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  • Sabato 5 dicembre 2020

Com’è finita la guerra in Etiopia

Il governo federale ha preso il controllo della regione del Tigrè, ma ora potrebbe iniziare una nuova fase del conflitto: la guerriglia

Un tigrino tiene in mano un libretto con scritto "La licenza di uccidere di un premio Nobel", con sopra l'immagine del primo ministro etiope (AP Photo/Themba Hadebe)
Un tigrino tiene in mano un libretto con scritto "La licenza di uccidere di un premio Nobel", con sopra l'immagine del primo ministro etiope (AP Photo/Themba Hadebe)

La guerra in Etiopia è ufficialmente finita lo scorso fine settimana, quando il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha annunciato che le forze federali avevano preso il controllo di Macallè, la capitale della regione del Tigrè, che un mese fa si era ribellata al potere centrale. La fine della guerra è arrivata molto prima di quanto si aspettassero analisti ed esperti, ma anche di quanto avevano previsto i leader della regione del Tigrè, convinti di avere le forze per poter sconfiggere l’esercito federale, o per lo meno per poter resistere molto più a lungo. Ora il pericolo è che il conflitto tra le due parti entri in una nuova fase: quella della guerriglia.

La guerra era iniziata nella prima settimana di novembre, dopo mesi di tensioni tra governo federale e governo regionale del Tigrè controllato dal Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF), partito che per moltissimo tempo aveva dominato la politica nazionale dell’Etiopia e che aveva iniziato a perdere importanza dopo l’insediamento a capo del governo del primo ministro Abiy Ahmed, nel 2018.

Nelle settimane precedenti all’inizio degli scontri militari, il TPLF sembrava sicuro di poter vincere la guerra contro l’esercito etiope. Negli ultimi decenni, infatti, i tigrini avevano accumulato una serie di importanti successi militari: nel 1991 guidarono fino ad Addis Abeba, la capitale etiope, una marcia di ribelli che riuscì a rovesciare l’allora dittatura marxista, e nel biennio del massimo conflitto con l’Eritrea, tra il 1998 e il 2000, sostennero buona parte del peso delle operazioni militari. Il TPLF poteva quindi contare su militari competenti e con esperienza, e su armi sofisticate.

Il leader del TPLF, Debretsion Gebremichael (EPA/STR)

Il conflitto con l’esercito federale ha mostrato però tutte le debolezze del TPLF. Anzitutto, ha scritto l’Economist, il TPLF sembra avere sottostimato l’efficacia dei droni impiegati dal governo centrale, che hanno provocato danni devastanti nella regione del Tigrè. Sembra inoltre avere sopravvalutato la capacità delle forze locali di combattere su fronti diversi, incluso quello settentrionale che si sarebbe potuto aprire in caso di attacco da parte dell’Eritrea, particolarmente ostile al TPLF.

La combinazione di questi elementi ha permesso quindi all’esercito federale di farsi strada piuttosto rapidamente verso Macallè, la capitale della regione, costringendo i leader del TPLF a rifugiarsi sulle montagne. Varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani affermano che in tre settimane di guerra siano state uccise migliaia di persone, e altre cinque milioni siano state costrette a lasciare le proprie case e a fuggire nel vicino Sudan.

– Leggi anche: La «rivoluzione morale» di Rizieq Shihab

Il fatto che sia finita la guerra tra i due eserciti non significa però che il conflitto sia terminato del tutto, e che non si possa trasformare in qualcosa d’altro.

Anzitutto, ha scritto Reuters, le forze del Tigrè controllano ancora alcune ampie aree della regione, anche se fuori dai principali centri urbani, e due stazioni televisive locali, tra cui la Voce della rivoluzione, stanno ancora trasmettendo, nonostante non sia chiaro da dove. Rashid Abdi, esperto di Corno d’Africa, ha detto: «sono in corso scaramucce in molte parti del Tigrè e stiamo vedendo i segni dell’inizio di una rivolta. Il terreno, la geografia e la storia suggeriscono che inizierà una lunga insurrezione».

Profughi tigrini sul fiume Tekeze al confine tra Etiopia e Sudan (AP Photo/Nariman El-Mofty)

Il rischio che possa iniziare una guerriglia viene considerato concreto da molti analisti, anche se non c’è accordo su quanto questa insurrezione potrà essere efficace. Nonostante la grande esperienza militare del TPLF, infatti, molti dei più esperti leader del gruppo hanno oggi 60-70 anni – quindi una limitata capacità di fare la differenza sul campo di battaglia. Inoltre rispetto al passato, soprattutto agli anni Settanta e Ottanta, le condizioni nella regione sono cambiate: il TPLF sembra avere meno alleati di allora, e il confine con il Sudan, che veniva usato come rotta di rifornimento e fuga, oggi è stato praticamente chiuso dal governo sudanese, che per esempio non permette più il trasferimento di armi e munizioni verso il Tigrè.

Il successo e l’estensione della guerriglia dipenderanno probabilmente da quanto il primo ministro Abiy sarà in grado di ottenere il consenso dei tigrini.

Abiy ha promesso di ricostruire le città distrutte o danneggiate negli scontri, ma potrebbe non essere sufficiente. Il governo federale ha sostenuto di non avere ucciso civili durante le operazioni militari del Tigrè, ma questa versione è stata smentita dai racconti dei moltissimi profughi che sono scappati in Sudan, e che ora non sembrano voler tornare per timore di eventuali ritorsioni. Diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno parlato di brutali violenze da entrambe le parti, anche se finora non è stato possibile ottenere informazioni certe, a causa della mancanza di giornalisti indipendenti e dell’isolamento a cui è stato sottoposto il Tigrè durante la guerra.