Il caso dei rimborsi del M5S, spiegato bene

Da dove è partito, quante persone e quanto denaro coinvolge e perché è importante

(ANSA/ETTORE FERRARI)
(ANSA/ETTORE FERRARI)

Negli ultimi giorni si sta parlando molto del cosiddetto “scandalo rimborsi” all’interno del Movimento 5 Stelle. La trasmissione televisiva Le Iene ha scoperto infatti che alcuni parlamentari del Movimento hanno truffato il partito non versando o fingendo di versare la quota di stipendio che tutti gli eletti del M5S sono tenuti a versare in un fondo per il microcredito gestito dal ministero dell’Economia. Almeno dieci parlamentari sono coinvolti: avrebbero evitato di versare in tutto 1,4 milioni di euro, su un fondo di poco più di 20. Il Movimento ha ammesso alcune irregolarità e ha annunciato sospensioni ed espulsioni di tutti i parlamentari coinvolti.

Il servizio delle Iene che ha fatto nascere il caso prendeva di mira due deputati in particolare – Andrea Cecconi e Carlo Martelli – accusati di aver fatto bonifici al fondo, in modo da avere una ricevuta da pubblicare sul sito, per poi cancellarli nelle 24 successive, tornando così in possesso del proprio denaro. In questo modo Cecconi ha ammesso di aver recuperato 21 mila euro, Martelli 76 mila. Venerdì scorso entrambi hanno annunciato la loro sospensione dal Movimento: sono entrambi candidati alle elezioni e certi di conservare il seggio, ma hanno promesso di dimettersi non appena saranno eletti (cosa non semplicissima, al di là delle loro intenzioni).

Nel servizio venivano coinvolti con accuse abbastanza vaghe anche altri due parlamentari del Movimento 5 Stelle: Maurizio Buccarella e Barbara Lezzi. Martedì sera il Movimento ha confermato dal suo account Facebook che sono emerse irregolarità da parte di Cecconi, Martelli e Buccarella; non ha citato Lezzi ma ha aggiunto altri due nomi, Ivan Della Valle ed Emanuele Cozzolino. «A ognuno di questi è stato chiesto di provvedere immediatamente a versare quanto dovuto. Domani pubblicheremo ulteriori dati», ha concluso il Movimento. Dopo l’annuncio dell’influente europarlamentare David Borrelli – che abbandonerà il gruppo del M5S ufficialmente per “motivi di salute” – alcuni giornali oggi sollevano dubbi sulla regolarità dei versamenti dei parlamentari europei del partito.

Il caso sta avendo una notevole risonanza sui giornali per due ragioni, al di là delle ragioni di campagna elettorale che stanno portando gli avversari del M5S ad approfittarne. La prima è che l’inchiesta delle Iene ha rilevato che alcuni deputati hanno compiuto una vera e propria truffa ai danni del Movimento, una bugia durata anni e ribadita a ogni occasione possibile in tv, sui giornali, per le strade: dicevano di “restituire ai cittadini” parte dei loro stipendi ma in realtà effettuavano i bonifici e una volta caricata la ricevuta sul sito ufficiale del Movimento, tirendiconto.it, cancellavano il bonifico – è possibile farlo, entro 24 ore – per tornare in possesso del proprio denaro. In questo modo mantenevano un’apparenza virtuosa pur incassando il loro intero stipendio.

La seconda ragione è che sin dalla sua fondazione il Movimento ha costruito la sua identità politica soprattutto sull’onestà, sostenendo con forza che i suoi membri fossero profondamente diversi dal resto della classe politica prima ancora che per idee e programmi: più rispettosi delle regole, più corretti, più affidabili, più onesti. Il fondatore del Movimento, Beppe Grillo, sosteneva che per cambiare le cose fosse sufficiente eleggere in Parlamento un gruppo di comuni cittadini motivati da alti ideali che, anche con la sola presenza, avrebbero reso le cose più difficili ai disonesti.

Una delle strategie che il Movimento ha utilizzato per trasmettere con più efficacia questo messaggio è stata denunciare i supposti “privilegi” di cui godrebbero i partiti e rinunciare platealmente ad alcuni di quelli considerati più odiosi. I parlamentari del Movimento, per esempio, hanno promesso di versare metà della parte fissa del loro stipendio a un fondo gestito dal ministero dell’Economia, che li utilizza per fare microcredito alle imprese: di fatto significa rinunciare ogni mese a meno di duemila euro provenienti dalla parte fissa dello stipendio di un parlamentare. Possono invece intascare tutta la restante parte dello stipendio, tra i sei e gli ottomila euro provenienti da diaria e rimborsi, se riescono a giustificare le proprie spese.

Per quanto il Movimento abbia messo molta enfasi su questa rinuncia, non è un gesto senza precedenti nella storia della Repubblica. Quasi tutti i parlamentari che appartengono ai principali partiti rinunciano da sempre a una parte equivalente, se non superiore, del loro stipendio: ma invece che darla indietro allo Stato la girano al loro partito, che la utilizza per finanziare la sua attività politica. Per questo altri commentatori e opinionisti fanno notare che si parla comunque di soldi che per legge i parlamentari del M5S non erano tenuti a restituire allo Stato, e che la maggior parte dei loro parlamentari comunque ha versato regolarmente ogni mese quanto si era impegnato a fare.

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