Tutte le piattaforme che hanno bloccato Trump

Non solo Twitter e Facebook, ma anche altri social network e aziende di servizi online secondo cui il presidente uscente ha fomentato odio e violenza

(AP Photo/ Evan Vucci)
(AP Photo/ Evan Vucci)

Negli ultimi giorni i più grandi e conosciuti social network hanno bloccato o rimosso dalle loro piattaforme gli account del presidente degli Stati Uniti uscente Donald Trump, accusandolo di aver incitato i propri sostenitori a portare avanti l’attacco del Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio, dove si stava procedendo alla certificazione della vittoria elettorale del presidente eletto Joe Biden. Dopo l’attacco al Campidoglio, a Washington, tutte le maggiori piattaforme hanno preso decisioni senza precedenti, sostenendo che Trump avesse violato le linee guida che vietano di condividere contenuti che promuovano la violenza e notizie false. Delle decisioni di Facebook e Twitter di bloccare Trump si è molto parlato, ma hanno fatto cose simili anche YouTube, TikTok, Reddit e Twitch, solo per citare le più famose.

La rimozione degli account di Trump pone questioni molto rilevanti sulla libertà di opinione di un leader politico, e sull’affidare ai social network il compito di risolverle da soli. Diversi esperti ritengono comunque che negli anni Trump abbia utilizzato i social network soprattutto per avvelenare il dibattito pubblico e incoraggiare odio e violenza nei confronti dei propri avversari, come del resto molti leader di estrema destra in giro per il mondo.

Twitter
Nella notte fra venerdì e sabato Twitter ha «sospeso in maniera permanente» l’account personale di Trump, quello che Trump usava più assiduamente (aveva sempre usato invece poco l’account associato alla presidenza degli Stati Uniti). In un breve comunicato stampa per motivare la sua decisione, Twitter ha spiegato che dopo aver sospeso l’account per 12 ore in seguito ad alcuni tweet di Trump che legittimavano l’attacco al Congresso compiuto dai suoi sostenitori, il presidente aveva di nuovo violato per due volte le regole imposte da Twitter, che vietano di incoraggiare la violenza.

Prima di essere rimosso, l’account personale di Trump aveva circa 88 milioni di follower ed era lo strumento principale con cui il presidente comunicava sia col pubblico sia con i suoi elettori più fedeli. Trump lo usava soprattutto per diffondere bugie, notizie false, insulti nei confronti dei suoi avversari politici e di minoranze etniche e Twitter aveva iniziato a segnalare i suoi tweet che contenevano informazioni false fin da maggio, mesi prima delle elezioni.

Tra le altre cose, Twitter ha anche annunciato di aver sospeso oltre 70mila account che secondo il social network «erano utilizzati per condividere su larga scala contenuti pericolosi collegati a QAnon ed erano dedicati principalmente alla diffusione di teorie cospirazioniste».

Facebook 
In passato Facebook ha ricevuto molte critiche per il ruolo centrale che ha avuto non solo nell’ascesa di Trump, che ne ha saputo sfruttare i meccanismi per accrescere il proprio consenso, ma anche nel normalizzare i messaggi violenti diffusi dallo stesso presidente e diventati parte del dibattito politico. Anche il 6 gennaio Facebook è stato criticato per come ha gestito la propria piattaforma durante l’assalto e per non aver eliminato tempestivamente il video in cui Trump si rivolgeva ai propri sostenitori, ripetendo che le elezioni erano state rubate.

Quando il video è stato poi rimosso, circa un paio d’ore dopo la pubblicazione, il responsabile della “sicurezza e integrità” del social network, Guy Rosen, aveva spiegato che secondo Facebook il video avrebbe potuto «contribuire al rischio di nuove violenze, invece che ridurlo».

Il giorno dopo l’attacco al Congresso, l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg ha annunciato con un post di aver deciso di sospendere l’account di Trump «indefinitamente» e almeno per due settimane, da Facebook e Instagram. Nel suo messaggio Zuckerberg ha detto che «il rischio nel continuare a permettergli di usare i nostri servizi in questo momento è semplicemente troppo grande». Trump resterà presidente fino al 20 gennaio, quando si insedierà Joe Biden.

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YouTube
YouTube, che fa parte di Alphabet (la holding che controlla Google), ha spiegato di aver rimosso il video in cui Trump incoraggia i propri sostenitori perché violava le regole sulla comunicazione delle notizie legate alle elezioni presidenziali. Dal momento che «i risultati delle elezioni sono stati certificati», ha spiegato il portavoce di YouTube, Alex Joseph, «qualsiasi canale che dovesse postare nuovi video con queste false accuse riceverà un avvertimento» e sarà sospeso temporaneamente; dopo tre avvertimenti nell’arco di un periodo di 90 giorni il canale verrà «rimosso definitivamente da YouTube».

Reddit
Un portavoce dell’azienda ha spiegato ad Axios che la popolare piattaforma di discussione ha chiuso il “subreddit” “r/DonaldTrump”, che pur non essendo un account ufficiale del presidente uscente era uno dei forum politici più grandi ospitati da Reddit. Le linee guida della piattaforma vietano infatti i contenuti che promuovono odio oppure che incoraggino o incitino comportamenti violenti nei confronti di individui o gruppi di persone.

