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  • Martedì 12 dicembre 2017

Le elezioni di oggi in Alabama contano molto

Si vota per riempire un seggio cruciale al Senato: e i Repubblicani candidano un ex giudice accusato di molestie su minori, appoggiato anche da Trump

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)

Richard Shelby è il politico Repubblicano più importante dell’Alabama, un piccolo stato rurale e molto conservatore nel sud degli Stati Uniti. Ha 83 anni, è stato eletto per la prima volta a una carica pubblica nel 1971 e oggi è uno dei più influenti senatori del Sud. Tre giorni fa Shelby è stato ospite di State of the Union, il programma domenicale di punta di CNN, in vista dell’elezione suppletiva per l’altro seggio del Senato dell’Alabama, lasciato vacante da Jeff Sessions nominato procuratore generale all’inizio della legislatura.

La cosa notevole, e che dice molto sulla rilevanza ed eccezionalità di queste elezioni suppletive, è che Shelby è apparso su CNN per chiedere di non votare il candidato del suo partito: Roy Moore, un ex giudice molto conservatore dalle posizioni estremiste e noto soprattutto perché accusato di avere molestato sessualmente delle ragazze minorenni.

Da settimane le elezioni per il seggio in Alabama, che si tengono oggi, stanno ricevendo grandi attenzioni da parte dei giornali nazionali e dai pezzi grossi come Shelby per un sacco di ragioni. La più importante è che rischiano di essere decisive per il futuro dell’agenda legislativa dei Repubblicani, che al momento controllano Casa Bianca, Camera e Senato. In quest’ultimo però hanno una maggioranza di soli 52 senatori su 100. Perdere un seggio significherebbe contare su una maggioranza di soli due senatori – in caso di pareggio 50-50 vota il vicepresidente Mike Pence – e questo renderebbe ancora più difficile approvare riforme significative: nel primo anno di amministrazione Trump, anche a causa dell’atteggiamento divisivo del nuovo presidente, i Repubblicani sono riusciti a far passare solo una parziale riforma del fisco.

Ma le elezioni di oggi si intrecciano anche con il dibattito in corso da settimane in tutto il mondo sulle molestie sessuali nei confronti delle donne.

Le accuse e le voci su Moore circolavano da tempo in Alabama, ma sono diventate note in tutto il paese dopo un’inchiesta del Washington Post pubblicata giovedì 9 novembre, e scritta dalle giornaliste Stephanie McCrummen, Beth Reinhard e Alice Crites. Nell’articolo due donne raccontano di aver frequentato Moore quando avevano 17 e 18 anni mentre lui ne aveva più di 30. Un’altra donna racconta che Moore le chiese di uscire insieme quando lei aveva 16 anni, ma che sua madre glielo proibì. La testimonianza più significativa è quella di Leigh Corfman, una donna che ha raccontato di essere stata molestata da Moore quando aveva 14 anni. Le quattro donne non si conoscono tra loro e sono state trovate dal giornale – non sono andate loro dal Washington Post, insomma – e hanno dato racconti coerenti tra loro. Nel frattempo le accuse a Moore sono state corroborate da altri giornali, e le donne che hanno raccontato di essere state molestate sono diventate nove.

Moore, che ha 70 anni, era un candidato controverso ancora prima che venissero fuori queste accuse. Ha posizioni molto dure contro gli immigrati e gli omosessuali, ha appoggiato le teorie complottiste sul certificato di nascita di Barack Obama e si può definire un cristiano estremista. Nel 2003 si fece cacciare dall’incarico di presidente della Corte Suprema dell’Alabama per aver fatto costruire un monumento celebrativo dei Dieci Comandamenti nella sede della Corte. Pochi mesi fa ha suggerito che gli attentati dell’11 settembre 2001 potrebbero essere stati causati dall’allontanamento degli Stati Uniti da Dio. Qualcuno ha riassunto la figura di Moore, che gira spesso con un vistoso cappello da cowboy, spiegando che «sembra lo stereotipo sopra le righe di un politico Repubblicano del sud creato da un romanziere scarso».

Roy Moore (Scott Olson/Getty Images)

Fino a qualche anno fa un candidato come Moore non avrebbe avuto nessuna speranza di essere eletto. Dopo le prime accuse il partito l’avrebbe costretto a ritirarsi dalle elezioni, e si sarebbe rassegnato a lasciare il seggio ai Democratici. Ma per i Repubblicani quello di Moore è troppo importante per mantenere il controllo della legislatura, e a parte qualche notevole presa di posizione come quella di Shelby e dell’ex segretario di Stato Condoleezza Rice, il partito è rimasto con lui anche dopo l’inchiesta del Washington Post. Trump, e con lui diversi altri Repubblicani, sostiene che «l’ultima cosa di cui l’agenda Make America Great Again ha bisogno è un altro Democratico di sinistra in Senato». Pur di non cedere un seggio ai propri avversari, insomma, i Repubblicani sono disposti a far eleggere un potenziale pedofilo e molestatore.

La polarizzazione sempre più evidente della politica americana non coinvolge solo i politici e i funzionari di partito, ma soprattutto gli elettori. Moore è ancora il candidato del Partito Repubblicano anche perché la maggior parte dei suoi elettori – formata soprattutto da cristiani bianchi – non l’ha abbandonato. La media dei principali sondaggi messa insieme da Real Clear Politics lo dà intorno al 48 per cento, più o meno la stessa cifra di qualche mese fa. Il candidato Democratico Doug Jones, un avvocato molto noto in Alabama per il suo impegno contro il razzismo, è dato quattro punti indietro.

Il risultato finale rimane incerto. Il trambusto delle ultime settimane ha probabilmente allontanato gli elettori meno motivati, e l’affluenza sarà più bassa delle ultime presidenziali, quando raggiunse il 64 per cento (Trump vinse col 62,1 per cento dei voti). Con un dato del genere, fare dei pronostici è praticamente impossibile. «Sto sentendo di tutto», ha raccontato al Washington Post Brian Walsh, il presidente di una fondazione politica che appoggia Moore: «nessuno capisce cosa diavolo stia succedendo». I risultati arriveranno nelle prime ore di mercoledì 13.