La beffa di Buccari, un secolo fa

Il 10 febbraio 1918 tre motoscafi italiani penetrarono le difese marine dell'Impero austroungarico: non fecero danni, ma ottennero qualcos'altro

Luigi Rizzo, Gabriele D'Annunzio e Costanzo Ciano (Wikimedia)
Luigi Rizzo, Gabriele D'Annunzio e Costanzo Ciano (Wikimedia)

Cento anni fa c’era la Prima guerra mondiale: l’esercito italiano aveva da poco subito, nel novembre 1917, la sconfitta di Caporetto, che aveva avuto un impatto pesantissimo sulla strategia e il morale delle truppe. Le cose si erano messe molto male e l’Italia aveva bisogno, oltre che di vittorie, anche solo di qualche nuovo simbolo cui aggrapparsi per dimenticare Caporetto. L’occasione giusta capitò con la cosiddetta beffa di Buccari, che avvenne tra il 10 e l’11 febbraio 1918. Non fu né una vittoria né una sconfitta, ma storici e cronache ne parlarono come di “una tra le imprese più audaci” di quella guerra, con una “influenza morale incalcolabile”, nonostante fu “sterile di risultati materiali”.

Tutto iniziò con un’incursione militare della Marina italiana nel porto di Bakar (Buccari, in italiano), nell’attuale Croazia, vicino a Rijeka (Fiume, in italiano). Nella baia di Buccari c’erano alcune navi della marina austroungarica e la marina italiana decise di provare a distruggerle. L’incursione fu fatta da un commando di tre MAS, motoscafi armati siluranti, noti anche come motoscafi anti sommergibili: potevano muoversi agilmente, si facevano notare poco e potevano lanciare siluri. I tre motoscafi partirono dal porto di Ancona, inizialmente rimorchiati da tre torpediniere.

Quattordici ore dopo essere partiti da Ancona, intorno alle dieci di sera del 10 febbraio, le torpediniere si fermarono e andarono avanti solo i motoscafi, al cui comando c’era il capitano di fregata Costanzo Ciano. Insieme a lui c’erano, tra gli altri, il tenente di vascello Luigi Rizzo e l’ufficiale di cavalleria – e poeta – Gabriele D’Annunzio. Nella notte i tre motoscafi entrarono nella base marina austroungarica e provarono a portare a termine il loro compito lanciando dei siluri, dei missili subacquei. Fino a quel momento era andato tutto come previsto, ma lì ci fu un grosso problema: come ha ricordato il sito della Marina militare italiana « i siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti a protezione dei piroscafi alla fonda». I motoscafi italiani uscirono quindi dalla base, e dopo aver raggiunto le torpediniere tornarono in Italia. Tutta l’operazione si concluse senza perdite per gli italiani e praticamente senza danni per gli austroungarici.

Prima di andarsene dalla base nemica, D’Annunzio lasciò però in acqua alcune bottiglie con attorno dei nastri tricolori e un messaggio al loro interno:

«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia».

Ma, come scrive il sito della Marina, l’incursione mostrò una cosa importante: «le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco», una debolezza che poteva essere sfruttata ancora. Inoltre, come ha spiegato alla Stampa l’ammiraglio Valter Girardelli, Capo di stato maggiore della Marina militare italiana, «c’è un nodo fondamentale su cui gli storici si trovano d’accordo: gli Imperi Centrali arrivano alla sconfitta per via del collasso economico degli stessi. E alla base di questa débâcle economica c’è il dominio dei mari da parte dei Paesi dell’Intesa, Italia compresa». La beffa di Buccari mostrò insomma che le difese marine dell’Impero austroungarico poteva essere penetrate in modo relativamente semplice, e che l’Italia poteva ambire a sottrarre il controllo dell’Adriatico.

Tutti e tre i militari coinvolti, poi, fecero strada. Nei mesi successivi alla beffa di Buccari, alcune operazioni militari guidate da Rizzo portarono all’affondamento di due corazzate austriache. Ciano divenne presidente della Camera e poi ministro delle Comunicazioni. Suo figlio Galeazzo sposò Edda, figlia di Benito Mussolini, e divenne uno dei più importanti esponenti del fascismo. Dopo la beffa di Buccari, D’Annunzio si diede all’aviazione e nell’agosto 1918 volò sopra Vienna, facendo cadere sulla città dei volantini. Anche in questo caso scrisse lui i messaggi, ma un giornalista ne scrisse di altri: quelli di D’Annunzio erano considerati troppo complicati e praticamente intraducibili in tedesco. Fu ovviamente D’Annunzio, nel 1918, a raccontare per primo in un libro “la beffa di Buccari”.

La Prima guerra mondiale era comunque entrata nella sua fase finale: nel 1918 ci fu la battaglia di Vittorio Veneto, l’ultimo scontro armato tra l’Italia e l’Impero austroungarico. Il 3 novembre 1918 Impero austroungarico e Italia (che era alleata con la Triplice Intesa: il Regno Unito, la Francia e la Russia) firmarono a Padova il cosiddetto armistizio di Villa Giusti, col quale in Italia si fa coincidere la fine della Prima guerra mondiale.