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  • Lunedì 18 febbraio 2019

Il caso dell’Inter spiega molte cose del calcio femminile in Italia

È l'ultima prova di quanto poco basti per rendere le squadre più competitive e avvicinarle al pubblico

Regina Baresi, capitana dell'Inter, in una partita dello scorso campionato (GettyImages)
Regina Baresi, capitana dell'Inter, in una partita dello scorso campionato (GettyImages)

A febbraio la squadra femminile dell’Inter ha battuto 7-0 il Genoa nella quindicesima giornata del campionato di Serie B. Per l’Inter è stata la quindicesima vittoria consecutiva in una stagione conclusa da imbattuta. Ad aprile la squadra allenata dall’argentino Sebastian De La Fuente ha infatti vinto il campionato con 14 punti in più della seconda, una sola partita pareggiata, 87 gol fatti e soltanto 12 subiti: un dominio incontrastato che si è concluso con il ritorno in Serie A proprio nella stagione iniziata con l’atteso passaggio sotto l’Inter vera e propria.

L’anno scorso l’Inter femminile non riuscì a ottenere la promozione. Concluse la Serie B al secondo posto dietro l’Orobica, squadra che in questa stagione è arrivata ultima per distacco in Serie A. Lo scorso autunno, però, le cose sono cambiate. La dirigenza dell’Inter maschile ha rilevato il titolo sportivo di proprietà dell’allora ASD Femminile Inter Milano, facendola diventare a tutti gli effetti la sua squadra femminile di riferimento. La precedente società era stata fondata nel 2009 da Elena Tagliabue, ex presidente, moglie di Giuseppe Baresi (ex capitano e vice allenatore dell’Inter) e madre di Regina, tuttora attaccante e capitana della formazione.

A differenza di Juventus, Milan e Roma, che hanno comprato il titolo sportivo delle loro attuali squadre femminili da club già esistenti (la Juventus dal Cuneo, il Milan dal Brescia), l’ASD Femminile era indipendente e godeva da otto anni di un’affiliazione con l’Inter, a cui nelle precedenti stagioni aveva già affidato il proprio settore giovanile.

In vista della nuova stagione, con l’obiettivo di ritornare subito in Serie A, l’Inter è subentrata nella gestione e ha riorganizzato la squadra a partire dalla nomina dell’avvocata Ilaria Pasqui a responsabile dello sviluppo del settore femminile. La squadra ereditata era competitiva e promettente ma anche molto giovane, motivo per cui aveva bisogno di più esperienza. La società ha quindi ingaggiato sei nuovi giocatrici, mediamente più esperte di quelle già in rosa. Lo staff è stato inoltre migliorato con l’incremento del numero di preparatori.

In un contesto più professionale — e a detta delle giocatrici anche inevitabilmente più prestigioso, grazie all’ingresso dell’Inter — la squadra femminile che l’anno prima faticava, quest’anno è rimasta in testa dall’inizio alla fine del campionato. Nella Serie B questo è stato possibile anche perché solo Empoli, Lazio e Cittadella sono affiliate ai rispettivi club maschili. Le altre sono ancora indipendenti e quindi con mezzi e risorse limitati che le rendono per forza di cose meno competitive.

La disuguaglianza tra le squadre indipendenti e quelle gestite dai club maggiori è evidente anche in Serie A. Le prime cinque squadre in classifica — Juventus, Fiorentina, Milan, Roma e Atalanta — sono tutte sezioni femminili delle rispettive società maschili. La prima grande società a entrare nel calcio femminile fu la Fiorentina, che infatti nel 2017 vinse lo Scudetto. L’anno scorso però la Fiorentina arrivò terza e a vincere fu la Juventus, alla prima apparizione nel campionato.

Per le squadre femminili associarsi ai club già esistenti, oltre agli indubbi benefici sportivi ed economici, serve anche ad avvicinarsi al pubblico. L’Inter, per esempio, era solita giocare le sue partite a Sedriano, un piccolo comune distante una ventina di chilometri da Milano. Quest’anno le ha disputate al Centro di Formazione Suning, tra Niguarda e Bresso — dove si allenano tutte le giovanili dell’Inter — ben più vicino al centro di Milano della lontana Sedriano. L’accessibilità all’impianto ha favorito di conseguenza l’aumento degli spettatori alle partite.