Che ne è del caso Huawei

L'arresto della direttrice finanziaria – e figlia del capo dell'azienda – sta peggiorando i già complessi rapporti tra Stati Uniti e Cina

(GREG BAKER/AFP/Getty Images)
(GREG BAKER/AFP/Getty Images)

Meng Wanzhou, la direttrice finanziaria (CFO) di Huawei e la figlia del fondatore dell’azienda, arrestata dieci giorni fa a Vancouver in Canada, ha fatto richiesta di essere scarcerata in attesa dell’udienza che dovrà decidere la sua estradizione verso gli Stati Uniti. La richiesta è stata formulata lunedì 10 dicembre davanti a un giudice, che il giorno dopo ha deciso di concedere a Meng la libertà su cauzione. La vicenda giudiziaria di Meng è strettamente legata alla cosiddetta “guerra commerciale” tra Cina e Stati Uniti, avviata dal presidente statunitense Donald Trump: sta portando a nuove grandi tensioni diplomatiche e potrebbe avere ripercussioni nel settore tecnologico.

Nel corso dell’udienza di lunedì gli avvocati di Meng hanno spiegato che la loro cliente non è in buone condizioni di salute e che, una volta scarcerata, rimarrebbe comunque a Vancouver senza alcun rischio di fuga. Gli avvocati hanno inoltre illustrato una proposta piuttosto dettagliata per garantire che Meng resti in Canada: vivrebbe confinata in una delle sue due case a Vancouver sotto il controllo di suo marito, offrirebbe come garanzia svariati milioni di dollari e proprietà immobiliari, sarebbe disposta a indossare un braccialetto elettronico e a farsi tenere sotto controllo da una società di sicurezza e sorveglianza privata, a sue spese. La libertà cauzione prevede 15 disposizioni a cui Meng dovrà attenersi: dovrà, tra le altre cose, sottoporsi a una sorveglianza costante, indossare il braccialetto elettronico, consegnare entrambi i suoi passaporti e fornire una garanzia pari a 10 milioni di dollari canadesi.

Meng è stata arrestata lo scorso 1 dicembre all’aeroporto di Vancouver, mentre stava compiendo uno scalo per un viaggio da Hong Kong verso il Messico. L’arresto è stato eseguito dalla polizia canadese su richiesta degli Stati Uniti, che accusano Meng di avere partecipato ad alcune attività per la vendita di prodotti all’Iran, violando le sanzioni statunitensi.

L’arresto è avvenuto nelle stesse ore in cui Trump stava incontrando il presidente cinese, Xi Jinping, nell’ambito del recente G20 organizzato in Argentina. Durante l’incontro i due presidenti avevano concordato una sorta di tregua nella guerra commerciale, con l’obiettivo di trovare un accordo più stabile entro 90 giorni. La vicenda di Meng potrebbe complicare le trattative, anche se per ora il governo cinese ha cercato di mantenere la questione di Huawei fuori dal confronto.

Il governo cinese ha comunque criticato la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, minacciando conseguenze anche per il Canada. Gli ambasciatori dei due paesi a Pechino sono stati convocati dalle autorità cinesi, che hanno espresso la loro disapprovazione per l’arresto. L’arresto di Meng è stato definito dal governo cinese una “violazione dei diritti umani”, definizione che ha fatto sollevare qualche perplessità e ironia da parte di numerosi osservatori. Il governo cinese viola sistematicamente i diritti civili e umani dei suoi oppositori, reprime moltissime forme di dissenso politico e censura abitualmente i mezzi di comunicazione.

Meng è accusata di avere mentito alle autorità finanziarie statunitensi nel 2013, quando dichiarò che Huawei non aveva nulla a che fare con Skycom, azienda di Hong Kong che secondo gli Stati Uniti aveva venduto prodotti all’Iran, violando le sanzioni. Gli avvocati di Meng respingono da giorni questa versione, sostenendo che Skycom fosse stata venduta da Huawei già nel 2009 e che quindi non potessero esserci legami con le attività fraudolente.

Huawei è la più grande azienda tecnologica privata della Cina. Fondata nel 1987 da Ren Zhengfei, padre di Meng ed ex ufficiale dell’esercito, si è sviluppata enormemente negli ultimi due anni sia nel settore della produzione di sistemi per le telecomunicazioni, sia in quello degli smartphone per i singoli consumatori, che le ha portato maggior fama soprattutto in Occidente. Grazie a prodotti di buona qualità e a prezzi molto bassi, con la rinuncia a produrre alti margini, Huawei quest’anno ha superato Apple per volumi di produzione, diventando il secondo più grande produttore di smartphone dopo Samsung.

Nonostante le sue dimensioni, Huawei continua a essere un marchio poco diffuso negli Stati Uniti, anche a causa delle limitazioni imposte dal governo e dal Congresso. L’azienda è ritenuta poco affidabile e a rischio perché attraverso i suoi strumenti potrebbe sottrarre informazioni di intelligence e segreti industriali, da riutilizzare o rivendere poi in Cina, ritengono le autorità statunitensi. Qualcosa di analogo è avvenuto quest’anno anche con ZTE, altra grande azienda con legami col governo cinese.

Le principali agenzie di intelligence sono molto diffidenti nei confronti di Huawei da tempo. A parte il Canada, altri quattro paesi che collaborano molto tra loro per la condivisione delle informazioni di intelligence (Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) hanno deciso di mettere al bando Huawei per la realizzazione delle future reti 5G, la nuova evoluzione dei sistemi di telecomunicazioni cellulari, sostenendo potenziali pericoli per la sicurezza nazionale. In Giappone, un nuovo provvedimento ha di recente messo al bando sia Huawei sia ZTE dai contratti pubblici, e altrettanto dovrebbero fare a breve le tre principali aziende private di telecomunicazioni del paese.

Huawei nega qualsiasi coinvolgimento in attività fraudolente e sostiene che l’arresto di Meng sia motivato da semplici calcoli politici. La vicenda ha portato a ulteriori diffidenze tra Stati Uniti e Cina nel settore – competitivo e in piena espansione – dei sistemi di telecomunicazione e dei prodotti di consumo come gli smartphone. Alcune grandi aziende statunitensi temono che possano esserci rappresaglie da parte della Cina, con l’arresto di loro manager che si trovano all’estero. Sono circolate notizie su una email inviata dalla statunitense Cisco ai suoi dipendenti, nella quale si sconsigliava di raggiungere la Cina. Cisco ha poi ridimensionato la notizia, sostenendo di avere inviato l’email per errore, ma le preoccupazioni sono comunque condivise da diverse altre grandi aziende.

Intanto, in Cina, i principali media controllati dal governo non stanno risparmiando critiche nei confronti degli Stati Uniti. Il Global Times, uno dei giornali più letti, dice che l’arresto di Meng porterà gli statunitensi a isolarsi sempre di più dalle opportunità dell’economia digitale, lasciando il suo futuro in mano ad altri paesi, come la Cina.