Le cose che Rihanna ha fatto in 30 anni

La storia e le foto più belle della cantante di Barbados che è anche un'icona pop e di moda, una filantropa e un nuovo modello di donna

Rihanna alla prima di Okja al Festival del cinema di Cannes, in Francia, 19 maggio 2017
(ANNE-CHRISTINE POUJOULAT/AFP/Getty Images)
Rihanna alla prima di Okja al Festival del cinema di Cannes, in Francia, 19 maggio 2017 (ANNE-CHRISTINE POUJOULAT/AFP/Getty Images)

«Arrivò Rihanna e le altre ragazze non esistevano più»: è l‘effetto che l’allora 15enne Robyn Rihanna Fenty – ora solo Rihanna, o RiRi per milioni di fan – fece al produttore statunitense Evan Rogers alla sua prima audizione, mentre lui si trovava in vacanza a Barbados, ed è l’effetto che continua a fare oggi, 15 anni dopo, più o meno ovunque capiti.

Ora che Rihanna ha 30 anni – è nata a Saint Michael, a Barbados, il 20 febbraio del 1988 – è diventata una delle più grandi icone pop di sempre, ha venduto 230 milioni di dischi in tutto il mondo e macinato record e premi musicali – nove Grammy Awards, dodici American Music Awards, sempre 12 Billboard Music Awards e due BRIT Awards – ha inciso profondamente nel mondo della moda finendo per ricevere il Fashion Icon Award nel 2014, assegnato alla persona che ha più influito sulla moda dal sindacato degli stilisti americani, disegnato collezioni di vestiti e una linea vendutissima di trucchi. Nel mondo ci sono sue statue, una strada a lei dedicata, migliaia di meme, e un busto in cui Damien Hirst la modella come una regina dell’antichità.

Tutto questo iniziò in quel lampo, quando Rihanna convinse il produttore Rogers che sarebbe diventata l’icona pop che conosciamo, pur non avendo mai studiato musica o danza; era tutto quello che aveva sempre voluto, gli spiegò. Lui capì che «era più un bisogno urgente di scappare dalle ansie di una vita familiare violenta nell’illusione di una sicurezza e di un amore sconfinato che la vita sul palco sembra offrire. È quel desidero, più di ogni altro talento innato, per cui i fan entrano in sintonia, ed è quello che un produttore cerca in un nuovo artista. È l’unica cosa che non si può costruire a tavolino». Rihanna era cresciuta in un bungalow di tre stanze a Bridgetown in una famiglia modesta, con due fratelli, due sorellastre e un fratellastro nati da due precedenti relazioni del padre, dipendente dal crack e alcolizzato.

Lei lo aiutava a vendere vestiti in strada, riversando tutto il malessere in intensi mal di testa – i medici temettero che avesse un tumore – finché i genitori si separarono, quando aveva 14 anni. Da lì iniziò a funzionare tutto: fondò un gruppo con altre due ragazze e con loro si presentò davanti a Rogers per il provino in cui venne scoperta. L’anno dopo andò a vivere negli Stati Uniti con Rogers e sua moglie e registrò il demo di Pon de Replay, che sarebbe diventato il suo primo singolo. Lo inviò ad alcune case discografiche, tra cui Def Jam del rapper Jay Z; fissarono un incontro, lui la ascoltò dal vivo e, pare, la lasciò uscire dall’edificio solo alle tre del mattino, dopo aver fatto stendere un contratto ai suoi avvocati e convinto lei a firmarlo.

In quell’anno uscì il suo primo disco, Music of the Sun (2005), seguito da A Girl like Me (2006) e da Good Girl Gone Bad (2007), l’album di svolta in cui si allontanò da un sound caraibico più tradizionale, adottando anche una nuova immagine, molto più sensuale: vinse il suo primo Grammy, per la canzone “Umbrella”, e diventò famosa in tutto il mondo.

Rihanna si impose subito come un modello estetico da seguire, e da allora ha continuato a innovare, sperimentare e stupire con il suo aspetto e i suoi abiti: nel 2015 Nico Amarca di Highsnobiety scrisse che «in dieci anni di carriera Rihanna ha attraversato alcune delle metamorfosi estetiche più significative mai viste», finendo per far parlare di sé e influenzare il modo in cui si vestivano le donne di mezzo mondo. Nel 2015, lo stilista Olivier Rousteing disse che il suo stile ricordava quello delle più grandi icone di moda nella storia della musica, come Madonna, David Bowie, Michael Jackson e Prince.

Alcuni abiti che ha indossato sono memorabili, soprattutto per la stravaganza e gli eccessi sorprendenti: il “pizza dress”, o anche abito-frittata a seconda dei gusti, disegnato dalla stilista cinese Guo Pei indossato al Met Gala nel 2015; quello per la Festa del raccolto, una specie di carnevale di Rio di Barbados, e quello disegnato da Adam Selman e indossato per i premi del sindacato americano della moda.

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Come quella di tutti i personaggi famosi, anche la vita privata di Rihanna è finita sulle prime pagine dei giornali. Nel suo caso non è un tradimento o un banale litigio, ma una foto del suo viso gonfio e pieno di lividi dopo che il fidanzato, il rapper Chris Brown, l’aveva picchiata mentre era sotto effetto di droghe, un’esperienza che intrise di una certa cupezza il suo album successivo, Rated R. Tornarono a frequentarsi, ma nel 2013 si lasciarono definitivamente: lui continua a scriverle cose affettuose attraverso i social, auguri di compleanno compresi, provocando polemiche indignate tra i fan di lei. L’altra storia è quella con il rapper Drake, anche questa fatta di tira e molla, con lui che non perde occasione, anche pubblica, per provare a riconquistarla.

Per quanto più sottile, c’è un altro aspetto della vita privata di Rihanna centrale nella sua immagine pubblica: l’impegno nella filantropia, con la partecipazione continua a eventi di beneficenza, vertici internazionali e fondazioni benefiche, la prima fondata prima di compiere 20 anni. In particolare ha aiutato il Global Partnership for Education, un’associazione che vuole garantire l’istruzione a tutti i bambini del mondo, a raccogliere più di 2 miliardi di dollari. Per questo nel 2017 l’Università di Harvard l’ha scelta come “Persona umanitaria dell’anno”.

Oltre a tutto questo, Rihanna è prima di tutto una che fa musica e anche se la sua voce è stata criticata – non sarebbe abbastanza potente e dotata – è una delle più versatili del mondo del pop, cosa che l’ha aiutata ad azzeccare un successo dopo l’altro. Ha anche contribuito alla fortuna del deejay Calvin Harris duettando insieme in We Found Love del 2011, e introdotto una nuova influenza caraibica nella musica statunitense. Soprattutto, scrive il sito Refinery 29, ha ribaltato molti stereotipi attraverso i testi che ha scritto insieme agli autori, alle sue esibizioni dal vivo e ai video musicali, come il recente Bitch Better Have My Money. Se ci sono più ragazzine e donne sicure di sé, libere nella propria sessualità, con meno vergogna per il proprio corpo nudo o imperfetto, è anche un po’ merito suo.