La disputa sulle nocciole in Italia

La coltivazione si sta espandendo molto per consentire la produzione di Nutella, ma secondo alcuni agricoltori e associazioni ambientaliste è un rischio

(EPA/MEHMET KACMAZ)
(EPA/MEHMET KACMAZ)

Da una parte ci sono agricoltori, associazioni ambientaliste, spesso amministrazioni locali. Dall’altra, una delle più grandi aziende italiane, associazioni di produttori, altri agricoltori. Motivo del disaccordo è la coltivazione della nocciola, che in alcune regioni d’Italia sta diventando intensiva, scalzando le altre coltivazioni per consentire alla Ferrero di produrre Nutella con nocciole italiane. Questi cambiamenti creano notevoli divisioni tra agricoltori, associazioni di categoria e ambientalisti.

La zona più interessata da questo fenomeno è l’Alta Tuscia, nelle terre attorno al lago di Bolsena, in provincia di Viterbo. Ma il problema, che le associazioni ambientaliste definiscono come uno stravolgimento dell’ecosistema, tocca anche l’Umbria e va dal lago di Vico fino alla Maremma. In queste zone molti agricoltori stanno trasformando le proprie coltivazioni per dedicarsi a quella, intensiva, delle nocciole. Il motivo? La Ferrero (che è presente in 170 paesi, ha 94 società e 25 stabilimenti produttivi) ha bisogno di nocciole, sempre di più, per soddisfare l’enorme produzione di 400.000 tonnellate all’anno di Nutella e ridurre la dipendenza dalle coltivazioni di nocciola all’estero, in particolare in Turchia.

Il progetto con cui la Ferrero ha deciso di intensificare la produzione italiana si chiama Progetto nocciola Italia e ha l’obiettivo di sviluppare 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleto, circa il 30 per cento in più dell’attuale superficie, entro il 2025. La provincia di Viterbo è una delle zone maggiormente interessate. Il risultato, secondo le associazioni ambientaliste, è però quello di modificare il territorio e innescare cambiamenti nell’ecosistema. In particolare le acque del lago di Bolsena, come già starebbe accadendo a quelle del lago di Vico, sempre secondo le associazioni rischiano di arricchirsi di fosfati e pesticidi che favoriscono la proliferazione dell’alga rossa, che riducendo l’ossigeno provoca la produzione di schiume rosse.

Dall’altra parte molti agricoltori sono attratti dal fatto che coltivare nocciole è relativamente semplice e vantaggioso: i noccioli danno frutti dopo 5 o 6 anni e la produzione continua inalterata per 40 anni con ottime rese economiche.

La Ferrero Hazelnut company, la divisione dell’azienda dedicata alla nocciola, si è sempre servita di nocciole provenienti dalla Turchia, dove si concentra il 70 per cento della produzione mondiale. Nella zona affacciata sul mar Nero, nelle cittadine di Ordu, Giresum, Aydindere, i noccioleti sono ovunque. In tutta la Turchia occupano 700.000 ettari. Tra Alba, la città della Ferrero, e questa zona il legame è strettissimo (Alba e Giresum sono gemellate).

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Se non ci fossero le nocciole turche la Ferrero avrebbe notevoli difficoltà a produrre la Nutella. Ma questo ha comportato anche problemi, e critiche. Il leader della Lega Matteo Salvini, che si era fatto fotografare spesso e volentieri mentre addentava una fetta di pane e Nutella (“Il mio Santo Stefano comincia con pane e Nutella, il vostro???”, scrisse su Facebook nel 2018), durante un comizio a Ravenna, nel dicembre 2019, disse: «La Nutella? Sapete che ho cambiato? Perché ho scoperto che per la Nutella usa nocciole turche, e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani, preferisco mangiare italiano, aiutare gli agricoltori italiani».

Ferrero era ed è il più grande utilizzatore di nocciole italiane. Il Lazio mette sul mercato circa 45mila tonnellate di nocciole l’anno, quasi tutte in arrivo dalla provincia di Viterbo, segue la Campania con 39mila (metà da Avellino e dintorni), il Piemonte con 20mila e poi la Sicilia. Troppo poco per garantire l’autosufficienza. Le nocciole turche sono quindi essenziali.

