La lettera con cui i genitori di Giulio Regeni hanno criticato il governo per il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo

Una manifestazione organizzata da Amnesty International per Giulio Regeni davanti a Montecitorio, Roma, 25 gennaio 2017
(ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
Una manifestazione organizzata da Amnesty International per Giulio Regeni davanti a Montecitorio, Roma, 25 gennaio 2017 (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

I genitori di Giulio Regeni, dottorando di 28 anni ucciso al Cairo all’inizio del 2016 in circostanze ancora poco chiare, hanno scritto una lettera per criticare di nuovo il governo italiano che ha deciso sei mesi fa, il 14 agosto del 2017, il ritorno dell’ambasciatore dell’Italia al Cairo:

«Sono trascorsi sei mesi dalla decisione del nostro Governo di rinviare l’ambasciatore al Cairo. Noi, e con noi tutti quelli che in ogni angolo del mondo hanno a cuore la Verità sul sequestro, le torture e la morte di nostro figlio Giulio, temevamo che questo gesto sarebbe stato interpretato come una resa incondizionata a quel potere che ha annientato Giulio e che occulta impunemente la verità da ormai due anni. Ed in effetti l’ambasciatore Cantini non aveva ancora fatto in tempo ad insediarsi che le autorità egiziane, forti di questa “normalizzazione dei rapporti” provvedevano a oscurare il sito della Ecrf, l’Ong alla quale appartengono i nostri consulenti egiziani; arrestare in aeroporto l’avvocato Ibrahim Metwaly che stava recandosi a Ginevra invitato dall’Onu a riferire sulle sparizioni forzate e sul caso di Giulio (il legale è ancora in carcere, sottoposto a trattamenti inumani e degradanti); disporre una perquisizione ed un tentativo di chiusura della Ecrf».

La decisione di mandare al Cairo, la capitale dell’Egitto, l’ambasciatore Giampaolo Cantini era stata annunciata dal ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano lo scorso agosto. L’Italia aveva richiamato il suo ultimo ambasciatore in Egitto, Maurizio Massari, nell’aprile del 2016, a causa della scarsa collaborazione delle autorità egiziane nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni. La decisione del governo italiano di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo era stata contestata già allora, anche dai genitori di Regeni, che ora sono tornati a dire:

«Abbiamo perso tempo. Non è possibile normalizzare i rapporti con uno stato che tortura, uccide e nasconde oltraggiosamente la verità, se non a scapito della credibilità politica del nostro Paese e di chi lo rappresenta. Crediamo sia necessario un immediato cambio di rotta. Occorre alzare la voce e pretendere, senza ulteriori indugi».

Nella loro lettera, i genitori di Regeni fanno anche riferimento ai progressi scarsi delle indagini e allo scarso impegno del governo sia italiano che egiziano:

«Sono passati, da quel 14 agosto, altri sei mesi. Le atrocità commesse dal governo egiziano, a dispetto della volontà di alcuni, non sono state dimenticate, non solo dal “popolo giallo” ogni giorno più numeroso, ma dalle centinaia di altre famiglie che hanno subito e subiscono continuamente le sparizioni forzate dei loro cari. Se, come ci era stato garantito dal nostro Governo, l’invio dell’ambasciatore, doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su “tutto il male del mondo” inferto su nostro figlio, il fine evidentemente non è stato raggiunto e la missione in questo senso è fallita».

I genitori di Regeni hanno concluso la lettera facendo riferimento ai video delle telecamere della metropolitana nel tragitto tra casa di Giulio e la stazione della metro di El Bohoth dov’era diretto per una cena la sera del 25 gennaio 2016. I video non sono ancora stati consegnati, come invece promesso, e non è chiaro nemmeno «se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero»:

«Ora serve senza ulteriori indugi, un incontro tra le due procure finalizzato all’immediata consegna dei video della metropolitana e alla concertazione di una strategia investigativa comune sulle nove persone già identificate come responsabili dai nostri investigatori e magistrati. Solo così la presenza dell’ambasciatore Cantini al Cairo non avrà il sapore di una resa ma acquisterà la dignità di una pretesa e, possibilmente, di una conquista di giustizia».