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  • Mercoledì 11 settembre 2019

Cosa significa il licenziamento di John Bolton

Trump si è liberato di un altro consigliere per la sicurezza nazionale (il terzo), che aveva piani particolarmente aggressivi e interventisti

John Bolton (AP Photo/Alex Brandon)
John Bolton (AP Photo/Alex Brandon)

Martedì il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato su Twitter il licenziamento di John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale e uno degli esponenti più in vista dell’amministrazione americana. Trump ha scritto di essere stato in disaccordo con Bolton su molte questioni, di averne chiesto le dimissioni e di avere intenzione di nominare il suo successore la prossima settimana. Bolton, che da tempo era considerato un problema da diversi membri del governo, ha invece sostenuto di essere stato lui a dare le dimissioni a Trump, senza che nessuno gliele avesse chieste.

«Ieri sera ho informato John Bolton che il suo lavoro non è più richiesto dalla Casa Bianca. Sono stato in forte disaccordo con lui su molte delle sue idee, così come altri membri del governo, e quindi ho chiesto a John le dimissioni, che mi sono state consegnate questa mattina. Ringrazio molto John per il suo lavoro»

Al di là di come siano andate le cose tra i due, l’allontanamento di Bolton è il risultato di mesi di scontri con il presidente su molti temi di politica estera, tra cui Iran, Corea del Nord e Afghanistan; ed è una decisione che potrebbe avere più ampie conseguenze sulle politiche degli Stati Uniti e sul dibattito interno al Partito Repubblicano.

John Bolton, 70 anni, era diventato consigliere per la sicurezza nazionale di Trump circa un anno e mezzo fa: aveva preso il posto del rispettato generale H. R. McMaster, che non aveva mai sviluppato un forte rapporto con Trump e che a sua volta aveva sostituito Michael T. Flynn, screditato ex militare che si era dimesso dopo solo 24 giorni in carica, e che in seguito si era dichiarato colpevole di avere mentito all’FBI sulle sue consulenze con il governo della Turchia e nell’inchiesta sulle interferenze russe. Bolton non è uno alle prime armi: era stato sottosegretario di Stato e ambasciatore all’ONU durante la presidenza di George W. Bush ed era da anni uno degli analisti e opinionisti più noti e influenti a cui faceva riferimento il Partito Repubblicano.

Molto prima che Trump coniasse l’espressione “America First” (“prima l’America”), divenuta famosa durante l’ultima campagna per le elezioni presidenziali, Bolton aveva definito se stesso un “americanista”, nel senso di voler dare priorità all’interesse nazionale nella sua interpretazione più cinica possibile, mettendo in secondo piano le idee di promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo. Trump aveva nominato Bolton a consigliere per la sicurezza nazionale dopo averlo apprezzato negli interventi come opinionista su Fox News, ha scritto il New York Times: i due condividevano un profondo scetticismo nei confronti del globalismo e del multilateralismo, concetti che invece avevano guidato la presidenza di Barack Obama.

Nell’anno e mezzo passato al governo, Bolton è riuscito a mettere in pratica molte delle sue idee: tra le altre cose, ha ottenuto l’uscita degli Stati Uniti da un importante trattato sui missili nucleari (l’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, del 1987) e da due trattati sull’Iran (uno firmato nel 1955 che normalizzava le relazioni tra i due paesi, l’altro sul nucleare iraniano negoziato da Obama). Fra Trump e Bolton però ci sono stati anche molti disaccordi, soprattutto su quali politiche avessero dovuto adottare gli Stati Uniti nei confronti dell’Iran, della Corea del Nord e dei talebani afghani. A differenza di Bolton, Trump ha mostrato di avere idee più isolazioniste: il presidente si è sempre detto molto scettico verso nuovi interventi militari all’estero e si è espresso più volte a favore del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Siria, a prescindere dalle conseguenze.

In tutti questi casi Bolton ha suggerito di non negoziare e dare priorità all’opzione militare. Bolton è stato descritto come favorevole ad attaccare la Corea del Nord, nella convinzione che un attacco avrebbe provocato un cambio di regime e costretto il paese a rinunciare alle sue armi nucleari; aveva cercato di promuovere un approccio molto duro nei confronti dell’Iran, con l’imposizione di sanzioni sempre maggiori e l’uso di bombardamenti mirati per convincere il governo iraniano ad abbandonare il suo programma nucleare e missilistico; e si era opposto a qualsiasi tipo di accordo con i talebani afghani che prevedesse il ritiro parziale dei soldati statunitensi dall’Afghanistan, nel timore che lasci spazio agli estremisti e ad al Qaida.

Trump e Bolton si erano scontrati anche sulla crisi politica in Venezuela. Bolton aveva convinto Trump ad appoggiare apertamente Juan Guaidó, leader dell’opposizione e principale avversario del presidente venezuelano Nicolás Maduro, promettendogli una vittoria facile e una rapida caduta del regime. Le cose però si erano complicate, soprattutto perché Guaidó non era riuscito a ottenere l’appoggio dell’esercito, e gli Stati Uniti erano rimasti incastrati in un feroce scontro politico nel quale avevano molto meno potere di quanto Trump aveva creduto (o era stato indotto a credere).

In alcuni casi Bolton è stato seguito da Trump, come nella decisione di ritirarsi dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015 e in quella di far saltare l’accordo con i talebani di pochi giorni fa; in altri è stato invece ignorato. Uno dei disaccordi più eclatanti è stata la decisione di Trump di annullare un attacco aereo contro l’Iran pochi minuti prima del suo inizio, lo scorso giugno: attacco che era stato molto appoggiato da Bolton. Sempre a giugno Trump aveva deciso con pochissimo preavviso di incontrare il presidente nordcoreano Kim Jong-un nell’area demilitarizzata al confine tra le due Coree: Bolton, contrario a qualsiasi iniziativa diplomatica degli Stati Uniti con la Corea del Nord, non aveva accompagnato Trump all’incontro, preferendo invece compiere un viaggio già pianificato in Mongolia.

L’allontanamento di Bolton dall’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale potrebbe avere conseguenze sulla politica estera futura del governo Trump. Meno influenzato dalle idee aggressive e interventiste di Bolton, il presidente statunitense potrebbe decidere di adottare un approccio più diplomatico e aperto in alcune delle grandi crisi internazionali in corso: potrebbe per esempio accettare di parlare con il presidente iraniano Hassan Rouhani – intenzione che ha espresso nelle ultime settimane – e di allentare il regime di sanzioni. Dall’altra parte, dato che Trump non ha mai mostrato di credere particolarmente nella diplomazia internazionale, potrebbe rafforzare l’attuale isolazionismo della politica estera statunitense, lasciando spazio ad altre potenze come Russia e Cina.

Un’altra conseguenza del licenziamento di Bolton – ma è più improbabile – potrebbe essere l’inizio di un dibattito interno al Partito Repubblicano, dove per molti anni le idee interventiste di Bolton sono state prevalenti ma dove oggi Trump ha il consenso della stragrande maggioranza dei sostenitori. Il Wall Street Journal ha scritto che negli ultimi decenni non era successo quasi mai che lo scontro nel Partito Repubblicano tra questi due modi di pensare – quello di Bolton e quello di Trump – fosse così duro. Il licenziamento di Bolton potrebbe creare una nuova polarizzazione tra le due correnti e una definizione più netta dell’oggi confusa strategia di politica estera del presidente.