La gran storia di Teresa Bellanova

La nuova ministra dell'Agricoltura ha iniziato a lavorare a 14 anni come bracciante sfruttata dai caporali; poi ha avuto una lunga carriera politica con qualche colpo di scena

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Da quando è iniziato a circolare il suo nome come possibile ministra del prossimo governo, e in particolare da quando ha giurato ieri come ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova è stata molto criticata da giornali, commentatori ed elettori di destra e centrodestra, che l’hanno accusata di non essere all’altezza del ruolo che le è stato assegnato poiché il suo unico titolo di studio è una licenza media. Altri sono arrivati anche a criticarne l’abbigliamento alla cerimonia del giuramento.

L’intero Partito Democratico e molti altri esponenti politici, sui giornali e sui social network, l’hanno difesa: Bellanova infatti è una politica di grande esperienza, fa parte del Parlamento da oltre dieci anni, è stata sottosegretaria e viceministra gestendo crisi industriali molto complesse e ha ricoperto importanti incarichi di partito. Ma soprattutto è stata per decenni una forte sindacalista del settore agricolo e tessile, e ha lottato a lungo contro il caporalato; oggi ha posizioni più liberali che in passato e considerate più vicine alle preoccupazioni delle aziende.

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Bellanova è nata a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, il 17 agosto del 1958. Quando aveva 14 anni, appena concluse le scuole medie (fino agli anni Novanta la scuola era obbligatoria solo per 8 anni) iniziò a lavorare come bracciante agricola. All’epoca la sua città era nota come una delle “capitali del caporalato” pugliese e Bellanova divenne una delle migliaia di giovani donne che per pochi soldi lavoravano nei campi che circondavano la città, dove si coltivavano olivi, viti e mandorli.

Le condizioni di lavoro erano terribili, paragonabili a quelle che in quelle stesse zone affrontano oggi migliaia di lavoratori soprattutto stranieri. Bellanova entrò presto nel sindacato e a soli 15 anni divenne capolega della federazione dei braccianti della CGIL nella Camera del lavoro della sua città; un incarico piuttosto importante a livello locale. Nota per il suo temperamento combattivo, Bellanova ha raccontato di come all’epoca le lotte dei braccianti fossero una questione in cui bisognava davvero “sporcarsi le mani”, come si dice: per esempio organizzando blocchi stradali prima dell’alba per fermare i furgoni dei caporali pieni di donne condotte al lavoro.

Bellanova fece una rapida carriera nel sindacato e a 20 anni divenne coordinatrice regionale delle donne della Federbraccianti, lavorando nella provincia di Bari e poi in quella di Lecce. Dopo quasi 30 anni trascorsi nel sindacato agricolo, nel 1996 diviene dirigente del sindacato degli operai tessili (la FILTEA) e nel 2000 entrò nella segreteria nazionale con la delega al Mezzogiorno.

Nel 2006 venne notata da Massimo D’Alema, la cui carriera politica è stata molto legata alla Puglia, che per la prima volta la candidò alle elezioni politiche. Bellanova entrò in Parlamento da deputata dei Democratici di Sinistra e, dopo la caduta del governo di Romano Prodi, venne ricandidata alle elezioni del 2008. Nel frattempo era nato il Partito Democratico e Bellanova fu indicata da D’Alema tra i cento “saggi” chiamati a scrivere il nuovo statuto del partito. Al congresso del 2009, che arrivò dopo le dimissioni del primo segretario del PD Walter Veltroni, Bellanova sostenne Pier Luigi Bersani. Entrata in politica nazionale, Bellanova continuò a occuparsi delle condizioni di vita dei braccianti e dei lavoratori agricoli. Fece parte a lungo della commissione Lavoro e nel 2010 fu una dei principali artefici di un’enorme indagine parlamentare sul caporalato, il lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera straniera.

Nel 2012, quando il centrosinistra tenne le sue primarie di coalizione in vista delle elezioni del 2013, Bellanova sostenne Bersani contro il sindaco di Firenze Matteo Renzi e al congresso dell’anno successivo, quello vinto da Renzi, sostenne il candidato della sinistra del partito, Gianni Cuperlo. Quando Renzi fece cadere il governo Letta, Cuperlo la suggerì per la carica di sottosegretaria al ministero del Lavoro e Renzi la accettò. Bellanova, insomma, era una classica esponente della sinistra del partito proveniente dalla CGIL: attenta ai temi del lavoro e ligia alla disciplina di partito.

