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  • Sabato 9 giugno 2018

Come i giornali devono parlare dei suicidi

Senza descriverne i dettagli, senza sensazionalismi e seguendo altre linee guida consigliate dagli esperti, perché la loro irresponsabilità può avere delle conseguenze

In questi giorni, per via delle morti della stilista Kate Spade e dello chef Anthony Bourdain, è tornato attuale il tema di come i giornali dovrebbero parlare di suicidio in modo responsabile. Negli anni se ne sono occupati molti studi, che hanno dimostrato che il modo in cui vengono date le notizie di suicidi, di persone famose o no, può avere conseguenze rilevanti sulle persone che soffrono di problemi mentali, spingendole a pensare al suicidio come a una possibile soluzione al proprio disagio: e, in certi casi, a uccidersi a loro volta. Oltre al solito consiglio di evitare sensazionalismi, gli esperti hanno in diverse occasioni consigliato delle linee guida sul tema per i media.

Il problema dell’emulazione
Come si era già scritto (anche sul Post) dopo la morte dell’attore Robin Williams nel 2014, e come ha scritto la storica Jennifer Michael Hecht su Vox dopo quella del dj svedese Avicii, le notizie che riguardano la morte di una persona per suicidio, soprattutto quando si tratta di una persona famosa, possono spingerne altre a uccidersi. Succede soprattutto tra le persone nella stessa fascia d’età e dello stesso genere della celebrità in questione, ed è un fenomeno generalmente più frequente tra i giovani. Viene comunemente chiamato “effetto Werther”, perché a fine Settecento si riscontrò un aumento nel numero di suicidi tra i giovani riconducibile alla lettura del romanzo I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe, il cui protagonista, per l’appunto, si suicida. È stato osservato che più i media parlano di un suicidio e più informazioni dettagliate ne danno, maggiore è l’effetto di emulazione.

Dopo la morte di Robin Williams, molti siti di news americani – incluso il New York Times, solitamente attento ai temi etici legati al giornalismo – ne parlarono scrivendo nei titoli come l’attore si era ucciso, in alcuni casi addirittura scendendo nei particolari. Sono due cose sconsigliate dagli esperti di suicidi proprio per limitare l’effetto dell’emulazione.

In quell’occasione venne molto criticato anche un tweet che l’Academy, l’organizzazione americana che organizza i premi Oscar, dedicò a Williams: diceva «Genio, sei libero» in riferimento alle parole che il protagonista del film animato Aladdin rivolge al Genio della lampada, doppiato proprio da Williams nella versione originale. Il tweet comunicava esplicitamente l’idea che il suicidio sia una scelta liberatoria, un messaggio che secondo molti poteva influenzare persone che già avevano istinti suicidi.

Nei quattro mesi dopo la morte di Williams il tasso dei suicidi negli Stati Uniti aumentò del 10 per cento, secondo i dati dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, l’agenzia federale che si occupa di fare controlli sulla sanità pubblica. L’aumento riguardò in particolare uomini di mezza età, cioè la stessa categoria demografica a cui apparteneva Williams. Inoltre secondo uno studio della Columbia University, nei cinque mesi successivi alla morte di Williams il tasso dei suicidi avvenuti con modalità simili a quello di Williams aumentò di più del 32 per cento. In confronto il tasso di suicidi con altri metodi aumentò del 3 per cento.

Nel suo articolo Jennifer Michael Hecht spiega che in passato, quando si fece più attenzione a evitare l’effetto dell’emulazione, si riuscirono a ottenere buoni risultati. Nel 1987 a Vienna, in Austria, il numero di suicidi nella metropolitana diminuì dell’80 per cento dopo che fu fatta una grande campagna di comunicazione preventiva che tra le altre cose invitò i media a parlare dei suicidi in modo diverso.

