare il fuoco da un fornello all’altro.

Una seconda vita – Centrotavola in ceramica. Modello realizzato per la Biennale di Ceramica di Albissola 2006: Attese Edizioni – 2009: I piccoli fori a tratteggio delineano all’interno del centrotavola una serie di forme ellittiche che in caso di rottura potrebbero “salvarsi” e quindi, svincolarsi dal contesto del centrotavola acquisendo una propria autonomia di piccole ciotole. La rottura accidentale può trasformarsi così da evento negativo a evento generatore di nuovi stimoli e nuove realtà. Mi piace pensare che questo oggetto possa essere un sorta di ammonimento a non disfarsi delle cose con troppa facilità, nemmeno quando, apparentemente, sono solo dei cocci.

Paolo Ulian, tavolino Autarchico, kit pezzi da utilizzare

Io non so cosa Paolo Ulian porterà a questo nuovo Salone, ma voglio sperare che tanti altri giovani designer arrivino a guardare allo scarto come a una straordinaria materia poetica, produttiva e civile con cui dare risposte sensate e importanti al mondo degli oggetti che popoleranno la nostra vita nei prossimi anni.

Buon Salone 2012 a tutti!

Luca Molinari

Luca Molinari, storico e critico d’architettura, vive a Milano ma da qualche anno è professore ad Aversa presso la facoltà di architettura. Cura mostre ed eventi in Italia e fuori (Triennale Milano, Biennale Venezia, FMG Spazio e molto altro). Scrivere per lui è come progettare, e l’architettura è la sua magnifica ossessione. Dirige www.ymag.it sito indipendente di architettura e design