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  • Giovedì 12 luglio 2018

Il successo dello sport in Croazia

Non è più una novità, ma che un paese di 4 milioni di abitanti competa ai più alti livelli in così tanti sport è sorprendente, anche perché non c'è una vera spiegazione

di Pietro Cabrio

Il portiere Danijel Subasic sotto la bandiera croata dopo la vittoria in semifinale contro l'Inghilterra (YURI CORTEZ/AFP/Getty Images)
Il portiere Danijel Subasic sotto la bandiera croata dopo la vittoria in semifinale contro l'Inghilterra (YURI CORTEZ/AFP/Getty Images)

Con la vittoria nella semifinale dei Mondiali di calcio contro l’Inghilterra, la Croazia diventerà la seconda nazionale più piccola ad aver mai disputato una finale della Coppa del Mondo FIFA. Ha infatti poco più di 4 milioni di abitanti e solo l’Uruguay — vincitore nel 1930 e nel 1950 — all’epoca ne aveva di meno: circa 2,5 milioni. La Croazia può essere considerata una sorpresa, ma già prima dell’inizio del torneo era considerata tra le favorite. Il calcio inoltre è solo l’ultima disciplina sportiva in cui il piccolo paese slavo arriva fra i primi al mondo.

Il percorso della nazionale croata ai Mondiali è stato costante e ha impressionato soprattutto per l’intensità fisica mantenuta dalla squadra nel corso del torneo. Dopo un girone concluso con tre vittorie su tre partite (tra cui un 3-0 all’Argentina), ha battuto l’Inghilterra in semifinale ai tempi supplementari nonostante sia nei quarti che negli ottavi di finale contro Danimarca e Russia abbia giocato per 120 minuti, fino ai calci di rigore. Con l’Inghilterra è stata in difficoltà e ha subito la pressione avversaria solo nel primo tempo: poi è cresciuta, ha recuperato lo svantaggio di un gol e nel finale ha preso il sopravvento.

Un altro aspetto che ha permesso alla Croazia di qualificarsi alla finale è quello tattico. Avendo a disposizione alcuni dei migliori giocatori al mondo in ogni reparto, la squadra ha a disposizione diverse alternative di gioco. Può spingere nella parte centrale, dove giocano il capitano Luka Modric e Ivan Rakitic, due fra i centrocampisti più forti al mondo, titolari rispettivamente nel Real Madrid e nel Barcellona. Ma può anche sfruttare le fasce, da una parte con Ivan Perisic, uno degli esterni più incisivi del Mondiale, e dall’altra con Ante Rebic, che alcuni ricorderanno per le sue poco convincenti prestazioni nella Fiorentina, ma che nel campionato tedesco è migliorato moltissimo. Infine può contare su uno dei centravanti più apprezzati in attività, Mario Mandzukic, punto di riferimento della squadra in attacco la cui presenza può essere sfruttata con lanci lunghi a scavalcare il centrocampo, e su un ottimo terzino di spinta, Sime Vrsaljko, che gioca nell’Atletico Madrid dopo tre buone stagioni in Italia.

L’ultimo di tanti successi

Il calcio croato, nonostante esista dai primi anni Novanta, in seguito all’indipendenza del paese dalla Jugoslavia, nella sua breve storia ha ottenuto un terzo posto ai Mondiali del 1998 e ora giocherà la prima finale con quella che probabilmente è la sua miglior generazione di calciatori. Ci sono decine di paesi più grandi e ricchi – l’Inghilterra ad esempio – che non hanno ottenuto nulla di simile. Se poi si vanno a guardare gli altri sport, la storia non cambia. Nel basket la Croazia è stata eliminata agli ottavi di finale sia agli ultimi Mondiali che agli Europei: due risultati sotto le aspettative, perché il paese attualmente ha sette giocatori in NBA (la Spagna ne ha nove, la Germania otto, l’Italia due). Nel tennis ha un giocatore, Marin Cilic, vincitore di Slam e nei primi dieci del ranking mondiale ATP. Nella pallanuoto, l’altro sport nazionale, è campione in carica e ai Mondiali non si classifica fuori dalle prime tre dal 2005. Nella pallamano si è classificata quarta ai Mondiali disputati lo scorso anno.

In una partita degli Europei di calcio del 2016, il terzino Vedran Corluka venne medicato per una ferita alla testa con una cuffia della nazionale croata di pallanuoto. I tifosi croati sono soliti indossarla quando seguono il calcio, dato che la pallanuoto è uno degli sport nazionali (Julian Finney/Getty Images)

Date le piccole dimensioni del paese, spesso vittorie e record sportivi uniscono padri, figli e fratelli. L’ultima famiglia ad aver dato allo sport croato più di un atleta di successo sono i Vlasic, della città adriatica di Spalato. La figlia maggiore Blanka, due ori mondiali e un argento olimpico nel salto in alto, è l’atleta che è andata più vicina al record mondiale stabilito della bulgara Stefka Kostadinova nel 1987. Suo fratello minore, Nikola, gioca in Premier League con l’Everton, è nel giro della nazionale maggiore ed è uno dei giocatori che probabilmente saranno chiamati a sostituire l’attuale “generazione d’oro” croata. I successi nell’atletica, inoltre, non si fermano a Blanka Vlasic: Sandra Perkovic, da tre anni membro del Parlamento croato, è la campionessa in carica del lancio del disco da due edizioni delle Olimpiadi estive. Questi risultati sorprendono anche per il fatto di arrivare con simile frequenza sia negli sport individuali che in quelli di squadra, che richiedono più strutture e investimenti.

