“Coco”, i bambini e la morte

Come il nuovo film della Pixar – e altri vecchi Disney – possono essere un punto di partenza per spiegare ai bambini cosa significa morire

Da una scena di "Coco" ambientata nel cimitero in cui Miguel, il protagonista, vede per la prima volta i suoi parenti morti
Da una scena di "Coco" ambientata nel cimitero in cui Miguel, il protagonista, vede per la prima volta i suoi parenti morti

Coco, il film Pixar uscito al cinema il 28 dicembre, è in gran parte ambientato nel “mondo dei morti” e parla del rapporto tra vivi e morti, o meglio di come i vivi ricordano le persone care che sono morte. Non è il primo film prodotto da Disney che parla di questo argomento ai bambini: già in Biancaneve, il primo lungometraggio di Disney, un personaggio muore; il primo film animato in cui a morire è un personaggio positivo, Bambi, è del 1942. Proprio per questa ragione un paio di studi americani – uno del 2005 di un gruppo di psicologi, uno del 2017 di due ricercatrici che studiano le pratiche migliori per comunicare un decesso – consigliano di usare i film Disney per cominciare a parlare ai bambini della morte, una cosa difficile per molte persone.

Per i bambini la morte non è un concetto semplice da capire: uno studio del 1996 condotto facendo domande a più di 400 bambini giunse alla conclusione che la maggior parte dei bambini capisce che la morte è irreversibile, permanente e inevitabile solo a 10 anni. Anna Oliverio Ferraris, psicologa e professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza, ha detto al Post che ci sono anche delle differenze tra il parlare della morte in generale e della morte di una persona cara, e ha fatto questo esempio:

«Un bimbo di sei anni cui era morto il nonno mostrò di avere “capito” fin dall’inizio che il nonno non c’era più e che era stato sepolto al cimitero accanto alla nonna. Lo aveva visto nel suo letto, che non si muoveva, e quando l’aveva baciato aveva sentito la sua guancia rigida e fredda. Eppure il giorno del suo compleanno quello stesso bambino chiese ai genitori dov’era il nonno e perché tardava ad arrivare alla sua festa. Il che ci dice che l’accettazione della morte di una persona a cui si è sentimentalmente legati non è un processo né facile né immediato»

Lo studio del 2005, fatto analizzando una decina di classici Disney, da Biancaneve e i sette nani (1937) a Tarzan (1999), spiega che in alcuni casi il modo in cui i film Disney mostrano la morte non è privo di difetti: in alcuni casi i personaggi che muoiono tornano sotto forma di spiriti, come succede nel Re Leone, e questo può confondere i bambini; inoltre spesso i film Disney comunicano l’idea che i personaggi cattivi meritino di morire. Nonostante questo le storie dei film, come quelle di molte fiabe tradizionali, possono essere un punto di partenza per i genitori per affrontare l’argomento della morte. Le conclusioni dello studio dicono: «I genitori possono guadare i film Disney insieme ai bambini e guidarli attraverso le scene in cui un personaggio muore, decostruendo gli aspetti irrealistici e chiarendo le cose che possono essere esagerate o confondere i bambini».

Il caso del Re Leone è particolarmente interessante. In primo luogo perché la morte di Mufasa, il padre del protagonista, è mostrata nei dettagli in una delle scene del film, contrariamente a molte altre morti che avvengono “dietro le quinte”: è dunque più realistica, e sebbene molto triste mostra chiaramente ai bambini la sofferenza legata alla morte. Il film è realistico anche per quanto riguarda il lutto, perché a differenza di Bambi, l’altro famoso film Disney con la morte di un genitore, mostra Simba che soffre ed elabora il suo dolore per la morte del padre. Anche tra i film per adulti sono pochi i film che mostrano queste cose, di cui quindi i bambini fanno fatica a farsi un’esperienza indiretta. Questi aspetti realistici del Re Leone, contrariamente all’apparizione dello spirito di Mufasa, possono far capire meglio ai bambini alcune cose sulla morte.

In Coco la morte non è un pezzo della storia ma il suo tema e la sua ambientazione. La storia si svolge il giorno prima del Día de Muertos, l’analogo messicano del giorno della commemorazione dei defunti, che si celebra ogni anno l’1 e il 2 novembre. In Messico, tra le varie tradizioni legate a questa giornata, influenzate sia dal cattolicesimo che dalla cultura precolombiana, le persone visitano i cimiteri e portano del cibo sulle tombe dei propri familiari. Inoltre puliscono le proprie case e preparano i piatti più amati dai loro parenti morti per disporli su un altare casalingo, l’ofrenda, su cui sono esposte le loro fotografie.

