La Repubblica Sovietica di Ungheria

La storia poco conosciuta dell'unica rivoluzione comunista che ebbe successo in Europa dopo quella russa, ma durò solo quattro mesi

Il 21 marzo 1919, nella piazza principale di Budapest in Ungheria, di fronte a una folla di operai, soldati e militanti, venne proclamata la nascita della Repubblica Sovietica di Ungheria. Nelle ore precedenti era avvenuto un colpo di stato quasi incruento. Era stata l’unica vittoria di una rivoluzione comunista in Europa dopo quella russa, ma la repubblica ebbe una vita breve e contraddittoria. I suoi leader promulgarono riforme moderne e liberali, ma ricorsero sistematicamente alla violenza; volevano migliorare la condizione dei più poveri, ma le loro riforme peggiorarono la situazione economica del paese, rendendola caotica. Nel giro di quattro mesi dalla sua fondazione, la Repubblica sovietica fu schiacciata dall’invasione dell’esercito rumeno, appoggiato dalla Francia e dalle forze paramilitari di estrema destra, dando inizio a un periodo di governi autoritari e antisemiti che sarebbe durato fino al 1945.

La Repubblica sovietica di Ungheria nacque nel periodo turbolento iniziato al termine della Prima guerra mondiale. L’Ungheria all’epoca era uno dei paesi più arretrati d’Europa, sottoposta da quasi 500 anni al dominio della famiglia reale austriaca e a lungo trattata come un possedimento coloniale. Soltanto nel 1867 il decadente Impero Austriaco era stato costretto a concedere autonomia all’aristocrazia ungherese, portando alla nascita dell’Impero Austro-Ungarico.

Nel frattempo, mentre il resto d’Europa si apriva alla modernità e abbandonava gli ultimi residui di feudalesimo, l’alleanza tra monarchia austriaca e aristocrazia ungherese rendeva il paese più arretrato e rurale. La vendita e la divisione dei grandi latifondi era proibita, così che i privilegi dell’aristocrazia potessero essere garantiti in perpetuo. Circa il 5 per cento della popolazione possedeva l’85 di tutta la terra del paese. Anche se in teoria la servitù era stata abolita, la stragrande maggioranza dei contadini era vincolata alla terra come durante il Medioevo. La legge stabiliva che i proprietari terrieri avevano il diritto di picchiare i braccianti, a patto che minfliggessero loro ferite in grado di guarire in al «massimo in 8 giorni». L’industria ungherese nacque in ritardo e soltanto intorno ai grandi centri urbani, come la capitale Budapest, e anch’essa era controllata dall’aristocrazia ungherese, con il sostegno di capitali austriaci, tedeschi e francesi.

L’inizio della Prima guerra mondiale, il primo conflitto dell’età industriale, fu devastante per un paese così arretrato. Su nove milioni di soldati mobilitati dall’Impero nel corso del conflitto, circa un milione morì, tra cui quasi 400 mila ungheresi. Un altro milione e mezzo di ungheresi fu ferito. Con la guerra che andava sempre peggio e i beni di prima necessità razionati, l’insoddisfazione della popolazione raggiunse rapidamente il culmine nel corso del 1918, l’ultimo anno di guerra. Il governo collassò e il potere venne preso in mano da gruppi di operai o di militari tornati dal fronte e organizzati nei “soviet”, “consigli” spontanei nati sull’esempio di quelli creati in Russia e che un anno prima avevano portato alla Rivoluzione di ottobre e alla creazione del primo stato comunista della storia.

Il 31 ottobre del 1918, in quella che venne chiamata la “rivoluzione dei crisantemi”, soldati e operai occuparono in maniera spontanea tutti i principali palazzi del governo nella capitale Budapest. Il primo ministro si dimise e il suo posto venne preso da Mihály Károlyi, un aristocratico liberale che fin dall’inizio della guerra aveva sostenuto l’indipendenza dell’Ungheria. Il 16 novembre, prendendo atto di un fatto oramai compiuto, il nuovo imperatore austriaco confermò da Vienna la nomina di Károlyi a primo ministro.

