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  • Lunedì 15 febbraio 2021

In Catalogna hanno vinto gli indipendentisti

Di nuovo: ma formare un governo sarà più difficile di prima, e c'è chi spera di approfittarne

Pere Aragonès, candidato di ERC in Catalogna, a sinistra, e il presidente del partito Oriol Junqueras (David Zorrakino/Contacto via ZUMA Press)
Pere Aragonès, candidato di ERC in Catalogna, a sinistra, e il presidente del partito Oriol Junqueras (David Zorrakino/Contacto via ZUMA Press)

Alle elezioni regionali per il rinnovo del parlamento della Catalogna, comunità autonoma della Spagna, i partiti indipendentisti catalani che hanno governato durante l’ultima legislatura hanno ottenuto abbastanza seggi per garantirsi la maggioranza assoluta in parlamento ed esprimere un nuovo presidente della Generalitat, il governo catalano, anche se nessuno di loro è risultato il partito più votato.

I partiti indipendentisti sono Sinistra repubblicana della Catalogna (ERC), di centrosinistra, che ha ottenuto il 21,3 per cento dei voti e 33 seggi; Insieme per la Catalogna (Junts per Catalunya, o semplicemente Junts), di centrodestra, che ha ottenuto il 20 per cento dei voti e 32 seggi, e Candidatura popolare unita (CUP), di estrema sinistra, che ha ottenuto il 6,6 per cento dei voti e 9 seggi (durante la scorsa legislatura la CUP aveva dato il suo appoggio esterno al governo). Assieme, i tre partiti hanno ottenuto 74 seggi e hanno superato abbondantemente la maggioranza assoluta di 68.

In generale, se si contano anche i partiti che non hanno ottenuto seggi, per la prima volta gli indipendentisti hanno superato il 50 per cento del consenso, anche se l’astensione è stata al massimo storico, in parte a causa della pandemia: ha votato il 53,5 per cento dei catalani, il 25 per cento in meno delle elezioni del 2017.

– Leggi anche: Come l’indipendentismo si è mangiato la Catalogna

Il partito più votato è stato il Partito socialista catalano (PSC), contrario all’indipendenza e formazione locale del Partito socialista attualmente al potere al governo centrale. Il PSC ha ottenuto il 23 per cento dei voti e 33 seggi (lo stesso numero di ERC: questo perché il PSC è forte soprattutto a Barcellona, dove il rapporto tra seggi e popolazione è più basso che altrove).

Dietro ai tre partiti principali, oltre alla CUP, ci sono Vox, il partito neofranchista e di estrema destra, che ha superato le aspettative dei sondaggi e ha preso il 7,6 per cento dei voti; En Comú Podem, un gruppo di formazioni politiche che può essere riferito al partito nazionale di sinistra Unidas Podemos, con il 6,8 per cento dei voti; Ciudadanos, formazione di centrodestra che con il 5,5 per cento è passata da 30 deputati a 6; e il Partito popolare, espressione dell’omonimo partito nazionale di destra, che ha il 3,8 per cento.

La formazione di una coalizione di governo sembra scontata: indipendentisti al governo, gli altri all’opposizione.

In realtà la trattativa sarà piuttosto difficile: nelle ultime due legislature i partiti politici antenati di Junts (la storia della formazione è abbastanza tormentata, ci sono stati molti cambi di nome e scissioni) sono sempre stati la forza dominante, hanno espresso il presidente della Generalitat e avuto l’ultima parola sulle decisioni più importanti. Questa volta, però, il primo partito indipendentista è ERC: Oriol Junqueras, il presidente di ERC che sta scontando una condanna per sedizione e malversazione a seguito del referendum per l’indipendenza del 2017, ha già detto che «ERC tornerà ad avere la presidenza della Generalitat», ed è probabile che gli equilibri saranno difficili da raggiungere. Inoltre, soprattutto durante l’ultima legislatura, l’alleanza tra ERC e Junts è stata piuttosto litigiosa, e i due partiti e i loro leader si sono scontrati in numerose occasioni.

Il candidato di ERC è Pere Aragonès, presidente uscente ad interim dopo che qualche mese fa il presidente Quim Torra, di Junts, era stato costretto a dimettersi a seguito di una condanna per disobbedienza. La candidata di Junts è Laura Borràs, professoressa di Letteratura all’Università di Barcellona e assessora alla Cultura del governo uscente.

Un’alternativa al governo di coalizione degli indipendentisti ci sarebbe, ed è quella in cui spera Salvador Illa, il candidato del PSC, ex ministro della Salute del governo centrale, ma è piuttosto difficile da realizzare: se si spezzasse l’alleanza indipendentista, l’unione di tutte le forze di sinistra nel parlamento locale (PSC, ERC ed En Comú Podem) otterrebbe una maggioranza assoluta di 74 seggi. Questa alleanza sarebbe una riproposizione di quella che regge il governo centrale, dove un governo di minoranza del Partito socialista e di Unidas Podemos è sostenuto dall’esterno da una serie di piccoli partiti di cui ERC è uno dei più importanti.

– Leggi anche: Alle elezioni in Catalogna un candidato vuole cambiare le alleanze

Quest’alleanza tutta a sinistra — che cercherebbe di superare la questione dell’indipendenza per concentrarsi su altre come l’economia e la pandemia — è difficile perché la polarizzazione tra indipendentisti e unionisti si è molto accentuata negli ultimi anni, al punto che poco prima del voto una piattaforma civica che si chiama Catalani per l’indipendenza aveva avviato una campagna per convincere i candidati indipendentisti a dichiarare in forma scritta che «in nessun caso negozieranno la formazione di un governo con il PSC». Tutti i leader hanno firmato, compreso Aragonès di ERC.

Secondo alcuni analisti politici, l’alleanza di sinistra è molto improbabile ma non impossibile, specie se i negoziati con Junts dovessero andare molto male.

Illa, che viene comunque da una forte vittoria (il PSC ha quasi raddoppiato i suoi 17 deputati) ha detto dopo la pubblicazione dei risultati che intende «presentarsi all’investitura», cioè sottoporre un suo eventuale governo a un voto di fiducia, anche se questa facoltà spetta al presidente del parlamento. Anche Aragonès ha detto la stessa cosa e ha invitato le «forze progressiste» a fare accordi su «amnistia» (dei politici indipendentisti in carcere dopo il referendum, come Junqueras, e di quelli in autoesilio all’estero, come l’ex presidente Carles Puigdemont) e «autodeterminazione»: entrambe condizioni molto difficili da accettare per il PSC.

Le elezioni in Catalogna hanno anche alcuni riflessi a livello nazionale. Sono un buon risultato per Pedro Sánchez, il presidente del governo del Partito socialista, che dovrebbe aver garantito l’alleanza che regge il suo governo, ma sono un risultato terribile per Pablo Casado, il leader del Partito popolare che da tempo si contende con Vox la leadership della destra spagnola: anche se quelle catalane sono elezioni particolari, in cui la destra nazionale spagnola è debolissima, sono le prime in assoluto in cui il partito estremista ha ottenuto un risultato migliore del PP.