• Mondo
  • Sabato 23 dicembre 2017

Sentiremo parlare di Kirsten Gillibrand?

È una senatrice statunitense che sta guadagnando consensi e visibilità, e potrebbe sfidare Trump nel 2020

(Alex Wong/Getty Images)
(Alex Wong/Getty Images)

Nel 2012 Al Franken, il senatore statunitense del Partito Democratico che di recente è stato costretto a dimettersi dopo aver ricevuto diverse accuse per molestie sessuali, aveva un appuntamento fisso: una volta a settimana giocava a squash con Kirsten Gillibrand, che ai tempi stava concludendo il suo primo mandato da senatrice dello stato di New York. I due erano piuttosto legati e avevano condiviso diverse battaglie politiche. Eppure, dopo che a inizio dicembre erano emerse nuove accuse contro Franken, Gillibrand è stata la prima senatrice Democratica a invitarlo esplicitamente a dimettersi. «Considero il senatore Franken un amico e ho apprezzato lavorare insieme a lui in Senato per aiutare le famiglie americane, ma è necessario fare i conti col fatto che i nostri amici e colleghi siano stati accusati di molestie sessuali, benché sia doloroso», ha scritto il 6 dicembre su Facebook. Altre senatrici Democratiche si erano unite alla sua richiesta. Due giorni dopo, Franken ha annunciato le sue dimissioni.

Per il New York Times la richiesta di Gillibrand è stata la naturale conseguenza dei suoi ultimi anni in Senato, dove si è impegnata molto per difendere i diritti delle donne diventando rapidamente una delle senatrici più in vista del partito (nonché una possibile candidata alla presidenza nel 2020). Per altri, riassume un’abilità che Gillibrand ha dimostrato più volte da quando è entrata in politica: potremmo definirla fiuto politico, capacità di prevedere in anticipo dove tirerà il vento, rapidità d’azione oppure opportunismo.

Gillibrand ha 51 anni ed entrata in politica nel 2006, anno in cui è stata eletta per la prima volta alla Camera. In precedenza aveva lavorato come avvocato per due grossi studi legali di New York. In quegli anni Gillibrand rappresentava il 20esimo distretto dello stato di New York, che comprendeva soprattutto zone rurali in cui George W. Bush aveva agilmente vinto le presidenziali del 2004, e le sue posizioni erano più a destra della base del partito: appoggiava criteri stringenti per le cosiddette “sanctuary cities”, cioè le città che scelgono di non considerare come reato l’immigrazione clandestina, ed era molto apprezzata dalla principale lobby delle armi. Danny Canton, che nel 2009 dirigeva una piccola associazione di sinistra nello stato di New York, disse di lei al New York Times: «nella nostra delegazione statale al Congresso sta a destra. Le persone cambiano, vogliamo essere ottimisti e sperare che cambi anche lei».

Nel 2009, pochi mesi dopo le elezioni presidenziali, Barack Obama nominò Hillary Clinton segretaria di stato, liberando il seggio del Senato che Clinton aveva ottenuto due anni prima vincendo le elezioni col 67 per cento dei voti. Le leggi statunitensi prevedono in questo caso che il governatore dello stato nomini un sostituto temporaneo, che resti in carica fino alle successive elezioni. David Paterson, allora governatore dello stato di New York, scelse proprio Gillibrand per sostituire Clinton: un po’ a sorpresa, dato che diversi altri pezzi grossi del partito come Andrew Cuomo – l’attuale governatore – erano dati per favoriti. Gillibrand giurò al Senato il 26 gennaio 2009; aveva 42 anni ed era la più giovane senatrice in carica.

Una volta entrata in Senato, Gillibrand si è spostata molto più a sinistra, forte del fatto che le elezioni avvengono su base statale e che New York è uno degli stati più a sinistra dell’intero paese. Già nei primi mesi del suo mandato iniziò sistematicamente a votare contro le indicazioni della lobby delle armi, che nel 2010 le abbassò il voto con cui giudica ogni politico da A, il più alto, a F, il più basso (nel 2016 si è detta molto pentita di avere appoggiato la lobby delle armi nei suoi anni alla Camera).