Quando nel 1994 morì Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana, i giornali e le televisioni americane recepirono molto bene le linee guida per parlare dei suicidi sui media realizzate solo cinque anni prima dai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie. Il New York Times, per esempio, diede la notizia con il titolo «Kurt Cobain, poeta riluttante del grunge, morto a 27 anni», senza citare il suicidio. È difficile stimare quale sia stato il peso del diverso approccio dei media nel riportare la notizia, ma sappiamo che nei mesi successivi alla morte di Cobain il tasso dei suicidi non aumentò nella zona di Seattle, la città del musicista.

È possibile che l’effetto fu ottenuto anche perché gli esperti di suicidi si impegnarono a creare delle strutture di sostegno speciali a Seattle, proprio come risposta alla morte di Cobain: uno studio su questa iniziativa ne mostrò l’efficacia, rilevando che mentre il numero di telefonate ai numeri di ascolto aumentò in quel periodo, quello dei suicidi rimase stabile. Secondo molti, infatti, è possibile che i media possano addirittura avere un effetto positivo e aiutare le persone più vulnerabili quando parlano di suicidi: non solo dando le informazioni in modo responsabile, seguendo i consigli degli esperti di suicidi, ma anche segnalando indicazioni o numeri di telefono da contattare in caso di emergenze, come è già comune nei giornali anglosassoni. John Draper, direttore della National Suicide Prevention Lifeline, un servizio telefonico americano che si occupa di ascoltare le persone in difficoltà, ha detto a USA Today che quando il numero di telefono della sua organizzazione viene diffuso dai media c’è effettivamente un aumento nel numero delle telefonate.

Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
L’OMS cura un manuale che consiglia ai media come parlare dei suicidi: viene aggiornato periodicamente, l’ultima volta nel 2017. Si intitola Preventing suicide: a resource for media professionals, cioè “Prevenire il suicidio: una guida per i professionisti dei media”, e si può leggere integralmente qui. In sintesi, le linee guida sono queste:

– spiegare a lettori, ascoltatori e telespettatori le notizie riguardo a un suicidio di cui si parla dando anche delle informazioni sulla prevenzione del suicidio;

– non diffondere pregiudizi e leggende metropolitane sui suicidi e non descrivere certi luoghi come posti in cui è comune che le persone si uccidano, né dare molti dettagli sul luogo in cui una persona si è suicidata, specialmente se famosa;

– scrivere degli articoli su come si possono affrontare i pensieri suicidi e come si può chiedere aiuto;

– non dare eccessivo spazio e importanza alle notizie che riguardano i suicidi;

– non usare titoli sensazionalistici quando si parla di un suicidio e non usare l’espressione “suicidio” nel titolo;

– non normalizzare o romanticizzare il suicidio quando lo si descrive, non presentarlo come un’alternativa a un problema;

– non riportare in modo esplicito il modo in cui una persona si è suicidata;

– non diffondere foto o video che mostrano il corpo della persona che si è suicidata e non fornire link ai profili social della persona in questione;

– fare particolare attenzione quando si parla del suicidio di una persona famosa;

– fare particolare attenzione se si decide di intervistare una persona che conosceva la persona morta o che ne era parente perché queste persone possono essere a rischio di farsi del male a loro volta.

Ovviamente quando una persona famosa si suicida i giornali non possono evitare di riportare la notizia, ma secondo gli esperti è importante che lo facciano in modo responsabile, parlando soprattutto di cosa ha fatto quella persona in vita e non di come è morta. Il fatto che oggi le notizie si diffondano soprattutto attraverso internet e i social network ha aumentato il numero di fonti che danno le notizie in modo poco responsabile e che usano certe parole chiave per essere più competitivi sui motori di ricerca: per questo è ancora più importante fare attenzione e cercare di riparare quando si sbaglia. Lo ha fatto oggi l’agenzia di stampa Associated Press: dopo aver pubblicato un articolo su Anthony Bourdain in cui già nel titolo descriveva il modo in cui lo chef si era ucciso, ha corretto l’articolo e ha scritto un tweet che spiegava che la sua versione originale era contraria alle proprie regole interne.

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.