Negli oceani c’è sempre meno ossigeno

A causa del riscaldamento globale e dell'inquinamento: ed è un problema che minaccia la sopravvivenza di molte specie marine

Sardine morte su una spiaggia di Tolten, nel Cile centrale, il 15 maggio 2016 (AP Photo/Felix Marquez)
Sardine morte su una spiaggia di Tolten, nel Cile centrale, il 15 maggio 2016 (AP Photo/Felix Marquez)

L’estensione delle aree oceaniche senza ossigeno è quadruplicata dal 1950, e quella delle aree vicine alle coste con un livello di ossigeno molto basso è decuplicata, secondo uno studio commissionato dalla Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO e pubblicato sulla rivista Science.

In totale dal 1950 a oggi le acque degli oceani hanno perso il 2 per cento del loro ossigeno. È successo soprattutto per via del riscaldamento globale, e in secondo luogo per altri fenomeni direttamente causati dalle attività umane. Dato che la maggior parte delle creature marine non possono sopravvivere in acque povere di ossigeno è possibile che in futuro moltissime specie si estinguano, una prospettiva molto dannosa anche per le centinaia di milioni di persone la cui vita dipende dall’uso delle risorse oceaniche.

Le zone dell’oceano colorate in blu sono quelle dove c’è meno ossigeno; i puntini rossi vicini alle coste indicano le zone dove c’è ipossia, cioè carenza di ossigeno. In tutte le zone colorate ci sono meno di 2 milligrammi di ossigeno per litro (Science)

I mari e gli oceani non sono diversi dalla terraferma, quando si parla di densità di popolazione: anche nel mondo marino esistono diversi ambienti, alcuni densamente popolati, come le barriere coralline in salute, altri – come le zone al centro degli oceani, dove non passano le grandi correnti – sono quasi desertici perché privi delle risorse nutritive grazie a cui vivono molti pesci. Anche per queste differenze ci sono sempre state delle zone degli oceani più o meno ricche di ossigeno, ma i bassi livelli attuali sono dovuti all’inquinamento. Le zone lontane dalle coste povere di ossigeno si sono ampliate e se ne sono aggiunte molte lungo le coste.

Il riscaldamento globale è responsabile della deossigenazione degli oceani per varie ragioni. Una è che più le acque sono calde, meno l’ossigeno è solubile in acqua (attenzione, non è l’ossigeno che forma le molecole d’acqua, ma quello in forma gassosa disciolto in acqua); inoltre quando le acque sono più calde le creature marine respirano a un ritmo maggiore e per questo consumano l’ossigeno più velocemente. Un’altra ragione è che causando il rallentamento della circolazione termoalina, uno dei fenomeni responsabili delle grandi correnti oceaniche, diminuisce gli scambi di ossigeno tra le acque di superficie e quelle profonde. A questi effetti bisogna aggiungere quelli legati all’eutrofizzazione, cioè l’eccesso di sostanze chimiche nutritive per le alghe riversate negli oceani come rifiuti dalle persone: queste sostanze – come azoto, fosforo e zolfo – fanno crescere in grande abbondanza le piante marine, la cui quantità eccessiva favorisce lo sviluppo di batteri che consumano l’ossigeno.

Denise Breitburg del Smithsonian Environmental Research Center, la ricercatrice che ha diretto lo studio pubblicato su Science, ha spiegato al Guardian che il problema della deossigenazione degli oceani può essere risolto: «Fermare il cambiamento climatico richiede uno sforzo globale, ma anche iniziative locali possono aiutare a diminuire la deossigenazione causata dal rilascio di sostanze nutritive per le alghe». In passato iniziative simili sono già state organizzate, per esempio nel caso del fiume Tamigi nel Regno Unito, riducendo i fertilizzanti riversati nei fiumi con le attività agricole e gestendo meglio le acque delle fognature, ricche di detergenti che hanno un effetto simile ai fertilizzanti, e i liquami provenienti dagli allevamenti industriali.

Si stima che più di 500 milioni di persone dipendano dalla pesca, soprattutto nei paesi più poveri, e che il settore offra lavoro a 350 milioni di persone. Se le cosiddette «zone morte», quelle con pochissimo ossigeno, dovessero aumentare, questi posti di lavoro potrebbero essere a rischio. Oggi il proliferare della alghe ha causato un aumento della popolazione di pesci vicino ad alcune zone morte, e quindi un aumento del pescato, ma secondo i ricercatori si tratta di un effetto positivo temporaneo. Le zone morte costiere erano meno di 50 nel 1950, oggi sono almeno 500 per quello che si sa, ma potrebbero essere di più visto che non tutte le acque costiere vengono monitorate allo stesso modo.

Un’altra cosa di cui bisogna tenere conto è che come il cambiamento climatico causa la deossigenazione degli oceani, così la deossigenazione degli oceani causa il cambiamento climatico: i microbi che proliferano nelle acque con bassi livelli di ossigeno producono grosse quantità di ossido di diazoto, un gas serra 300 volte più dannoso dell’anidride carbonica.