Otto canzoni per gli 80 anni di Celentano

Che sono oggi, e intanto che faceva un po' di tutto ha messo nella storia italiana anche dei pezzi memorabili

(Lapresse)
(Lapresse)

Adriano Celentano ha compiuto 80 anni: è nato a Milano il 6 gennaio 1938. È stato per decenni e in rinnovamenti successivi uno dei personaggi più importanti dello spettacolo italiano, con estese ricadute nella cultura, nella comunicazione e persino nella politica: ha fatto il cantante, l’attore, l’entertainer televisivo, sempre con grandi successi e in modi originali e arditi, conservando poi una popolarità grandissima basata su successi musicali più tradizionali e conservatori capaci di raccogliere però influenze e spunti nuovi. Nel 2008 Luca Sofri, peraltro direttore del Post, scelse queste canzoni di Celentano per il libro Playlist, la musica è cambiata.

Adriano Celentano (1938, Milano)
Nel 2005 ancora si parlava solo di lui, dopo quasi cinquant’anni, per uno show televisivo in cui coniò la contrapposizione “rock e lento” come sinonimi di buono e cattivo. La contrapposizione era piuttosto demodé, e incongrua: rock e lento sono due belle facce della stessa medaglia. Lui, per esempio, è rock, e lento.

Azzurro (Azzurro, 1960)
Bisognerebbe fare un’analisi della prevalenza dei toni del blu nella poetica della musica italiana, da “Volare” a “Celeste nostalgia” a “I’m blue, dabadì dabadà” (sì, il rischio sono quelle playlist sceme che pubblicano le riviste, tipo “canzoni scritte da uno che si chiama Paolo”).“Azzurro” l’aveva scritta Paolo Conte: stravendette, divenne un classico, e Conte si risolse a cantarla in concerto un quarto di secolo dopo.

Una carezza in un pugno (Azzurro, 1960)
Lo avete capito, no, che è una canzone che parla di masturbazione? No? Bene: riascoltatela ora che ve l’ho detto.

Il ragazzo della via Gluck (La festa, 1965)
Celentano era nato al 14. La canzone era una cosa ambientalista della prima ora, che Giorgio Gaber prese affettuosamente in giro immaginando un ragazzo di periferia a cui demolivano la casa per far crescere un prato: “l’amore è bello ma non è tutto, e per sposarsi occorre un tetto. È ora di finirla di buttare giù le case per farci i prati. Cosa ci interessano a noi i prati! Ma perché non buttano giù i palazzi del centro? Macchè, sempre noi della periferia ci andiamo di mezzo”.

Stai lontana da me (La festa, 1965)
Musica di Bacharach, parole di Mogol, vedete un po’. Lui la molla (‘sta stronza) e gliene dice di ogni, sghignazzando perfino.

Ventiquattromila baci (Gli Anni ’60, 1965)
Visto che si parla di “un giorno di follia”, si deve pensare ci si riferisca a ventiquattr’ore totali. Mille baci all’ora. Ovvero tre secondi virgola sei per ogni bacio, compreso respirare e restando digiuni. La cantò a Sanremo assieme a Little Tony mentre faceva il militare: e voltando le spalle al pubblico, cosa che allora fece un po’ scandalo. Yéeee, yeyeyeyè.

La storia di Serafino (Le robe che ha detto Adriano, 1969)
“Perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba, non lasciano l’erba, non lasciano l’erba, non lasciano l’erba. Eh no! Se andiamo avanti così, chissà come si farà! Chissà!” Ancora una cosa antimodernista (Celentano è un tipo cocciuto: nel 2005 in tv se la prendeva ancora con i grattacieli). “Scoppiarono i mortaretti, si fecero dei banchetti” è un verso definitivo.

Storia d’amore (Le robe che ha detto Adriano, 1969)
Melodrammone celeberrimo, roba che Merola ci ha provato una vita. Lei ha sposato un altro per soldi, ma torna da lui e ci riprova (“mi guardava, silenziosa”): ma lui, integro (“ma di pietra io restai”) le ammolla uno sberlone (poi però piange). Ci sono alcune licenze poetiche non male: “e tutta la guardai”, “era colpa di lei”.

Acqua e sale (Mina + Celentano, 1998)
È una delle canzoni del disco che fece assieme a Mina, piuttosto âgés entrambi. Parte mediocre, ha un testo tremendo, ma il ritornello è Coccoina pura e loro lo cantano alla grande, soprattutto dove fa “in un angolo-ore ed ore”.