Un altro colesterolo è possibile

Da tempo alcuni medici e ricercatori propongono di cambiare i classici esami con nuovi test più accurati, ma non tutti sono convinti che sia la strada giusta

Rappresentazione grafica di una particella LDL (Wikimedia)
Rappresentazione grafica di una particella LDL (Wikimedia)

Allan Sniderman è un cardiologo della McGill University di Montréal (Canada) e si è dato un obiettivo piuttosto ambizioso: cambiare il modo in cui si misura il colesterolo e si valutano i fattori di rischio cardiovascolare per i pazienti. Sniderman può contare su molti altri medici, che ormai da anni propongono di cambiare gli esami su cui si basano milioni di diagnosi e terapie preventive in giro per il mondo. Invece di effettuare il classico esame del sangue per rilevare i livelli di colesterolo, propongono di fare un test altrettanto economico che permette di rilevare i livelli di apolipoproteina B (apoB), ritenuto un indicatore molto più affidabile per valutare il rischio cardiovascolare. Un esame di questo tipo è disponibile da anni ed è in parte già impiegato da alcuni cardiologi, ma la sua effettiva utilità continua a essere discussa e in molti non sono persuasi sul fatto che possa portare vantaggi rispetto ai classici test.

Cos’è il colesterolo
Il colesterolo è una sostanza grassa molto importante per l’organismo: lo aiuta per esempio a sintetizzare alcuni ormoni e la vitamina D, ed è un elemento essenziale delle membrane delle cellule. Il fegato è il principale produttore di colesterolo, ma lo otteniamo anche mangiando alimenti ricchi di grassi animali, come carne, uova, burro e formaggi. I lipidi – cioè i grassi – non sono solubili in acqua e questo rende complicato trasportarli attraverso i vasi sanguigni dal fegato alle varie cellule dell’organismo. Se ne fa carico una classe particolare di sostanze (particelle) – quella delle lipoproteine – costituite da colesterolo e gruppi specifici di proteine, in genere classificate a seconda della loro densità. Semplificando: le lipoproteine a bassa densità (LDL) trasportano il colesterolo dal fegato alle cellule, mentre quelle ad alta densità (HDL) rimuovono il colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato, che lo distrugge. Solitamente, la sigla LDL nel parlato comune diventa “colesterolo cattivo”, contrapposta a HDL, quello “buono”.

Ci siete ancora? Allora vi siete guadagnati un’analogia: le lipoproteine sono i camion, il colesterolo il loro carico e i vasi sanguigni le autostrade. LDL non è quindi il colesterolo, che è solo il suo carico.

Se le particelle LDL sono presenti in quantità eccessive, tendono a depositarsi sulla parete delle arterie, causando un’infiammazione e un accumulo di colesterolo e altre sostanze che le fanno diventare più spesse e rigide. È il processo chiamato “aterosclerosi”, che a lungo andare può portare alla formazione di placche che ostacolano il flusso sanguigno, in alcuni casi fino a bloccarlo del tutto. Il ridotto o mancato afflusso di sangue può causare seri problemi come un infarto cardiaco o un ictus.

Di solito, alti livelli di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia) non portano da subito a sintomi, e proprio per questo motivo le persone predisposte devono essere tenute sotto controllo con periodici esami del sangue. Il medico può consigliare stili di vita più sani, modifiche alla dieta o prescrivere farmaci per ridurre il livello di colesterolo e di conseguenza il rischio di avere complicazioni cardiovascolari. Il problema è che la classica misurazione del colesterolo non è sempre lo strumento ideale per fare una valutazione accurata del rischio, come sostengono da tempo Sniderman e altri suoi colleghi.

L’esame del colesterolo
Per diverso tempo i cardiologi hanno fatto le loro valutazioni rilevando indistintamente la quantità di colesterolo nel sangue: più ce n’era, più era ritenuto alto il rischio di avere problemi cardiovascolari. In seguito si è scoperto che non tutto il colesterolo nel sangue è dannoso, e che le lipoproteine HDL possono aiutare a proteggere i vasi sanguigni. Da allora, le attenzioni dei medici si sono concentrate sulle lipoproteine LDL (e su altre che possono causare danni vascolari) e sul loro rapporto con le HDL.

