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  • Sabato 3 febbraio 2018

Gli “intoccabili” in India stanno un po’ meglio

Ma solo un po', e grazie alle quote previste dalla Costituzione: dal punto di vista culturale e sociale persistono antiche discriminazioni

Un lavoratore indiano sparge il sale sulle pelli degli animali, Wadhvan, agosto 2016
(SAM PANTHAKY/AFP/Getty Images)
Un lavoratore indiano sparge il sale sulle pelli degli animali, Wadhvan, agosto 2016 (SAM PANTHAKY/AFP/Getty Images)

Negli ultimi anni in India le condizioni sociali della casta dei “dalit”, quella a cui si fa spesso riferimento con il nome “intoccabili”, sono migliorate: anche grazie al cosiddetto sistema delle quote, grazie al quale ai membri delle caste meno riconosciute è stato riservato un certo numero di posti di lavoro nell’amministrazione pubblica e nelle scuole pubbliche. Eppure la situazione dei dalit resta tra le più critiche del paese, a causa di antiche tradizioni discriminatorie che si fatica a sradicare.

Tradizionalmente la società indiana era basata sulle caste: un sistema di stratificazione sociale gerarchico in cui l’appartenenza a una certa casta era ereditaria e determinava tutto, dal tipo di lavoro che una persona avrebbe potuto fare alle persone che avrebbe potuto sposare. Le persone appartenenti alle caste più basse erano povere e oppresse e allora la Costituzione indiana scritta negli anni Cinquanta, alla fine della dominazione inglese, proibì il sistema delle caste e in particolare la discriminazione degli “intoccabili”, le persone non appartenenti a nessuna casta, che vivevano in uno stato di segregazione sociale e politica. Per rendere più equa la società indiana, la Costituzione prevedeva un sistema di quote riservate alle caste più basse, che negli anni Novanta vennero alzate fino al 49 per cento, provocando anche manifestazioni di protesta da parte dei patel, un gruppo storicamente piuttosto benestante, che diceva di essere rimasto vittima di una sorta di discriminazione al contrario (il sistema delle quote li avrebbe esclusi a vantaggio di altri).

Grazie a questi interventi i dalit – «che in passato avevano paura anche di attraversare certe strade», scrive l’Economist – ora hanno una loro camera di commercio, decine di organizzazioni non governative che promuovono i loro diritti e circa 84 seggi sui 545 del Lok Sabha, la camera bassa del parlamento indiano. Lo scorso ottobre, poi, il consiglio che gestisce centinaia di templi indù nello stato meridionale di Kerala ha messo fine a un’antica tradizione discriminatoria, permettendo per la prima volta a dei dalit di servire come sacerdoti. Nel luglio del 2017, infine, è stato eletto presidente dell’India Ram Nath Kovind, della casta degli “intoccabili”: dopo Kocheril Raman Narayanan, dal 1997 al 2002, è diventato il secondo dalit a ricoprire quel ruolo. In India, però, il presidente ha poteri per lo più cerimoniali: il potere esecutivo è affidato al governo e al primo ministro. E non c’è mai stato un primo ministro dalit.

Festeggiamenti per la vittoria del secondo presidente dalit nella storia dell’India, Ram Nath Kovind, Nuova Delhi, luglio 2017. (CHANDAN KHANNA/AFP/Getty Images)

Nonostante i progressi sociali, la situazione dei dalit resta comunque molto complicata: rimangono i più poveri del paese, i meno istruiti e quelli che hanno le condizioni di salute peggiori; hanno il 30 per cento di probabilità in più di finire in prigione, e nelle università e nelle scuole sono in pochissimi a ricoprire i ruoli più importanti (su 496 presidi, ad esempio, solamente sei appartengono alla casta degli intoccabili). I titoli dei giornali, scrive l’Economist, dimostrano poi come i dalit siano i protagonisti degli episodi di cronaca nera più terribili e come le loro proteste si concludano generalmente con una violenta repressione. E cita un esempio: Chandrashekhar Azad, un importante attivista dalit arrestato lo scorso maggio, è stato rilasciato a novembre dopo che un giudice aveva stabilito che la polizia aveva agito in base a motivazioni politiche. Il giorno dopo Chandrashekhar Azad è stato però nuovamente arrestato in base alla legge sulla sicurezza nazionale contro il terrorismo, e ora rischia un anno in detenzione senza che sia stata formulata alcuna accusa precisa.

Molti dalit fanno dei lavori un tempo per loro impensabili, ma molti altri continuano a svolgere quei mestieri che nessun altro accetta di fare, per esempio la pulizia delle fogne o lo smaltimento delle carcasse degli animali. In tutta l’India, infine, e soprattutto nelle zone rurali, persistono molte discriminazioni a danno dei dalit. Nello stato centrale del Madhya Pradesh circa il 53 per cento degli intervistati durante una recente ricerca ha detto che la sua famiglia ha cercato di evitare contatti con i dalit; in altri stati vicini le percentuali salgono fino al 65 per cento. Sebbene il 55 per cento degli indiani affermi di non avere problemi con i matrimoni tra persone di casta diversa, solo il 4 per cento ha sposato qualcuno al di fuori della propria casta. Uno studio del 2010 condotto su 1.589 villaggi nello stato occidentale del Gujarat ha identificato infine 98 diverse pratiche discriminatorie contro i dalit, che vanno dal non accesso ai pozzi pubblici al non accesso ai templi.

Alcuni lavoratori rimuovono la pelle dalla carcassa di una mucca morta alla periferia di Wadhvan, nello stato del Gujarat, agosto 2016. (SAM PANTHAKY/AFP/Getty Images)

I dalit sono stati tradizionalmente isolati dal resto del paese poiché si pensava (e in parte si continua a pensare) che potessero rendere impuri i membri delle caste superiori. Per questo è stato vietato loro di utilizzare alcune strade, le fontane pubbliche o di preparare il cibo per i membri non dalit. Secondo Devesh Kapur, economista dell’Università della Pennsylvania intervistato dall’Economist, l’intoccabilità continua a essere praticata, ma è destinata a scomparire: non accadrà da un momento all’altro ma per fasi. «La prima sarà quando la gente smetterà di notare chi è dalit e chi no; la seconda quando smetterà di preoccuparsene. La terza sarà quando le persone vorranno attivamente eliminare l’intoccabilità. Penso che ora ci troviamo a metà strada tra la prima e la seconda fase». Per Devesh Kapur l’accelerazione dell’urbanizzazione potrebbe avere un ruolo importante in questo processo, poiché porterà con sé la diffusione dell’anonimato: «Prendiamo l’industria dei fast food. Non so chi abbia toccato il mio cibo e presto smetterò di preoccuparmene».