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  • Venerdì 15 dicembre 2017

L’incredibile storia del consigliere Bellomo

Un importante magistrato che dirigeva una scuola di formazione è accusato di una lunga e bizzarra lista di abusi e molestie contro le sue studentesse

(ANSA / Paolo Giandotti)
(ANSA / Paolo Giandotti)

Nei prossimi giorni l’Adunanza generale del Consiglio di stato, uno degli organi di autogoverno della magistratura amministrativa, dovrà decidere se destituire uno dei suoi membri, il consigliere di stato Francesco Bellomo, un magistrato accusato di una lunga e bizzarra lista di abusi e molestie dalle studentesse che frequentavano i suoi corsi di formazione. Sarebbe una decisione storica: poche volte nel corso degli ultimi 70 anni il Consiglio di stato ha comminato la sanzione massima nei confronti di uno dei suoi membri. Ma Bellomo rischia molto di più della radiazione dalla magistratura: le procure di Piacenza e Bari hanno aperto indagini che lo riguardano, mentre anche la procura di Milano ha iniziato a interessarsi alla vicenda.

Francesco Bellomo è un magistrato del Consiglio di stato, il supremo organo della giustizia amministrativa, quello a cui ci si appella contro le decisione dei famosi TAR, per intendersi. Bellomo vinse il concorso nel 2005 ed è descritto da alcuni giornali come una sorta di “celebrità” nell’ambiente della magistratura italiana. Il Mattino, in un articolo scritto in sua difesa, lo ha definito “un magistrato tra i più brillanti e autorevoli in Italia” (la sua fama, in ogni caso, doveva essere confinata al suo ambito, visto che gli archivi ANSA non contengono tracce del suo nome antecedenti alle accuse di molestie).

In ogni caso, Bellomo aveva un’altissima opinione di sé. Nel suo curriculum pubblicato sul sito della scuola (da poco eliminato, ma ancora accessibile) scriveva di sé: «[Bellomo] È accreditato […] di un Q.I. = 188 (media umana = 100)». Bellomo si definisce anche «studioso delle discipline a carattere scientifico, nel cui ambito ha conseguito titoli internazionali». In questo campo il suo principale traguardo sarebbe l’applicazione della «teoria della relatività generale nel diritto (il cd. “agente superiore”)»: una teoria che come vedremo sarà al centro di alcune delle accuse di molestie.

Oltre a svolgere il ruolo di magistrato del Consiglio di stato, Bellomo ricevette anche il permesso di tenere corsi privati agli aspiranti magistrati (una pratica molto diffusa all’interno della magistratura e spesso criticata). In poco tempo divenne direttore della scuola di formazione per magistrati in diritto amministrativo “Diritto e scienza”, che organizza corsi a Roma, Milano e Bari. È nel suo ruolo di direttore della scuola che Bellomo avrebbe commesso molestie e abusi. Bellomo è accusato di aver usato le borse di studio assegnate a studenti meritevoli per avvicinarsi alle allieve che riteneva più interessanti.

Una volta selezionate le studentesse, Bellomo mostrava loro un contratto che avrebbero dovuto firmare per accedere alla borsa. Il contratto conteneva alcune condizioni tutto sommato comprensibili – anche se potenzialmente illecite – come la scrittura di articoli per la rivista “Diritto e Scienza”, la partecipazione a studi e convegni, ma anche la promozione dell’immagine della società. È qui cominciano le principali stranezze. Per esempio, in un allegato al contratto veniva specificato l’abbigliamento che le borsiste avrebbero dovuto adottare durante le occasioni formali: una descrizione dettagliata al punto da specificare il tipo di scarpa (con tacchi alti), di trucco, di calze e la lunghezza della gonna (che avrebbe dovuto essere particolarmente corta).

Oltre a queste condizioni ce n’erano altre che sembrano uscite da uno scherzo venuto male. Una clausola del contratto prevedeva che la borsa di studio venisse revocata se il borsista si fosse sposato. Il fidanzamento del o della borsista era consentito solo in seguito all’approvazione personale di Bellomo, che avrebbe dovuto valutare il quoziente intellettivo del potenziale compagno o compagna. Questo ruolo di autorità di Bellomo nei confronti del borsista raggiunge il culmine quando nel contratto si definisce «l’agente superiore» a cui il borsista deve «fedeltà» (l'”agente superiore” è la figura prodotta dalla filosofia di Bellomo, che prevede di mischiare diritto e teoria della relatività). Infine, nel contratto era scritto «i risultati dell’attività di addestramento possono essere oggetto di analisi nella rivista». Il che significava che, in alcuni casi, le relazioni di Bellomo con alcune studentesse e le relazioni di queste con i loro compagni sono state discusse da Bellomo sulla dispensa online a cui avevano accesso gli studenti del suo corso.