Il foglio che si riceve dopo un esame del sangue per il colesterolo di solito non mostra un conteggio delle particelle LDL, cioè dei camion, ma una stima del loro carico, cioè il colesterolo, indicato come LDL-C. È appunto una stima ottenuta indirettamente con un’equazione che prevede di sottrarre dal colesterolo totale quello HDL, precedentemente sommato a un quinto dei trigliceridi (un altro tipo di grassi).

Colesterolo LDL = Colesterolo Totale – (Colesterolo HDL + trigliceridi / 5)

Il calcolo dà un’indicazione di massima sulla quale il medico fa le sue valutazioni, ma non dice quanti siano effettivamente i camion in circolazione (il numero di particelle è indicato con LDL-P). Ed è qui che secondo Sniderman e colleghi entra in gioco l’apolipoproteina B per avere un indicatore più accurato.

Apolipoproteina B (apoB)
L’apoB è la proteina principale delle particelle LDL (i camion): il suo ruolo non è ancora completamente chiaro, ma i ricercatori sanno da tempo che ogni particella LDL ne contiene una e una soltanto. Se si rileva la quantità di apoB in un campione di sangue, si può fare una stima più accurata sulla quantità di particelle LDL e di conseguenza si possono effettuare migliori valutazioni del rischio cardiovascolare. Il sistema di calcolo con l’apoB non è l’unico, ma molti ricercatori sono convinti che sia più economico e semplice di altri metodi, con un costo intorno ai 15-20 euro.

Ricapitolando
• LDL-C dà una stima della massa di colesterolo presente nelle particelle LDL, e dà quindi informazioni indirette sull’eventuale inizio di aterosclerosi.
• ApoB e LDL-P riflettono il numero di particelle LDL, non danno informazioni sulla massa di colesterolo, e quindi i cardiologi che la pensano come Sniderman ritengono sia un dato più accurato per valutare il rischio cardiovascolare. Ora vediamo perché.

Quanti camion, quanto grandi
Ci sono ormai numerose ricerche scientifiche che hanno evidenziato come l’aterosclerosi sia dovuta in primo luogo ai camion, e solo secondariamente al loro carico. Sono le lipoproteine a interagire con le arterie, non il loro carico, e ad avviare la serie di eventi che porta infine all’aterosclerosi. Il colesterolo è solo uno dei numerosi componenti delle lipoproteine, quindi misurare la sola massa di colesterolo (LDL-C) non consente di fare una buona valutazione del rischio.

Inoltre, studi recenti hanno rilevato che le dimensioni delle particelle LDL variano a seconda delle persone. Questo vuol dire che Tizio può avere camion più grossi e che trasportano più colesterolo, mentre Caio può averne di più piccoli e con minore capacità. Se entrambi hanno lo stesso LDL-C, significa che Caio ha un numero più alto di particelle LDL, perché ognuna riesce a trasportare meno colesterolo. Caio è quindi più a rischio di Tizio perché ha un numero più alto di LDL-P, nonostante il suo esame classico del sangue (LDL-C) induca a pensare che sia a rischio quanto Tizio.

Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che le dimensioni delle particelle LDL possano influire molto. Gli individui che ne hanno di piccole e dense hanno un rischio fino a tre volte maggiore di sviluppare problemi cardiaci. Chi invece ha particelle LDL più larghe e spugnose sembra essere meglio protetto. Studi di questo tipo non hanno ancora portato a chiare conclusioni, quindi non si può escludere che ciò che davvero conta sia solo il fatto di avere più particelle LDL, nel caso in cui siano piccole; non va inoltre trascurato il ruolo di HDL, la parte “buona” del colesterolo.