Fra il 2010 e il 2011 si spese molto per l’abolizione della cosiddetta don’t ask don’t tell, la legge che permetteva agli omosessuali di arruolarsi nell’esercito solo a patto che tenessero segreto il proprio orientamento sessuale, e per l’approvazione di una legge che ha dato copertura sanitaria ai sopravvissuti e ai soccorritori dell’attentato dell’11 settembre 2001. Più di recente ha cercato di promuovere due leggi bipartisan per combattere più efficacemente i casi di molestie all’interno dell’esercito e nei campus universitari, ed è co-firmataria della proposta di Bernie Sanders per fornire copertura sanitaria universale e gratuita agli americani. Nel 2012 è stata rieletta con il 72 per cento delle preferenze, la percentuale più alta mai ottenuta da un candidato senatore a New York.

Ora che in tutto il mondo si discute di molestie sessuali, Gillibrand è nella posizione giusta per essere una portavoce credibile delle istanze delle donne: da anni si occupa di questi temi includendoli nella sua proposta politica – nel 2012 raccontò al Washington Post che il suo primo ricordo “politico” è legato a un gruppo di quaranta attiviste del Partito Democratico messo insieme da sua nonna – e può permettersi di dire cose che per altre senatrici sarebbero fuori luogo, o poco coerenti con la loro storia politica. Dopo una in particolare di queste dichiarazioni, però, i suoi critici l’hanno nuovamente accusata di opportunismo e ipocrisia.

Durante una recente intervista registrata per un podcast del New York Times in cui si parlava di discriminazioni e moltestie, a Gillibrand è stato chiesto esplicitamente se anche Bill Clinton avrebbe dovuto dimettersi dalla presidenza degli Stati Uniti in seguito allo scandalo sessuale che coinvolse lui e l’allora stagista (e consenziente) Monica Lewinsky nel 1998. Dopo una lunga pausa, evidentemente spiazzata dalla domanda, Gillibrand ha risposto che Clinton avrebbe dovuto dimettersi. La cosa notevole, e che molti le hanno rinfacciato subito dopo l’intervista, è che Gillibrand è sempre stata vicinissima ai Clinton. Nel 2000 lavorò alla campagna elettorale per eleggere al Senato Hillary Clinton – che ha sostenuto con forza anche nel 2016 – e sei anni più tardi Bill Clinton ricambiò il favore tenendo dei comizi nella prima campagna elettorale di Gillibrand per un seggio alla Camera.

Dopo l’intervista col New York Times un portavoce di Gillibrand ha cercato di correggere il tiro spiegando che la senatrice intendeva che Clinton avrebbe dovuto dimettersi se lo scandalo fosse capitato nel 2017, ma ormai il danno era fatto. Philippe Reines, un consulente americano che da anni fa parte del giro dei Clinton – fu lui ad impersonare Donald Trump nelle simulazioni dei dibattiti preparate dal comitato Clinton – ha accusato esplicitamente Gillibrand di ipocrisia per «avere accettato per vent’anni i soldi, il seggio e gli endorsement dei Clinton», per poi tradirli con queste dichiarazioni.

Su FiveThirtyEight, la giornalista politica Claire Malone ha provato a difendere Gillibrand spiegando che la sua abilità nel «mordere la mano che la ha dato da mangiare» significa solamente che «è brava a fare politica, se fare politica vuol dire capire da che parte sta andando un paese, riuscire a catturare quel sentimento con la retorica, convertire quella retorica in voti, guadagnarsi quei voti attirando soldi per la propria campagna elettorale, acquisire popolarità e potere, farsi rieleggere, vincere, e rifare tutto da capo».

Per ora Gillibrand dice di non pensare alle prossime elezioni presidenziali, nonostante ormai abbia un profilo più che adatto per attirare un elettorato trasversale: fra le altre cose è una cristiana praticante e ha posizioni più moderate di altri Democratici su Israele e i fondi dell’esercito americano. Da qui al 2019, anno in cui verranno presentate le candidature per le primarie, potrebbero inoltre cambiare molte cose. Trump intanto l’ha già attaccata pubblicamente su vari fronti, cosa che secondo alcuni significa che la teme più di altri possibili candidati Democratici alle elezioni del 2020.