Almeno otto studentesse hanno raccontato a giornali e magistrati cosa significassero in pratica queste istruzioni. Rosa Calvi, 28 anni, ha raccontato al Corriere della Sera che – dopo essere stata selezionata per ricevere la famosa borsa di studio – Bellomo la incontrò in privato: «Mi chiese subito della mia vita privata: quanti fidanzati avevo avuto e cosa facevano. E poi disse che se decidevo di accettare, avrei dovuto perdere cinque chili entro marzo. Poi mi guardò in viso e mi disse: “Hai le borse sotto gli occhi, con un paio di punturine risolviamo la situazione”». Pochi istanti dopo «provò a baciarmi. In un attimo mi sfiorò le labbra e io lo evitai. Rimasi pietrificata». Nei giorni successivi Bellomo continuò a contattarla, invitandola a un corso a Milano. Per partecipare, però, Calvi avrebbe dovuto affrontare una serie di prove: «Andare in Ferrari con lui ad alta velocità oppure passeggiare in una via di locali e scegliere il migliore. Mi sembrarono delle cose assurde e decisi che era il caso di restare a Roma».

Il caso all’apparenza più grave è quello di una studentessa di Piacenza che, con la denuncia presentata dai suoi genitori, ha dato avvio all’intera vicenda. Una giornalista del Corriere della Sera, Virginia Picolillo, ha intervistato il padre della ragazza, che ha preferito restare anonimo. Sua figlia, a quanto emerge dal racconto, ha avuto una relazione con Bellomo, anche se il padre sospetta che sia stata in qualche maniera costretta. Quando però la studentessa ha deciso di terminare la relazione, Bellomo avrebbe iniziato a perseguitarla, pubblicando dettagli intimi della loro relazione sulla rivista web che era accessibile a tutti gli studenti della scuola, sempre raccontati attraverso la bizzarra metafora dell'”agente superiore”. Il padre ha raccontato al Corriere:

«Lui ha denunciato anche me. È la sua tecnica, fa terra bruciata. Ma io devo difendere mia figlia. Lei — spiega — era stata insieme con Bellomo (a questo punto non so quanto volontariamente o per contratto). Com’era successo anche ad altre, lui poi raccontava particolari intimi delle sue relazioni sulla rivista a disposizione degli studenti. Peggio della gogna del web, perché poi i tuoi compagni sanno se hai dormito con questo o l’altro, se sei stata brava, se il tuo fidanzato è un deficiente. Era obbligata al segreto. Sapeva che lui fa causa e le vince tutte e la clausola era da 100mila euro. Quando non voleva più andare è stata denunciata anche lei. Ma una borsa di studio non dovrebbe essere un premio a cui poter rinunciare? Invece lui l’ha fatta cercare dai carabinieri. Noi non sapevamo nulla. La vedevamo deperire. È alta 1,72 era arrivata a 41 chili. Un giorno, all’arrivo dei carabinieri, è svenuta. L’abbiamo dovuta ricoverare. A quel punto ho cominciato a investigare».

A Bellomo attualmente è vietato l’insegnamento ed è stato destituito dalla sua posizione: per diventare definitiva questa decisione ha bisogno del voto dei cento membri dell’Adunanza generale del Consiglio di stato, che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. Secondo l’accusa formulata dal Consiglio, Bellomo avrebbe costretto i suoi borsisti a firmare un contratto che «non rispetta la libertà e la dignità della persona». Con il suo comportamento avrebbe «violato il prestigio della magistratura». Nel frattempo il Consiglio Superiore della Magistratura, l’ordine di autogoverno della magistratura ordinaria, dovrebbe decidere oggi su Davide Nalin, pubblico ministero di Rovigo e accusato di essere un complice di Bellomo, usato spesso come “tramite” per convincere le ragazze più recalcitranti ad accettare il corteggiamento del consigliere. Bellomo si è difeso dalle accuse in un’intervista al Corriere della Sera in cui ha detto, tra le altre cose: «Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee».