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  • Venerdì 2 febbraio 2018

Il documento segreto su cui si litiga negli Stati Uniti

Lo hanno diffuso i Repubblicani e contiene accuse all'FBI per come ha gestito l'indagine sulla Russia, ma sembra meno rilevante di quanto si pensasse

(Chip Somodevilla/Getty Images)
(Chip Somodevilla/Getty Images)

Un documento di quattro pagine conosciuto come Nunes memo, preparato da un politico Repubblicano e contenente delle accuse contro l’FBI riguardo all’inchiesta sui rapporti tra la Russia e il comitato elettorale di Donald Trump, è stato diffuso venerdì sera dal Comitato per l’Intelligenze della Camera statunitense. La diffusione del documento, che era stata sconsigliata dall’FBI e che ciononostante è stata approvata da Trump, arriva dopo giorni di scontri e discussioni, che hanno ulteriormente complicato i già tesi rapporti tra Trump e FBI, il cui capo – Christopher Wray – è stato scelto proprio da Trump dopo il licenziamento di James Comey.

Il documento contiene delle accuse all’FBI per come ha gestito le fasi iniziali dell’inchiesta sull’ingerenza del governo russo nelle ultime elezioni presidenziali. In particolare si sofferma sul fatto che gli agenti che chiesero a un giudice federale di poter intercettare un collaboratore di Trump sulla base del famoso dossier sui presunti legami del presidente americano con la Russia – il rapporto Steele, quello della golden shower, per capirci – evitarono di specificare che l’autore del dossier era stato inizialmente pagato dai Democratici per trovare materiale compromettente su Trump.

Dopo la diffusione del documento, in molti hanno fatto notare che le accuse sono meno circostanziate e gravi di quanto annunciato dai Repubblicani nei giorni scorsi, e i Democratici e molti osservatori stanno accusando Trump e i Repubblicani di aver violato delle precise raccomandazioni dell’FBI, che aveva chiesto di non rendere pubblico il documento per evitare di diffondere informazioni sensibili sui metodi usati dall’agenzia, per delegittimare l’indagine che il procuratore Robert Mueller sta conducendo sui rapporti fra Trump e la Russia, nella quale il rapporto Steele ha peraltro un ruolo molto marginale.

Il memo è stato messo insieme da Devin Nunes, un deputato Repubblicano che – oltre a essere il capo della commissione della Camera che supervisiona le agenzie di intelligence – è anche uno dei membri del Congresso più vicini a Trump. I Democratici lo stanno accusando di avere strumentalizzato il suo incarico per delegittimare l’inchiesta nata in seguito alle prime indagini dell’FBI. I Repubblicani hanno detto di averlo diffuso per «una questione di trasparenza e obbligo di rispondere delle proprie responsabilità», secondo il capo dei Repubblicani alla Camera Paul Ryan. Stamattina Trump aveva twittato un velato riferimento al memo, scrivendo che l’FBI e il dipartimento di Giustizia – che sovrintende l’inchiesta speciale – hanno «politicizzato» le indagini su di lui.

Cosa c’è nel memo
Il collaboratore di Trump al centro della richiesta degli agenti dell’FBI, e quindi del dossier, è Carter Page, che lavorò come consulente per la politica estera del comitato elettorale di Trump. Page è un personaggio molto strano, persino per gli standard del raffazzonato gruppo di persone che si muovevano intorno a Trump nei primi mesi della sua candidatura. Fino ad allora non aveva mai avuto incarichi politici ed era da tempo molto legato alla Russia e alla sua intelligence, dove aveva lavorato come banchiere d’investimento, nonché un convinto ammiratore del presidente russo Vladimir Putin. Nell’estate del 2016, mentre lavorava per il comitato Trump, Page fece un viaggio in Russia per tenere alcune conferenze. L’FBI decise di sorvegliarlo, preoccupata che stesse lavorando anche per il governo russo.