Proprio in quei mesi, però, Bellanova compì un passaggio importante nella sua carriera. Nell’estate del 2015 la sinistra del partito si rifiutò di votare la fiducia sulla nuova legge elettorale Italicum voluta da Matteo Renzi, rischiando di mettere in pericolo l’intera maggioranza di governo. In protesta contro la minoranza, un gruppo guidato dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina se ne distaccò e fondò una nuova corrente, “Sinistra è cambiamento”, con lo scopo di appoggiare la maggioranza del partito guidata da Renzi. Bellanova lasciò la corrente dei “dissidenti” del PD e divenne la responsabile per la Puglia della nuova corrente di Martina.

Il suo spostamento fu anche politico. In quel periodo Bellanova divenne una delle più strenue sostenitrici del Jobs Act e della riforma dell’articolo 18, cambiando posizione rispetto a quando, quasi 15 anni prima, aveva lottato da sindacalista CGIL contro la sua abolizione da parte del governo Berlusconi. Per queste ragioni, da allora Bellanova è accusata da molti a sinistra di essere una traditrice della causa sindacale.

Quando l’allora presidente del Consiglio Renzi la invitò alla Leopolda del 2015, Bellanova tenne uno degli interventi più applauditi della manifestazione, sostenendo come i tempi fossero cambiati rispetto al passato, parlando delle ragioni della flessibilità sul lavoro e difendendo l’operato del governo. Ma non mancò di ricordare i temi a lei cari, come la lotta al caporalato e allo sfruttamento. Il suo discorso iniziò con il racconto di quando, durante le sue lotte a favore dei braccianti negli anni Settanta, un gruppo di caporali infastiditi per le sue lotte venne a minacciarla fin dentro la Camera del lavoro armato di pistole.

Irruenta e appassionata, Bellanova è divenuta famosa per i suoi discorsi coinvolgenti nel corso degli incontri e alle manifestazioni di partito. Alla Leopolda del 2016, durante la campagna per il referendum costituzionale, rimproverò il suo vecchio alleato politico Pier Luigi Bersani, schierato per il no, con un’invettiva diventata famosa nei circoli di partito: «Il combinato disposto? Ma parla come mangi!».

La rottura definitiva con il suo passato, almeno da un punto di vista simbolico, è avvenuta alle ultime elezioni, quando Bellanova si è candidata in Puglia nello stesso collegio di Massimo D’Alema, che 12 anni prima la aveva candidata per la prima volta proprio in Puglia (persero entrambi contro Barbara Lezzi del Movimento 5 Stelle, ma Bellanova raccolse cinque volte i voti di D’Alema).

Prima di essere nominata ministra questa settimana, l’incarico più importante ricoperto da Bellanova era stato quello di viceministra dello Sviluppo economico, ruolo in cui fu nominata da Matteo Renzi nel gennaio 2016 e che la portò ad affrontare personalmente numerose vertenze industriali, durante le quali non lesinò critiche ai suoi ex colleghi sindacalisti quando adottavano posizioni che giudicava troppo intransigenti e lontane dalla realtà.

Negli ultimi anni, poi, è divenuta famosa nel partito la sua rivalità con l’ex segretario Martina. Martina e Bellanova avevano lasciato insieme la minoranza del partito nel 2015, ma mentre Martina mantenne un profilo più indipendente, Bellanova si schierò con Renzi. Quando Martina divenne segretario “reggente”, in seguito alle dimissioni di Renzi dopo le elezioni del 2018, i renziani chiesero che a Bellanova fosse assegnata la posizione di vicesegretaria, ma Martina si rifiutò.

Nei giorni precedenti al giuramento del secondo governo Conte, Martina (arrivato secondo all’ultimo congresso di partito) era da molti considerato il candidato più probabile per diventare il nuovo ministro dell’Agricoltura (carica che aveva già ricoperto nei governi Renzi e Gentiloni). Alla fine però è stata scelta Bellanova. Molti l’hanno considerata una piccola vittoria nelle guerre intestine di partito, ma per Bellanova è stato anche il coronamento di una carriera che era cominciata proprio nell’agricoltura, e dal livello più umile e sfruttato.