La vecchia questione del confine sul Monte Bianco

Ha una storia lunga un paio di secoli e a tratti ha provocato dei problemi, al di là dei toni allarmati con cui ne parla la destra

Il Dente del Gigante, e a sinistra il ghiacciaio del Gigante, visti da punta Helbronner: sulla cresta in primo piano passa il confine secondo l'interpretazione italiana. La cima del Monte Bianco è alle spalle dell'osservatore. (ANSA/THIERRY PRONESTY)
Il Dente del Gigante, e a sinistra il ghiacciaio del Gigante, visti da punta Helbronner: sulla cresta in primo piano passa il confine secondo l'interpretazione italiana. La cima del Monte Bianco è alle spalle dell'osservatore. (ANSA/THIERRY PRONESTY)

Da alcuni giorni si è riaperto un dibattito che torna con una certa periodicità: quello sul confine italo-francese sul Monte Bianco, la montagna più alta d’Europa, il cui massiccio si trova in parte in Valle d’Aosta e in parte nella regione francese dell’Alta Savoia. Questa volta a tirarlo fuori sono state la destra e l’estrema destra italiana, a partire dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha parlato di «invasione» da parte della Francia che potrebbe causare «enormi danni economici» per il settore del turismo locale.


Non è una storia nuova, e anzi è l’ultima manifestazione di una vicenda che va avanti da un paio di secoli. Le novità sono poche e poco significative dal punto di vista concreto: la contesa sul confine sul Monte Bianco può avere conseguenze anche rilevanti, e in certe occasioni le ha avute, ma in questo caso si tratta soprattutto di una questione simbolica e di principio usata dalla destra per polemizzare con il governo. Ciò di cui si parla, infatti, sono ordinanze molto specifiche prodotte da enti amministrativi francesi locali che non hanno vere conseguenze e non producono danni economici. Ma al di là delle esagerazioni, è una vicenda interessante, e deriva da un’ambiguità che secondo molti andrebbe chiarita una volta per tutte.

Com’è fatto il Monte Bianco
La cima del Monte Bianco è alta 4.809 metri ed è la più alta di un grande massiccio pieno di montagne, vette, colli, rifugi e bivacchi. Le due città di accesso principali sono Courmayeur dal versante italiano, e Chamonix da quello francese, collegate dal tunnel che attraversa il massiccio. La zona del Monte Bianco attira da decenni moltissimi turisti, d’inverno e d’estate, da quelli che scelgono il massiccio per fare delle semplici passeggiate ai tanti che ne riempiono le piste da sci, fino a quelli che lo frequentano per praticare l’alpinismo d’alta quota.

Di questi ultimi, una parte sceglie di raggiungere la cima vera e propria del Monte Bianco: un’ascesa che dalle vie “normali” non presenta grandi difficoltà tecniche, ma per cui è comunque necessaria un’ottima preparazione fisica – è molto lunga, e molto in quota – e che è raccomandato affrontare con una guida alpina o almeno con alpinisti esperti. Le vie “normali” sono quattro: tre in Francia e una in Italia, che passa per il rifugio Gonella. Dato che la via normale italiana è più lunga e difficile di quelle francesi, la stragrande maggioranza di chi raggiunge la cima del Monte Bianco – anche tra gli italiani – sceglie quelle francesi, partendo perciò da Chamonix.

La cresta di Peuterey, che da Courmayeur arriva alla cima del Monte Bianco (sulla destra) dal versante italiano. (ANSA)

La questione del confine
È lunga e complicata. Si pose per la prima volta ai tempi di Napoleone, perché prima il massiccio del Monte Bianco era interamente compreso nel regno di Sardegna dei Savoia. Con le vittorie militari dell’allora generale francese, i Savoia dovettero cedere molti territori di confine alla Francia, tra cui la regione omonima. Quelle cessioni vennero formalizzate nel trattato di Cherasco del 1796, che indicava dei confini piuttosto vaghi per le vette più alte del massiccio, seguendo peraltro le linee delle creste militari – e quindi di quelle considerate dai rispettivi eserciti – e non di quelle naturali.

Con la Restaurazione le conquiste napoleoniche vennero cancellate, e la Savoia tornò al Regno di Sardegna, con i Savoia che stabilirono un confine sul massiccio del Monte Bianco per la frontiera interna tra il ducato d’Aosta e il ducato di Savoia. Questo confine passava proprio sulla vetta del Monte Bianco, dividendola a metà, e sarebbe stato poi usato per delimitare il confine tra Italia e Francia qualche decennio dopo. Nel 1860, infatti, fu firmato il trattato di Torino con il quale Vittorio Emanuele II cedette alcuni territori di confine alla Francia per ripagare l’aiuto militare ricevuto durante la seconda guerra d’indipendenza (quella con la quale i Savoia conquistarono la Lombardia dagli austriaci).

