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  • Martedì 20 febbraio 2018

Il caso Embraco, spiegato

Le cose da sapere sulla chiusura di uno stabilimento di compressori per frigoriferi in provincia di Torino e la reazione del governo italiano

Il presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, e il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Roma, 19 febbraio 2018 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Il presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, e il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Roma, 19 febbraio 2018 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Stamattina diversi quotidiani hanno aperto le loro prime pagine con la vicenda di Embraco, l’azienda brasiliana del gruppo Whirlpool che ha deciso di licenziare 500 persone nel suo stabilimento a Riva di Chieri (Torino) e di trasferire la produzione di compressori per frigoriferi in Slovacchia. Il caso va avanti da un mese ma ieri è tornato attuale a causa delle dichiarazioni molto battagliere del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, che ha interrotto le trattative con l’azienda per salvare i posti di lavoro, accusandola di «totale irresponsabilità». Per oggi è previsto un incontro fra Calenda e Margrethe Vestager, la Commissaria europea alla concorrenza, per capire se la decisione di Embraco rispetti le norme europee.

Dall’inizio
Lo stabilimento di Riva di Chieri era stato costruito negli anni Settanta da Fiat Aspera, la divisione di Fiat che produceva frigoriferi. Nel 1985 Fiat vendette il comparto Aspera a Whirpool, la principale multinazionale americana di elettrodomestici, che investì molto e spinse la produzione al massimo. Alla fine degli anni Novanta lo stabilimento impiegava circa 2.500 persone. Nel 2000 Whirpool lo cedette alla sua controllata Embraco, e iniziarono le difficoltà. Repubblica ricorda che la primissima crisi avvenne nel 2004, quando Embraco aprì uno stabilimento in Slovacchia e ridusse il lavoro a Riva di Chieri:

Embraco annuncia 812 esuberi. La Regione stanzia 7,7 milioni e si compra una parte dello stabilimento con l’obiettivo di affittarlo ad altre imprese, il governo mette altri 5 milioni, mentre la Provincia di Torino eroga 500 mila euro per la formazione. In cambio, Embraco investe e fa ripartire la fabbrica. Circa 420 addetti vengono lasciati a casa con la promessa di essere assunti dalle aziende in arrivo nell’area, ma l’operazione non decolla.

Nel 2014 Embraco minacciò di nuovo di lasciare l’Italia. Per farle cambiare idea, la Regione firmò un protocollo di intesa di due milioni di euro, e in cambio Embraco si impegnò a fare nuovi investimenti. Nel frattempo i dipendenti hanno continuato a diminuire, fino ad arrivare ai 537 di oggi.

La nuova crisi è iniziata a novembre del 2017, quando la società aveva annunciato una riduzione della produzione nello stabilimento di Riva di Chieri: un’azione che sembrava indicare la volontà di ridurre in maniera permanente il numero di operai impiegati, e spostare gran parte della produzione in Slovacchia. A gennaio i timori degli operai si sono rivelati fondati: Embraco ha deciso di spostare la produzione in Slovacchia e quasi 500 operai hanno ricevuto una lettera che annunciava il licenziamento collettivo.

Il tavolo del ministero
A quel punto è intervenuto il ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Carlo Calenda, che ha aperto un negoziato per trovare una soluzione. Dieci giorni fa il ministero aveva chiesto a Embraco di ritirare i licenziamenti e trasformarli in cassa integrazione, in modo da ridurre almeno in parte il costo degli operai per l’azienda (durante la cassa integrazione parte del loro stipendio viene pagato dallo Stato) e prendere tempo.

Nel frattempo si sarebbero cercate altre soluzioni possibili: per esempio un nuovo accordo per mantenere la produzione in Italia oppure la vendita a una società in grado di mantenere in piedi lo stabilimento e al lavoro i suoi operai. Se Embraco non avesse accettato la proposta di cassa integrazione, aveva detto Calenda, il governo l’avrebbe considerata una «dichiarazione di guerra».

Ieri Embraco ha confermato la sua intenzione di proseguire nei licenziamenti e ha respinto la proposta di cassa integrazione. Al suo posto ha offerto di riassumere gli operai licenziati con contratti part time fino a novembre. Calenda, i sindacati e il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, hanno tutti dichiarato inaccettabile la proposta e hanno fatto capire che considerano fondamentale mantenere la continuità con i contratti che gli operai hanno oggi. Fare nuovi contratti agli operai, infatti, comporta che retribuzioni e anzianità ripartano da zero, senza tenere conto dei livelli raggiunti.

Calenda sostiene che fra l’offerta di Embraco e la controproposta del ministero non ci siano differenze dal punto di vista economico. La cassa integrazione consente però di «fare un percorso di reindustrializzazione e continuità», come ha detto Calenda: in pratica, mantenere aperta la fabbrica renderebbe più facile la cessione a una nuova azienda. «Anche perché ci sono degli imprenditori interessati», ha ricordato Calenda all’ANSA. Parlando con Radio24, il ministro dello Sviluppo Economico ha detto che Embraco ha rifiutato la proposta per motivi incomprensibili: «la risposta è stata no perché abbiamo già annunciato ai mercati che licenziamo. [Per questo] non li ho voluti incontrare e li ho mandati a casa perché è un modo di fare che è del tutto inaccettabile».

E ora?
I lavoratori di Embraco hanno chiesto aiuto in tutte le direzioni: sono stati ricevuti da Papa Francesco, hanno messo in piedi un presidio a Sanremo durante il Festival e sfilato più volte in corteo. Il loro contratto scadrà il 25 marzo, tre settimane dopo le elezioni politiche.

Non è chiaro cosa Calenda potrà ottenere dall’incontro di oggi con Vestager. L’Unione Europea non ha delle regole molto stringenti sulla concorrenza interna: ha reagito solamente nel 2014 al problema del distacco transnazionale – cioè quello dei lavoratori spesso di origine est europea che vengono “trasferiti” in paesi più ricchi ma sono pagati con gli standard del paese d’origine – ma non pone limiti alla delocalizzazione all’interno dell’Unione, come potrebbe avvenire nel caso di Embraco. La Slovacchia ha ottenuto 20 miliardi di euro da spendere fra il 2014 e il 2020 per stimolare la propria economia, e Calenda teme che il governo slovacco li stia impiegando per mantenere bassissime le tasse sul lavoro, così da invogliare le aziende degli altri paesi europei a investire sul proprio territorio.

Intanto la Guardia di Finanza sta valutando se la decisione possa violare le leggi italiane sugli aiuti di stato, visto che Embraco ne ha ottenuti diversi sin dagli anni Duemila. Venerdì scorso la guardia di Finanza ha fatto un controllo nello stabilimento di Riva di Chieri e fotografato i macchinari acquistati alcuni anni fa con i fondi regionali.