Ma i risultati si spiegano solo in parte

Per spiegare il successo dello sport croato si cita spesso la lunga tradizione sportiva del paese, che inizia fin dalle giovanili, e la prestanza fisica che contraddistingue le popolazioni di origine slava, in particolare quelle del sud (ai Mondiali la Croazia è la quarta squadra più alta: la prima era la Serbia). Sono entrambe ragioni valide. Oltre a essere portati per le attività sportive più diffuse – come lo sono tante altre etnie – negli ultimi decenni lo sport è stato uno dei maggiori simboli dell’identità nazionale croata. Sotto la Jugoslavia, gli attuali stati indipendenti che la componevano puntavano molto sulle competizioni sportive, anche quelle locali, per continuare ad affermare le proprie identità, separate e rivali anche sotto la stessa bandiera. Questo avveniva in particolare tra croati e serbi, i due popoli dominanti della Jugoslavia e da secoli sostanzialmente rivali in tutto.

Ma, di nuovo, non sono condizioni che si trovano solo ed esclusivamente nei paesi dell’ex Jugoslavia e non forniscono nemmeno una spiegazione sufficientemente dettagliata e completa. Come ha scritto di recente sul Guardian il corrispondente croato Aleksandar Holiga, gli ottimi risultati calcistici della Croazia (e per riflesso anche quelli ottenuti negli altri sport) sembrano quasi arrivare dall’improvvisazione.

Il campionato di calcio croato, per esempio, è costituito per la maggior parte da squadre indebitate che ogni anno rischiano il fallimento. Il sindacato dei calciatori FIFPro sconsiglia tuttora ai giocatori stranieri di firmare contratti con molte squadre del campionato, perché il rischio di non essere pagati è alto. Le strutture sportive sono vecchie e inadatte, e persino lo stadio principale del paese, il Maksimir di Zagabria, dove gioca solitamente la nazionale, è vecchio e completamente scoperto, cosa che rende quasi impossibile assistere a una partita per novanta minuti con le basse temperature che Zagabria raggiunge in inverno. Il freddo e l’inospitalità degli stadi sono anche i motivi per cui il campionato si ferma ogni anno da dicembre a febbraio.

Gonzalo Higuain al Maksimir di Zagabria per Dinamo-Juventus, partita dei gironi di Champions League 2016/17 (STR/AFP/Getty Images)

La maggioranza dei giocatori nel giro della nazionale si è formata nella Dinamo Zagabria, il più grande club del paese e uno dei più efficienti settori giovanili d’Europa. Nelle ultime tredici stagioni, la Dinamo non ha vinto il campionato solamente l’anno scorso, quando lo vinse il Rijeka, che però è finanziato da una proprietà italiana. Il dominio della Dinamo si è venuto a creare per le difficoltà economiche della sua storica rivale, l’Hajduk Spalato, che solo di recente ha iniziato lentamente a ristabilirsi, e poi per lo strapotere economico raggiunto dal club, che è un’entità pubblica e viene finanziato dalla città. Nel corso degli anni, inoltre, la Dinamo ha perfezionato la sua accademia giovanile avvalendosi di una squadra satellite, il Lokomotiva Zagabria, che milita nel suo stesso campionato e a cui vengono inviati i migliori talenti delle giovanili. Il legame fra Dinamo e Lokomotiva è però ritenuto scorretto e profondamente antisportivo, proprio per il fatto di disputare lo stesso torneo.

Fra le sue eccellenze, la Dinamo è stata comunque gestita in modo scriteriato. L’uomo che l’ha amministrata per anni, Zdravko Mamic, e suo fratello Zoran, ex allenatore della prima squadra, sono stati accusati di aver sottratto per anni soldi alle casse del club. Tre anni fa l’agenzia anticorruzione nazionale li arrestò con l’accusa di evasione fiscale, estorsione e corruzione (l’estate scorsa qualcuno ha tentato di uccidere Zdravko Mamic in un agguato in Bosnia). Nell’ultimo decennio la Dinamo ha cambiato di continuo allenatori, dirigenti e coordinatori del settore giovanile. Uno di loro, Romeo Jozak, è ritenuto uno dei più bravi preparatori giovanili in attività e in molti gli danno tuttora il merito del livello raggiunto dalla nazionale croata. Prima con la Dinamo e poi con la federazione, Jozak ha contribuito alla creazione di programmi di allenamento e sviluppo giovanili su base nazionale che sono stati ritenuti oltremodo efficaci e ora vengono usati come modello anche all’estero (negli Stati Uniti, per esempio). Ma per qualche motivo, Jozak venne esonerato dalla federazione poche settimane prima della presentazione ufficiale del suo programma federale e nell’ultima stagione è andato in Polonia ad allenare il Legia Varsavia.

Holiga conclude il suo articolo scrivendo: «È possibile, tuttavia, che questi croati sfrontati e intraprendenti in realtà prosperino nel caos e nella mancanza di organizzazione? Essendo tutti abituati all’improvvisazione fin da giovani, forse l’hanno accettato come parte della loro mentalità, e ora stanno trovando il successo tutti uniti nello stesso gruppo. È una teoria allettante, ma forse, alla fine di tutto, potrebbe trattarsi solamente di fortuna». È un ipotesi che si presta bene all’attuale nazionale, il cui allenatore, Zlatko Dalic, è stato chiamato due giorni prima dell’ultima e decisiva partita delle qualificazioni ai Mondiali. Nei precedenti otto anni, Dalic aveva allenato solamente in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi. La sua nomina aveva suscitato parecchie critiche alla federazione, accusata ancora una volta di dare preferenza a persone caldeggiate dai dirigenti anche se senza competenze necessarie per allenare una squadra così forte. Nelle prime partite dopo la nomina, tuttavia, Dalic è sembrato avere delle idee di gioco interessanti e soprattutto ha saputo gestire molto bene il gruppo di giocatori, con cui ha un legame molto forte.