Il primo atto formale di Károlyi fu la proclamazione dell’indipendenza del paese e la nascita della Repubblica popolare d’Ungheria, uno stato effimero che di fatto non aveva un esercito né forze di polizia. L’ordine, o quello che ne restava, era nelle mani dei soviet che occupavano le città (mentre nelle campagne vigeva sostanzialmente l’anarchia). Károlyi cercò di adottare politiche prudenti e centriste, senza intraprendere vaste riforme dagli esiti imprevedibili, ma non ottenne risultati. La sua riforma agraria si arenò perché non c’era nessuno che si incaricasse di metterla in pratica (le sue personali proprietà furono tra le poche a essere effettivamente divise e distribuite). Come se questi non fossero problemi abbastanza complicati da gestire, Károlyi doveva anche occuparsi del delicatissimo negoziato con gli Alleati, usciti vincitori dalla guerra, e che consideravano il suo paese uno degli aggressori nel conflitto appena concluso.

Schiacciato tra le richieste degli alleati e incapace di governare il paese, Károlyi cedette il governo alla sinistra moderata, rappresentata dal partito Socialdemocratico. Non sapeva però che, nei giorni precedenti alla sua offerta, i socialdemocratici si erano segretamente fusi con il Partito Comunista Ungherese, guidato dall’ex giornalista Béla Kun e appoggiato dalla neonata Unione Sovietica di Vladimir Lenin (Kun, come molti leader comunisti, si trovava in quei giorni in prigione per ordine di Károlyi). Il giorno dopo l’offerta di formare il governo, il 21 marzo, i leader comunisti e i loro compagni socialdemocratici proclamarono la nascita della Repubblica Sovietica di Ungheria, accolti con grida di esultanza dalle migliaia di membri dei “soviet” giunti ad assistere alla proclamazione nelle piazze della capitale Budapest.

Kun venne nominato ministro degli Esteri del nuovo governo sovietico, ma da quella posizione, che gli permetteva di consultarsi regolarmente con il leader russo Lenin, governò di fatto il paese per i cinque mesi successivi (spesso seguendo alla lettera le istruzioni che Lenin gli spediva dalla Russia via radiotelegramma). Le riforme introdotte dal nuovo governo furono numerose e in teoria di grande portata. Venne introdotto il suffragio universale maschile e femminile (quasi due anni prima rispetto agli Stati Uniti) e fu approvata la prima costituzione scritta nella storia del paese. Vennero aboliti il feudalesimo, i privilegi dell’aristocrazia e del clero. L’istruzione venne riformata, nazionalizzata e tolta dalle mani della chiesa (e nel curriculum scolastico vennero introdotti anche corsi di educazione sessuale).

Kun rifiutò di redistribuire la terra ai contadini, poiché pianificava una “collettivizzazione” che avrebbe trasformato i contadini in agricoltori salariati dello Stato (un piano che rese istantaneamente nemica del governo la maggioranza degli abitanti dell’Ungheria rurale), mentre i suoi piani di nazionalizzazione dell’industria e di controllo dei prezzi produssero caos e inflazione. Per contrastare il crescente disordine nelle campagne, Kun autorizzò misure repressive sempre più violente. Un gruppo di miliziani, chiamato “I ragazzi di Lenin”, divenne particolarmente famoso per la sua brutalità. Quando a giugno i leader del partito Socialdemocratico tentarono un colpo di stato contro i loro ex alleati comunisti, la repressione si estese anche a Budapest, con processi ed uccisioni sommarie.

Alla fine la pressione esterna e l’isolamento fecero crollare la Repubblica Sovietica di Ungheria. Convinto dalla dottrina comunista di Lenin che una grande rivoluzione stesse per spazzare via il capitalismo dall’Europa, Kun si lanciò in una serie di avventure militari fallimentari, come un fallito tentativo di instaurare un regime comunista nella vicina Slovacchia. Persuasi che i comunisti avessero davvero l’obiettivo di conquistare il mondo, gli Alleati vincitori della guerra inviarono truppe e finanziamenti a chiunque si opponesse al comunismo. In Russia non ebbero successo, ma in Ungheria le cose andarono diversamente. Le truppe dell’esercito rumeno, appoggiato e finanziato dalla Francia, si fecero facilmente strada in Ungheria, senza incontrare opposizione da parte della demoralizzata Armata Rossa ungherese. Alla fine di luglio Kun e gli altri leader comunisti fuggirono a Vienna e da lì in Russia. Il primo agosto l’esercito rumeno e le milizie di estrema destra del leader nazionalista Miklós Horthy entrarono a Budapest mettendo fine al regime comunista.

In quei giorni iniziò un sanguinoso periodo di repressione nei confronti di intellettuali di sinistra, comunisti ed ebrei che passò alla storia come il “Terrore bianco”. Il regime autoritario instaurato in quelle settimane sarebbe durato per i successivi 35 anni, diventando sempre più spietato, fino al punto di collaborare con i nazisti nello sterminio di mezzo milione di ebrei ungheresi.