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  • Venerdì 10 settembre 2021

La Cassazione ha stabilito che sul crocifisso in aula devono decidere le scuole

Con una sentenza ha detto che non può essere obbligatorio, ma non è nemmeno discriminatorio verso chi non lo condivide

(Emanuele Cremaschi/Getty Images)
(Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha stabilito che, pur non essendo obbligatoria, l’affissione del crocifisso nelle scuole pubbliche non può essere ritenuta un atto di discriminazione nei confronti di chi non la condivide. La Cassazione ha stabilito anche che ogni scuola deve decidere in autonomia se esporre o meno il crocifisso, e che la decisione deve essere il frutto di un «ragionevole accordo» tra le parti che abbiano eventuali posizioni diverse.

La questione dell’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche, che è ancora regolata da norme degli anni Venti, è da tempo molto discussa. Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione (sentenza numero 24414) riguarda un istituto professionale statale di Terni, in Umbria. Qualche anno fa, un professore si era opposto all’ordine del dirigente scolastico di esporre il crocifisso nelle aule: ogni volta che faceva lezione, il professore toglieva il crocifisso dal muro, per poi rimetterlo quando usciva dall’aula.

Il professore in questione, che era stato sanzionato perché non rispettava la disposizione del preside e si rifiutava di fare lezione con il crocifisso appeso al muro, aveva fatto ricorso chiedendo un risarcimento, dicendo che si era sentito discriminato. Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione, che ha quindi esaminato l’incompatibilità tra l’ordine di esporre il crocifisso da parte del preside e la libertà di coscienza del professore in questione.

I giudici della Corte di Cassazione hanno sostanzialmente dato torto sia al professore che al preside.

La sentenza dice infatti che l’esposizione del crocifisso – considerato un simbolo legato alla tradizione culturale del popolo italiano – non può essere intesa come un atto di discriminazione, perché è un simbolo passivo che non comporta alcun atto di adesione da parte degli insegnanti e non ne limita la libertà di insegnamento né quella di esprimere le proprie convinzioni sullo stesso crocifisso.

Allo stesso tempo, però, i giudici hanno stabilito che la circolare che ordinava di esporre il crocifisso nelle aule della scuola era illegittima, perché l’esposizione del crocifisso non può essere imposta, ma deve risultare da un percorso di confronto e mediazione tra le diverse parti all’interno di ogni istituto scolastico. Gli istituti, dice la sentenza, possono decidere in autonomia se esporre o meno il crocifisso, ma la decisione deve originare da un «ragionevole accomodamento» tra eventuali posizioni difformi, e deve essere una «soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità».

In altre parole, la sentenza dice che sull’esposizione del crocifisso bisogna mettersi d’accordo, senza imporlo né considerarlo un atto discriminatorio.

– Leggi anche: I valdesi contro il crocifisso nelle scuole

Per giungere a queste conclusioni, i giudici della Corte di Cassazione hanno applicato i principi della Costituzione sulla laicità dello Stato e sulla libertà di pensiero ed espressione alle norme esistenti che regolano l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche in Italia.

Come sottolineano gli stessi giudici, mancando una legge più recente del Parlamento, l’esposizione del crocifisso è ancora regolamentata da norme risalenti agli anni Venti, approvate durante il Fascismo (la prima legge a cui si fece riferimento in questo senso fu la cosiddetta «legge Lanza» del 1857, preunitaria), che prevedono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche e che devono essere però interpretate alla luce dei principi costituzionali sulla laicità dello Stato, per cui il crocefisso non può essere imposto.

La sentenza della Corte è l’ultima di una serie di altre che hanno affrontato la questione dell’esposizione dei crocifissi nei luoghi pubblici, che in Italia è discussa da diversi anni.

La più nota è forse quella del 2011 della Grande Camera della Corte europea per i diritti umani (CEDU) – composta da 17 giudici che si occupano dei casi più complessi – che ribaltò un precedente verdetto della Corte europea. Nel 2009 la Corte europea aveva infatti stabilito che l’esposizione del crocifisso violava la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni. Il governo italiano fece ricorso e la Grande Camera gli diede ragione, stabilendo che l’esposizione del crocifisso nelle scuole non potesse essere considerato un elemento di «indottrinamento» o una violazione dei diritti umani.