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  • Martedì 10 aprile 2012

Andrea Camilleri da Gogol a Google

di Emanuele Nenna – @emanuelenenna

La pubblicità, l’abbiamo detto nel nostro primo post, riguarda un po’ tutti e tutto. Perché la pubblicità raccoglie e rielabora (a volte bene altre male) ciò che accade alla comunicazione intesa in senso più allargato. Se per molti è blasfemo pensare che la pubblicità possa (e secondo me debba) attingere pensiero e idee da altre forme di creatività (decisamente più “alte”), per me non lo è.

Grazie alla disponibilità della rivista ADV Strategie di Comunicazione, l’anno scorso ho avuto l’opportunità di chiacchierare proprio di creatività, linguaggi e comunicazione con personaggi straordinari. E oggi voglio iniziare a ripescare tra le loro parole per presentarvi una versione inedita (e spero interessante) dei loro pensieri. Tagliando solo quelle parti troppo da “addetti ai lavori” della pubblicità, poco adatte a un blog come questo. Come immaginerete se avete letto il titolo di questo post, voglio iniziare dal grande Andrea Camilleri. Prima di tutto una cattiva notizia: non ci capiterà mai di imbatterci in un blog a firma del Maestro. Ma non perché Camilleri sia un reazionario, anzi…

«(internet) la trovo sinceramente una grandissima conquista. Io penso che veramente tutto ciò che comporta un allargamento della comunicazione sia una conquista di cui ancora non ci rendiamo conto. Sono più che sicuro per esempio che tutto quello che è successo in Africa*, questa sorta di miccia accesa non ci sarebbe stata senza questi potenti mezzi di comunicazione, non con questa velocità di accensione».

E allora perché lui non c’è?

«Lo sa? Ho 85 anni e mezzo!»

Lasciando da parte le nuove tecnologie, mi ha molto affascinato quello che Camilleri mi ha raccontato a proposito del difficile connubio tra creatività e razionalità. In pubblicità (in teoria) si deve usare la creatività per passare messaggi molto precisi. I pubblicitari non sono artisti, hanno paletti precisi da rispettare e un obiettivo da raggiungere. E i veri artisti, si sentono imbrigliati dalla razionalità?

«Tutt’altro. Può darsi che sia un’eredità dell’aver fatto teatro. Cioè a dire: per chi fa teatro i limiti nei quali far muovere i personaggi sono fondamentali, sono condizionanti, perché tu ti trovi dentro a uno spazio scenico che è la lunghezza, la larghezza, la curvatura del palcoscenico in cui ti devi muovere e che tu cominci a modificare con un sistema scenografico. È lì che avviene la decisione di come far muovere i personaggi all’interno di questo spazio. Questo, che era un problema registico (che poi si tramuta in un tema scenografico) è lo stesso sistema, lo stesso metodo che mi sono portato appresso quando ho iniziato a scrivere romanzi».

E grazie a questa influenza del teatro, mi ha raccontato il Maestro, prima di iniziare a scrivere disegna una vera e propria architettura del suo romanzo, molto precisa, da cui nasce un plot sintetico (tutto a memoria, non scrive appunti!). Solo alla fine prende la penna e libera la sua arte per dare corpo a tutta l’opera. O meglio, alle opere, visto che stiamo parlando di un autore che spazia dal cinema alla tv, dal teatro alla letteratura. Un artista eclettico. Per disciplina e per genere. Ero curioso di capire se ci fosse un motivo in questa varietà. E Camilleri mi ha spiegato.

«Certo, il motivo è semplice: la voglia di continuare a sperimentare e sperimentarsi. Che è anche una delle principali spinte a scrivere. Una volta che si è trovato un meccanismo ben oliato e che funziona si tende a far funzionare sempre quello. Ma così è un po’ noiosa la questione, non crede?»

Credo, credo. E approfitto dell’occasione per togliermi una curiosità, chiedendo a Andrea Camilleri chi sia il suo “collega” preferito.

«Gogol, che non è Google. E tra gli italiani Alessandro Manzoni».

Non voleva dirmelo, ma l’ho convinto a sbilanciarsi anche su scrittori contemporanei, e mi ha citato soltanto un titolo: Horcinus Orca di Stefano D’Arrigo, «uscito un po’ di tempo fa e poi purtroppo subito dimenticato. Uno dei più grandi romanzi del Novecento».
Io mi fiderei…

*Il riferimento è alla Primavera araba

Foto: La Presse

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