Apple e i suoi fedeli

E così anche la messa laica che un paio di volte ogni anno Apple celebra dalle parti di San Francisco ha la sua chiesa. Un teatro rotondo avveniristico e un po’ angosciante che, come è logico, è stato intitolato al fondatore Steve Jobs. Se qualcuno scendesse al keynote di Apple da una foresta impenetrabile della Papuasia forse penserebbe che in quel luogo si stia tenendo il rito misterioso di una setta di invasati. Lo spettacolo, che come ogni volta va in onda di prima mattina, inizia e termina con grandi immagini del fondatore mentre un commosso Tim Cook legge o fa ascoltare alcune sue frasi cariche di pathos a un uditorio silenzioso e attento. Le ascoltiamo anche noi, in diretta streaming in giro per il mondo. Le due ore di intrattenimento che legano una simile celebrazione laica di san Steve sono tecnicamente pubblicità aziendale e presentazione di nuovi prodotti ma, come al solito, agli occhi di molti – compresi i nostri – quello spettacolo sembra tutt’altro. È questa, intanto, una delle magie che Apple conferma negli anni: incarica noi, i suoi clienti più affezionati, della conservazione del mito, della sua testimonianza via Twitter o di bocca in bocca. Ci convince della necessità assoluta di seguire con minuziosa attenzione la presentazione del gadget tecnologico che dalla serie 2 sta passando alla serie 3, fra gli ohh di ammirazione e gli urletti da concerto rock dei presenti mentre sul palco un dirigente dell’azienda con la camicia fuori dai pantaloni illustra le nuove meraviglie del giroscopio che la serie 3 offrirà. Noi ovviamente, da questa parte dello schermo, ci sentiamo superiori al pubblico di Apple Park, allunghiamo il nostro occhio critico, verghiamo un “non funzionerà” su Twitter, ma restiamo in ogni caso in allerta e concentrati, con gli occhi e le orecchie verso quel palco. Talvolta del resto la realtà può essere leggermente imbarazzante.

Perché questo avviene? Perché siamo disposti a sfidare il senso del ridicolo e le sacrosante rampogne della grande maggioranza dei nostri compagni di viaggio, i quali pensano, e molto spesso energicamente ci dicono, che Apple ci sta elegantemente prendendo in giro (riuscendoci per altro benissimo)? Perché riserviamo a quell’azienda attenzioni che non concederemmo a nessun altro? Perché siamo disposti a fare un’eccezione al nostro usuale fastidio per la pubblicità stupida e invasiva che assale le nostre vite da ogni lato?

Immagino che ognuno di noi avrà risposte in qualche misura differenti. Quello che però forse riunisce molti fanatici (come me) che frequentano da anni le presentazioni Apple come fossero – davvero – messe laiche alle quali ci si presenta puntuali e con il vestito della festa, riguarda, credo, una certa idea di complicità che quell’azienda molti anni fa ha saputo creare e che ancora in parte mantiene. Parti sempre più rilevanti delle nostre vite lavorative, del nostro tempo libero, delle nostre relazioni con gli altri sono oggi mediate da terminali elettronici. Potremo ovviamente imputarli (loro e noi con loro) di qualunque malefatta; litigo io per primo ogni giorno con mia figlia il cui sguardo è per troppe ore al giorno assorto dentro lo schermo del suo iPhone, ma se saremo onesti con noi stessi non potremo ignorare il ruolo culturale e di relazione che quegli oggetti hanno docilmente portato a un passo da noi. È il famoso incrocio fra tecnologia e arti liberali di cui Jobs parlava molti anni fa. Un incrocio che per molti anni e in parte ancora oggi Apple ha presidiato con grande talento e intelligenza mentre tutti gli altri suoi concorrenti si occupavano d’altro.

Non tutto va bene, i tempi cambiano, noi diventiamo vecchi, e acidi eccetera eccetera. Apple stessa magari non è più troppo in forma; aggiunge alle sue messe patetici siparietti come quello, molto criticato ieri, in cui qualcuno in azienda ha immaginato che gli Apple Store possano diventare domani le nuove piazze delle nostre città. Una retorica pubblicitaria davvero finta e improbabile, così che in momenti del genere a noi piace pensare che se ci fosse ancora Jobs simili stupidaggini sarebbero state brutalmente cassate sul nascere.

Ma al di là di questo per molti di noi, per me almeno, il senso di complicità rimane ed è inevitabile e resterà fino a quando qualcuno non occuperà quello spazio culturale, quel bivio, meglio di quanto non abbia fatto Apple in questi anni. Poi certo tutto il resto è teatro, costruzioni circolari in vetro cemento, braccialetti di Hermes, gridolini del pubblico e amenità varie.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020