Le norme sulla protezione umanitaria introdotte dal “decreto sicurezza” non sono retroattive, dice la Cassazione

Migranti sgomberati dall'ex villaggio olimpico di Torino nell'agosto del 2018. (ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)
Migranti sgomberati dall'ex villaggio olimpico di Torino nell'agosto del 2018. (ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

Con una sentenza sul caso di un migrante al quale era stata respinta la richiesta di protezione umanitaria, la Corte di Cassazione ha stabilito che le norme restrittive introdotte dal cosiddetto “decreto sicurezza” voluto dal ministro dell’Interno non possono essere applicate alle domande presentate prima del 5 ottobre, cioè la data di approvazione del decreto.

Tra le altre cose, infatti, il decreto ha cancellato i permessi di soggiorno umanitari, una delle tre forme di protezione che potevano essere accordate ai richiedenti asilo (insieme all’asilo politico vero e proprio e alla protezione sussidiaria). La protezione umanitaria durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il decreto ha introdotto una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno. Repubblica scrive che “ora è prevedibile una pioggia di ricorsi” perché “la maggior parte delle domande che sono state esaminate (e respinte) in questi mesi dalle Commissioni d’asilo sono state tutte presentate prima di ottobre”.