Dove ci porta tutta questa cosa complicata
Il tema sul miglior modo di valutare il rischio cardiovascolare legato al colesterolo è molto dibattuto perché, come avviene spesso in medicina e più in generale nella ricerca scientifica, per ora prove e risultati a favore di un sistema o di un altro sono sfumati. Il test classico basato sui livelli di colesterolo LDL dà un risultato affidabile nell’85 per cento dei casi nel valutare il rischio di un paziente di sviluppare malattie cardiovascolari. Il problema è che nell’altro 15 per cento dei casi fallisce, portando a diagnosi scorrette che possono comportare terapie inutili o il loro mancato avvio. Le statine – i farmaci più diffusi per tenere sotto controllo i livelli di LDL-C – sono economici, ma possono comportare effetti collaterali da non sottovalutare, un problema se viene prescritta una terapia non necessaria. Inoltre, i farmaci di nuova generazione, con minori effetti collaterali, sono ancora costosi e possono richiedere una spesa di migliaia di euro ogni anno, a carico dei pazienti, delle assicurazioni o dei servizi sanitari nazionali a seconda dei casi.

Come racconta Mitch Leslie sul sito di Science, il mese scorso Sniderman ha partecipato a una conferenza dell’American Heart Association (AHA) ad Anaheim, in California, dove ha presentato un riesame dei dati raccolti in questi anni dalla National Health and Nutrition Examination Survey, uno dei censimenti sanitari più importanti condotti sulla salute della popolazione statunitense. Sniderman ha messo a confronto individui con risultati simili nella quantità di LDL-C, ma con risultati diversi per quanto riguarda i livelli di apoB. Il suo modello statistico ha concluso che i pazienti con apoB alte hanno un rischio molto maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari, rispetto a chi ha apoB basse. Tutto questo a parità di LDL-C, a dimostrazione che il dato classico usato per valutare questa condizione non è sufficientemente accurato. Altri colleghi concordano ormai con lui sul fatto che il metodo di misurazione più diffuso non dia risposte chiare a sufficienza.

I sostenitori dell’apoB sono tornati a farsi sentire in vista dell’imminente revisione delle raccomandazioni per il trattamento del colesterolo negli Stati Uniti, da parte dell’American College of Cardiology e AHA, che dovrebbero ricevere un aggiornamento il prossimo anno. Qualcosa di analogo sta per succedere anche in Europa, dove il lavoro è in fase preparatoria e richiederà quindi almeno un paio di anni per arrivare a qualcosa di concreto. Gli stessi sostenitori dell’apoB sono però rassegnati al fatto che in così poco tempo non potrà cambiare molto, anche se il dibattito prosegue da anni.

Davanti a un paziente con alti livelli di LDL-C, i medici prescrivono terapie per abbassarlo, e che solo parzialmente servono anche per ridurre LDL-P. I consigli comprendono: mangiare meno grassi, provenienti da carne e formaggi, e nei casi di livelli molto fuori scala di assumere le statine, farmaci che hanno la capacità di bloccare la produzione di nuovo colesterolo. Negli anni ci si è concentrati molto meno nell’elaborare nuovi sistemi per ridurre LDL-P, perché tanto statine e altri farmaci già contribuiscono ad abbassarne il livello, anche se il loro obiettivo principale è il carico, non i camion.

Le terapie per trattare alti livelli di LDL-C sono praticate ormai da decenni e, nel bene e nel male, sono comprese in una routine familiare sia ai medici sia ai pazienti. Introdurre in modo sistematico un nuovo elemento di valutazione – come apoB e il numero delle particelle LDL – in raccomandazioni e linee guida è complicato e non potrà avvenire in tempi rapidi. Il sistema attuale è buono a sufficienza e per i più scettici quello nuovo porta livelli di complicazione eccessivi, soprattutto per i medici di base che più si occupano di questi problemi. I sostenitori del cambiamento osservano che però la medicina sta diventando sempre più personalizzata: il giorno in cui le terapie saranno estremamente mirate per ogni singolo paziente avranno la loro rivincita, dicono.