Twitch
Lo scorso giugno la popolare piattaforma di streaming usata soprattutto per trasmettere dirette di persone che giocano ai videogiochi ma oggi usata anche per scopi molto diversi aveva già sospeso temporaneamente il canale di Trump per un «comportamento che inneggiava all’odio». Sul canale tra le altre cose erano stati condivisi il video di una manifestazione in cui Trump aveva detto che il Messico mandava stupratori negli Stati Uniti e altri commenti fatti lo scorso giugno durante il comizio di Tulsa, in Oklahoma, durante il quale Trump non aveva citato né la morte di George Floyd – cioè l’evento che aveva innescato le estese proteste contro il razzismo e le violenze della polizia in tutti gli Stati Uniti – né la nota strage di Tulsa, avvenuta nel 1921, quando una folla di bianchi inseguì e uccise centinaia di afroamericani.

Il giorno dopo l’attacco al Congresso, anche Twitch ha fatto sapere di aver disabilitato il canale di Trump: un provvedimento preso «a causa delle circostanze straordinarie e la retorica provocatoria del presidente» e «necessario per proteggere la nostra community e impedire che Twitch venga usato per promuovere altro odio». Tra le altre cose, Twitch ha rimosso una delle emoticon animate più famose che vengono utilizzate sulla piattaforma per esprimere una reazione di entusiasmo nei confronti dei video (PogChamp) e che secondo Twitch è stata ampiamente utilizzata anche dai sostenitori di Trump per approvare l’attacco al Congresso.

Snapchat
Mercoledì Snapchat – popolare app di condivisione di brevi video – ha disabilitato l’account di Trump perché secondo il social network il presidente uscente diffonde l’odio e promuove la violenza, ha detto una portavoce ad Axios. Già a giugno, Snapchat aveva smesso di pubblicizzare l’account di Trump nella sezione “Discover”, dove gli utenti trovano contenuti di approfondimento e le pagine di personaggi noti, ritenendolo una minaccia alla democrazia.

TikTok
Lo scorso agosto, Trump aveva detto di voler vietare il social network cinese negli Stati Uniti, sostenendo che venisse usato dal governo cinese per raccogliere dati sensibili sugli utenti statunitensi, e poco dopo si era iscritto a Triller, che è considerato uno dei principali rivali di TikTok.

Anche le linee guida di TikTok, popolarissimo soprattutto tra gli adolescenti, prevedono che i contenuti che promuovono odio e violenza siano vietati. Per questa ragione, cliccando su hashtag come #stormthecapitol (“invadiamo il congresso”) e #patriotparty (“partito dei patrioti”) si viene reindirizzati alla pagina delle norme di sicurezza della piattaforma, come già accadeva da qualche tempo per gli hashtag #QAnon e #stopthesteal (“fermiamo il furto”, riferito ai presunti brogli elettorali). Questo hashtag viene peraltro monitorato anche su Pinterest, anche se qui, come su TikTok, Trump non aveva alcun account.

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Shopify, Stripe e Discord
Alcune restrizioni sono state applicate anche dalla società di e-commerce Shopify, che ha cancellato i due store online dedicati alla vendita del merchandising della campagna di Trump, e da Stripe, una società che elabora i pagamenti su diverse piattaforme online, che ha fatto sapere che non accetterà più i pagamenti in favore della campagna di Trump.

La piattaforma di messaggistica Discord invece ha bannato il server “The Donald”, che secondo l’azienda è collegato al forum di sostenitori di Trump thedonald.win e che viene «usato per incitare alla violenza e pianificare un’insurrezione armata negli Stati Uniti».

Il caso di Parler
Domenica Apple e Google hanno rimosso dai loro App Store l’applicazione del social network Parler, che esiste dal 2018 e si pubblicizza come social network più libero e con regole di moderazione più rilassate rispetto a Twitter e Facebook (la frase nella schermata iniziale è: «Leggi le notizie, parla liberamente»). Parler è ospitato da server di proprietà di Amazon ed era stato utilizzato da alcuni sostenitori di Trump per organizzare l’attacco al Congresso del 6 gennaio: nell’ultima settimana Amazon aveva segnalato ai gestori della piattaforma un centinaio di post che incitavano alla violenza, senza ottenere da Parler gli interventi che si aspettava: per questa ragione lunedì l’azienda ha disabilitato i server, mettendo offline Parler e rendendolo quindi inattivo.

Inizialmente l’amministratore delegato di Parler, John Matze, aveva comunicato agli utenti che il social sarebbe rimasto offline per una settimana, prima di trovare un nuovo server, ma lunedì è stato costretto ad ammettere che l’assenza da internet potrebbe durare più del previsto. In un’intervista telefonica a Fox News Matze ha poi detto che dopo l’attacco al Congresso sta avendo molta difficoltà a trovare qualcuno che voglia fare affari con lui, accusando Apple e Amazon di star collaborando «per soffocare la libertà di parola».

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