Nel 2019 la BBC pubblicò un’inchiesta, Is Nutella made with nuts picked by children?, secondo la quale molti dei lavoratori addetti alla raccolta erano bambini, soprattutto migranti, che lavorano molte ore per una paga misera (15 euro al giorno).  La Ferrero rispose alle domande della BBC. Bamsi Akin, general manager di Ferrero Hazelnut Company in Turchia, disse: «Stiamo cercando di fare il massimo sforzo per migliorare le pratiche con lo sviluppo di programmi di educazione e formazione. Il sistema è completamente pulito? Penso che nessuno potrebbe dirlo, ora. Ma abbiamo gli strumenti per monitorare la produzione dei nostri fornitori. E siamo sempre onesti nelle comunicazioni con i consumatori».

Ma non c’è solo questo. Dal gennaio 2019 sul mercato è arrivato un prodotto concorrente: la crema spalmabile Pan di Stelle, prodotta da Barilla, che si presenta come prodotta al 100 per cento con nocciole italiane.

È forse anche per tutti questi motivi che la Ferrero ha deciso di avviare il Progetto nocciola Italia. L’obiettivo è accorciare la catena di approvvigionamento promuovendo la produzione locale. Ferrero inoltre ha detto che l’ampliamento si concentra in aree dove i noccioleti possono essere integrati con altre colture evitando così anche l’abbandono di molti terreni. Presentando il piano Ferrero si è impegnata ad acquistare il 75 per cento della produzione di ogni anno. Al tempo Maurizio Sacco, manager del Progetto Nocciola Italia, spiegò: «L’impegno è solo del 75 per cento per lasciare all’imprenditore e al mercato una parte del raccolto, ma l’imprenditore potrà comunque offrire anche il restante 25 per cento a Ferrero e a quel punto si vedranno le condizioni di mercato. Tutti gli scenari futuri prevedono un incremento della domanda maggiore di quello che sarà l’offerta, soprattutto se si parla di nocciola di qualità».

Le dichiarazioni di Ferrero non sono bastate agli ambientalisti, convinti che gli agricoltori locali siano stati indotti a piantare alberi di nocciole in luoghi dove non crescono naturalmente e che l’agricoltura intensiva possa portare addirittura all’esaurimento delle falde acquifere sotterranee danneggiando così gli habitat delle altre specie. Gli agricoltori non convinti dalla Ferrero temono anche che la monocultura diffonda malattie delle piante e insetti nocivi, costringendo all’uso di più pesticidi ed erbicidi.

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Alla testa delle associazioni ambientaliste della zona si è messa la regista Alice Rohrwacher, cresciuta nella zona tra Montefiascone, Bolsena e Bagnoregio. «Il cuore del paesaggio si sta trasformando in una monocoltura perenne che cancella ogni cosa; in questi luoghi, dove prima c’erano tante coltivazioni, oggi c’è soltanto quella della nocciola», ha detto. Contro l’espansione dei noccioleti si sono dichiarati anche molti sindaci. Piero Camilli, sindaco di Grotte di Castro, aveva emesso nel 2019 un’ordinanza:

«L’istituzione del divieto di realizzare impianti di noccioleti intensivi in tutto il territorio comunale onde evitare un elevato consumo di acqua, di fitofarmaci, di antiparassitari di insetticidi, di diserbanti e di concimi necessari alla coltivazione degli stessi, poiché l’uso continuativo e massiccio di dette sostanze potrebbe determinare il degrado globale ed irreversibile dell’ecosistema terrestre ed acquatico con distruzione di habitat e biodiversità e con gravissime ricadute sulla salute pubblica».

Contro l’ordinanza aveva fatto ricorso Assofrutti, l’organizzazione dei produttori di frutta in guscio. Il TAR, Tribunale amministrativo regionale, aveva dato ragione all’associazione perché mancherebbe «una seria base scientifica, dalla quale ricavare per quali ragioni le coltivazioni dei noccioleti potrebbero nuocere all’ambiente, ciò che renda necessaria la limitazione della libertà di iniziativa economica privata».

Lo scontro è tuttora in corso ed è destinato ad allargarsi ad altre zone. In Lombardia, per esempio, anche se con numeri decisamente molto inferiori a quelli della Tuscia, gli ettari di noccioleti sono triplicati negli ultimi tre anni. Anche qui conta ovviamente il fatto che coltivare nocciole garantisce ottimi ritorni economici dovuti alla richiesta, sempre in aumento, dell’industria agroalimentare per produrre non solo creme spalmabili ma anche gelati, farine, snack.

Coltivare nocciole rende bene e comporta costi bassi di avviamento. Non è certo una questione nuova in agricoltura. Si contrappongono scelte diverse: quella tra un tipo di produzione che garantisce buoni redditi agli agricoltori ma che può implicare anche impatti sulla biodiversità e la scelta invece di avere rese più basse ma più in armonia con il territorio.