Carter Page (Mark Wilson/Getty Images)

Gli agenti che stavano seguendo il caso chiesero a una delle corti previste dal Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), l’insieme delle norme e delle procedure che devono essere seguite per la raccolta di informazioni di intelligence fuori dagli Stati Uniti, di poter sorvegliare e intercettare Page. Secondo il Nunes memo lo fecero sulla base del dossier messo insieme da Christopher Steele, l’ex spia britannica che dal 2016 cercava informazioni compromettenti su Trump per conto di persone legate sia ai Repubblicani che ai Democratici. Questa accusa contribuirebbe alla tesi di Trump secondo cui l’intera inchiesta sia una enorme caccia alle streghe.

L’FBI ha negato che le cose siano andate come suggerisce il Nunes memo: ha spiegato che la richiesta di sorvegliare Page inoltrata secondo il FISA si basava su diverse altre fonti – alcune vecchie di anni – e che più in generale il Nunes memo omette dei fatti molto rilevanti per capire il contesto dell’indagine. Inoltre, chiunque conosca un briciolo la storia degli ultimi mesi sa che il dossier Steele non è al centro dell’indagine sulla Russia e il comitato Trump, i cui elementi fondanti sono altri (per esempio la condotta di Paul Manafort, Michael Flynn e Donald Trump Jr).

Cosa se ne dice
La cosa che hanno subito notato i giornalisti statunitensi leggendo il memo è che in un passaggio sembra esplicitamente che l’indagine dell’FBI cominciò perché George Papadopoulos – consulente di Trump sulla politica estera durante la campagna elettorale – si era ubriacato in un elegante bar di Londra e aveva raccontato a un diplomatico australiano che la Russia aveva email che avrebbero potuto danneggiare Hillary Clinton. Questo episodio, avvenuto nel luglio del 2016, era stato rivelato da uno scoop del New York Times di fine dicembre.

L’opinione diffusa tra i commentatori è che i Repubblicani abbiano fatto un gran baccano per una questione in realtà poco rilevante. In molti, tra cui il direttore di Vox Ezra Klein, hanno fatto notare che se anche l’indagine fosse partita da un documento “di parte”, questo non diminuirebbe il valore delle scoperte, che hanno permesso agli investigatori di ottenerne il rinnovo per tre volte. Inoltre, va ricordato che non è un documento di un’agenzia di intelligence, ma compilato da un comitato controllato dai Repubblicani, che i Democratici accusano di aver scelto di presentare informazioni decontestualizzate per muovere delle accuse politicizzate. Il Washington Post scrive che l’FBI è preoccupata anche perché le sue regole interne gli impediscono di rispondere alle accuse del documento, visto che riguardano informazioni segrete.

Cosa potrebbe succedere?
Anche nulla: se le accuse contenute nel memo dovessero essere giudicate marginali o infondate, dopo un’analisi più attenta, tra qualche giorno l’attenzione dei giornali e del Congresso si sposterebbe altrove (salvo per gli elettori di Trump più radicali e motivati, che continuerebbero a considerarlo la prova della caccia alle streghe).

Nel memo però si dice che nei primi mesi del 2017 il vice-procuratore generale Rod Rosenstein aveva personalmente approvato il rinnovo delle misure di sorveglianza su Carter Page. Già oggi Rosenstein è uno dei funzionari meno apprezzati dal circolo di Trump: è stato lui ad avere avviato e a supervisionare l’inchiesta sui rapporti fra Trump e la Russia, e due mesi fa ha ribadito che non esistono le basi per togliere l’incarico a Mueller (cosa di cui invece si era convinto lo stesso Trump, che qualche mese fa aveva provato a licenziarlo sulla base di un presunto conflitto di interessi). Trump potrebbe usare le informazioni del Nunes memo per licenziare proprio Rosenstein, sostenendo che abbia di fatto avallato la caccia alle streghe nei suoi confronti, e sostituirlo con un vice-procuratore più bendisposto nei suoi confronti.

Il licenziamento di Rosenstein metterebbe in pericolo la stessa indagine: un nuovo vice-procuratore potrebbe decidere di costringere Mueller a restringere o allargare la sua indagine, impedirgli di raccogliere nuove prove, oppure licenziarlo direttamente senza che venga coinvolto Trump. Con tutte le conseguenze politiche del caso, visto che la responsabilità ricadrebbe di nuovo su Trump, che sarebbe di nuovo accusato dai suoi avversari di aver ostacolato la giustizia.