Il protagonista di Coco è un bambino di nome Miguel in conflitto con la sua famiglia, che non vuole che diventi un musicista come lui vorrebbe. Questo conflitto lo porta a tentare di rubare una chitarra in una tomba e così finire nel mondo dei morti a causa di una maledizione. Qui Miguel scopre che i morti continuano a “vivere” nell’aldilà fintantoché qualcuno di vivo si ricorda di loro, oppure ha fatto in modo di trasmettere ad altre persone il suo ricordo: altrimenti, morta l’ultima persona che li aveva conosciuti in vita, i morti scompaiono anche dal mondo dei morti. Un’altra cosa che Miguel scopre è il significato dell’ofrenda: solo i morti le cui famiglie ne conservano il ricordo esponendone la foto sull’altare casalingo possono visitare il mondo dei vivi in occasione del Día de Muertos.

La prima versione della storia di Coco era ambientata negli Stati Uniti e il personaggio di Miguel era occupato a scoprire la cultura delle sue origini messicane affrontando allo stesso tempo il lutto per la morte di sua madre. Poi la storia è stata cambiata, ha spiegato il regista del film Lee Unkrich a The Verge, per rispettare il vero significato del Día de Muertos, cioè non perdere il contatto con le persone care che sono morte, anche se è un contatto che ha a che fare solo con i ricordi. Per questo probabilmente Coco non supera Up, Alla ricerca di Nemo o anche Il Re Leone quanto a “indice di tristezza“, ma può comunque far piangere moltissimo uno spettatore adulto, generalmente più consapevole dei legami tra vivi e morti nella vita reale.

Secondo Anna Oliverio Ferraris, in Coco «l’immagine che viene data della morte nel film è romanzata, intrigante, avventurosa, spiritosa; certamente non realistica». Può essere comunque usato come strumento per parlare con i bambini della morte, anche perché mostra soprattutto come le persone morte possano essere ricordate. Su questo però bisogna fare attenzione, dice Oliverio Ferraris: «Far credere a un bambino che può tenere in vita il defunto col suo pensiero può essere pericoloso, se non ha ancora la maturità per cogliere il valore metaforico di questa spiegazione. Potrebbe accadere ciò che si verificava con il Tamagotchi: il pulcino rischiava di morire se il suo proprietario non gli prestava una attenzione costante. Le fotografie, che molti tengono ben visibili dentro casa, possono essere invece un buon supporto».

Per quanto riguarda l’idea di un mondo dove i morti in qualche modo continuano a vivere, Oliverio Ferraris consiglia di tenere conto dell’età dei bambini per decidere se parlargli o meno di un’esistenza dopo la morte: «I più piccoli, di età prescolare, la cui mente è concreta e hanno difficoltà a immaginare una assenza senza rimedio, vogliono sentirsi dire che la persona morta è da qualche parte. Preferiscono che sia in cielo piuttosto che al freddo sotto terra. Per i più grandi saranno, nel tempo, i ricordi belli e il calore delle persone che hanno vicino ad aiutarli». In generale gli psicologi consigliano di evitare quegli eufemismi – come “si è addormentato”, “è andato a fare un lungo viaggio” – che potrebbero confondere i bambini, dandogli l’idea che la persona morta potrebbe tornare o che loro stessi addormentandosi potrebbero non svegliarsi.

Sul Guardian lo scrittore e giornalista Danny Leigh ha elogiato il film perché mostra ai bambini europei e dell’America del nord un modo di celebrare il ruolo dei morti nelle vite dei vivi assente nelle nostre culture: «Come società, siamo tutti come Walt Disney, che odiava i funerali e non ci andava, e alziamo delle barriere contro la morte. La sola cosa che temiamo di più di morire è doverne parlare». Leigh esprime anche una certa gratitudine nei confronti di Disney per aver parlato della morte ai bambini anche con alcuni film precedenti, che hanno continuato a essere guardati generazione dopo generazione, e che hanno sollevato i genitori da questo compito infelice. I consigli degli psicologi però sono di parlare con i bambini della morte, quando questi fanno delle domande in merito o in qualche modo vengono in contatto con essa.