L’attuale contesa territoriale risale a quel momento: l’Italia considera oggi come confine italo-francese quello contenuto nel trattato di Torino, che spartisce la vetta del Monte Bianco tra Italia e Francia. Qualche anno dopo, però, l’esercito francese produsse una propria mappa geografica del massiccio che includeva la cima del Monte Bianco in territorio francese, che fu poi ripresa anche dalla cartografia civile e fu usata peraltro per risolvere un altro contenzioso territoriale – interno alla Francia – dopo la Seconda guerra mondiale. Nelle convenzioni territoriali che vennero ratificate dalle Nazioni Unite dopo il conflitto, però, venne rispettato il trattato di Torino, con la frontiera che passava sulla cima del Monte Bianco.

Come hanno spiegato a Repubblica i cartografi Laura e Giorgio Aliprandi, considerati i maggiori esperti in Italia sull’argomento, la Francia dice di non avere più nei propri archivi le carte che illustravano il trattato di Torino, e per questo in certe occasioni ha dimostrato di considerare validi i confini del trattato di Cherasco che attribuiva alla Francia l’intera vetta del Monte Bianco.

Perché se ne riparla adesso
Di fatto, il confine tra Italia e Francia passa sulla cima del Monte Bianco nella gran parte delle interpretazioni, dalla cartografia ufficiale della NATO alle mappe italiane a quelle di Google o Apple. La porzione di territorio di cui si parla è una zona di alta montagna, quindi non ci sono confini fisici o insediamenti, con l’eccezione – importante – del rifugio Torino e della stazione della funivia di punta Helbronner, che si trovano a pochi chilometri in linea d’aria dalla cima vera e propria, appena al di qua del confine italiano. Il Rifugio Torino è stato gestito fino al 2013 dal CAI di Torino, e poi da una famiglia valdostana, e Punta Helbronner si raggiunge da Courmayeur. Sono di fatto insediamenti italiani, ma il rifugio – la stazione no, di qualche metro – rientra in un’area che la Francia si attribuisce nelle sue mappe.

Normalmente, insomma, la rivendicazione francese sulla cima del Monte Bianco e sulle altre porzioni del massiccio contese non ha conseguenze concrete. Ma ogni tanto questa questione aperta si ripresenta nella forma di ordinanze locali da parte dei comuni francesi appena al di là del confine, come questa volta. A provocare la reazione di Meloni e della destra infatti è stato lo sviluppo di un’ordinanza emessa nel giugno del 2019 dai comuni francesi di Chamonix e Saint Gervais, che dopo un incidente avevano vietato i voli in parapendio su un’area che comprendeva la cima e si spingeva oltre il confine italiano.

Il governo centrale francese non era stato coinvolto, ma all’epoca Fratelli d’Italia aveva presentato un’interrogazione parlamentare a cui era seguita una richiesta di chiarimenti da parte dell’Ambasciata italiana in Francia. La risposta del governo è arrivata una decina di giorni fa, tramite il sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto, che ha spiegato che nonostante la protesta formale italiana la Francia ha soltanto preso atto della vicenda, sostenendo che riguarda «una zona geografica che costituisce da svariati decenni l’oggetto di un contenzioso tra Francia e Italia».

Fratelli d’Italia e poi la Lega e poi anche l’estrema destra – una delegazione del partito neofascista Casapound ha fatto anche una gita in funivia a punta Helbronner – hanno accusato il governo di non aver fatto niente per contrastare la pretesa francese. Poche settimane fa, peraltro, un’altra direttiva del dipartimento dell’Alta Savoia aveva regolato alcune misure di protezione ambientale estendendole anche alle zone contese.

Nei fatti, l’ordinanza sui voli in parapendio che ha fatto protestare i partiti di destra non ha conseguenze concrete particolarmente rilevanti. Ma in passato era successo qualcosa di più grosso: nel 2015, infatti, due guide alpine inviate dal sindaco di Chamonix avevano chiuso a chiave un cancello che normalmente regola l’accesso dalla stazione di punta Helbronner e dal rifugio Torino al ghiacciaio del Gigante. È un passaggio molto frequentato dagli alpinisti che consente le escursioni sul ghiacciaio e le scalate più impegnative, compresa quella verso la cima del Monte Bianco (che comunque è poco percorsa da questo versante: la via normale italiana passa infatti da un’altra parte).

La decisione francese aveva motivazioni di sicurezza: capita che turisti impreparati si avventurino sul ghiacciaio – un ambiente pericoloso per chi non è attrezzato e non ha esperienza – rischiando incidenti seri. Ma l’intervento provocò grandi polemiche, perché fu visto come un’intrusione nei territori italiani che aveva effettivamente conseguenze importanti e concrete sul funzionamento del rifugio e potenzialmente sull’afflusso di turisti e alpinisti.

Un alpinista costretto a scavalcare il cancello che dal rifugio Torino consente l’accesso al ghiacciaio del Gigante, dopo la chiusura delle autorità francesi. (ANSA/THIERRY PRONESTY)

Il cancello fu riaperto poco dopo, ma quell’iniziativa era stata interpretata da molti come un esempio dei potenziali guai che possono nascere dalle pretese territoriali dei comuni francesi sulle porzioni contese del massiccio, che peraltro hanno conseguenze anche sull’attribuzione delle responsabilità di soccorso nel caso di alpinisti in difficoltà. Come ha detto Aliprandi a Repubblica: «la disputa è più rilevante di quel che si pensi, non lasciamola in mano a Fratelli d’Italia».