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  • Domenica 24 marzo 2019

In Thailandia si vota, ma con le regole della giunta militare

L'esito delle prime elezioni degli ultimi otto anni sembra essere già scritto a favore dell'esercito, ma ci potrebbe essere qualche sorpresa

Il generale Prayut Chan-ocha, primo ministro della Thailandia, in visita al cantiere dove stanno costruendo una nuova stazione dei treni a Bangkok. (Lauren DeCicca/Getty Images)
Il generale Prayut Chan-ocha, primo ministro della Thailandia, in visita al cantiere dove stanno costruendo una nuova stazione dei treni a Bangkok. (Lauren DeCicca/Getty Images)

Oggi in Thailandia si sono tenute le prime elezioni degli ultimi otto anni, che però non sono state completamente libere e democratiche. La giunta militare al potere dal 2014 ha infatti cercato di prendere tutte le precauzioni per evitare di essere sconfitta, cambiando la Costituzione a proprio favore e ordinando lo scioglimento di uno dei principali partiti di opposizione. Hannah Ellis-Petersen, corrispondente del Guardian nel sudest asiatico, ha scritto: «Lungi dal riconsegnare il paese a un governo democratico a guida civile, i governanti militari, conosciuti come Consiglio nazionale per la pace e l’ordine (NCPO), stanno cercando di mantenere il potere usando partiti politici che vogliono che il capo dell’esercito, Prayut Chan-ocha, rimanga primo ministro».

I seggi sono stati chiusi alle 17 locali (le 11 di mattina di domenica), ma per conoscere i primi risultati bisognerà aspettare diverse ore.

Una delle questioni più importanti per inquadrare queste elezioni riguarda l’approvazione di una nuova Costituzione, promossa dall’esercito thailandese ed entrata in vigore nel 2017. La Costituzione, ha sintetizzato Eugénie Mérieau dell’Atlantic, «è stata pensata per permettere allo sconfitto di un’elezione di guidare comunque il governo»: prevede infatti l’elezione dei 500 membri della Camera, ma non quella dei 250 membri del Senato, i quali vengono nominati direttamente dalla giunta militare. In pratica, per ricevere la fiducia dalle camere riunite come primo ministro, Prayut Chan-ocha avrà bisogno di soli 126 deputati, perché potrà comunque contare sull’appoggio di tutti i senatori.

Negli ultimi mesi le speranze delle opposizioni di ottenere un governo civile sono state frustrate anche dalle politiche repressive della giunta militare, che ha cercato in tutti i modi di indebolire i suoi avversari.

A inizio marzo, la Corte Costituzionale della Thailandia aveva vietato al partito di Raksa Chart di partecipare alle elezioni e ne aveva ordinato lo scioglimento. Raksa Chart era un partito di opposizione molto importante, che a febbraio aveva proposto e poi ritirato la candidatura della sorella del re della Thailandia, la principessa Ubolratana Rajakanya Sirivadhana Varnavadi. Era stato lo stesso re, considerato vicino ai militari, a chiedere il ritiro della candidatura di Ubolratana, che avrebbe potuto essere una minaccia per la giunta al potere.

Nonostante lo strapotere dei militari, ha scritto Ellis-Petersen sul Guardian, le elezioni potrebbero riservare qualche sorpresa, soprattutto per l’emergere di divisioni nello schieramento che appoggia la giunta.

Lo scorso fine settimana Abhisit Vejjajiva, leader del Partito democratico e importante alleato dei militari, ha diffuso un video dicendo che il suo partito non avrebbe appoggiato il ritorno di Prayut come primo ministro, anche se non escludeva di unirsi a una coalizione legata all’esercito. Anutin Charnvirakul, capo del partito Bhumjaithai, potenzialmente importante per formare una maggioranza di governo, ha detto al Guardian di non essere intenzionato ad appoggiare Prayut. Allo stesso tempo, alcuni partiti dell’opposizione sembrano poter contare su un discreto consenso: in particolare Pheu Thai, terza incarnazione del partito populista fondato dall’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, oggi in esilio, ma anche Phak Anakhot Mai, partito progressista che propone una riforma radicale della Costituzione e dell’esercito.

Un altro fattore che potrebbe aiutare le opposizioni è il voto dei giovani. Greg Raymond ha scritto sull’Interpreter – sito pubblicato dal Lowy Institute, think tank indipendente con sede a Sydney – che recentemente a un gruppo selezionato di 100 studenti è stato chiesto se appoggiava l’idea di avere un Senato non eletto e con potere di scegliere il primo ministro: solo uno di loro si è detto d’accordo. Nelle ultime settimane, dopo lo scioglimento del partito Raksa Chart, sono inoltre diventati virali tra gli studenti di Bangkok slogan e hasthag contrari alla rielezione di Prayut come primo ministro.

In generale, comunque, sarà difficile scalfire il potere dell’esercito, che in Thailandia è presente nella vita politica da decenni. Anche se Pheu Thai, il principale partito di opposizione, dovesse ottenere un’ampia vittoria, l’impressione di molti è che la giunta militare farà di tutto per evitare di consegnare il potere a un governo civile e per continuare a condizionare la politica del paese.