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  • Venerdì 8 dicembre 2017

Un altro giorno di scontri in Israele e Palestina

Ci sono un palestinese morto e almeno 200 feriti, dopo l'annuncio di Trump sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele

Scontri tra palestinesi e soldati israeliani vicino a un checkpoint a Ramallah, in Cisgiordania, 8 dicembre 2017
(AFP PHOTO / ABBAS MOMANI)
Scontri tra palestinesi e soldati israeliani vicino a un checkpoint a Ramallah, in Cisgiordania, 8 dicembre 2017 (AFP PHOTO / ABBAS MOMANI)

In Israele e Palestina stanno continuando, e sono diventati più intensi, gli scontri iniziati come reazione alla decisione del presidente statunitense Donald Trump di annunciare il futuro spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, riconoscendola di fatto come capitale dello stato di Israele, e rianimando decennali scontri tra israeliani e palestinesi.

L’annuncio di Trump è del 6 dicembre: sono seguiti, a partire da quel giorno, quelli che le principali forze politiche palestinesi hanno chiamato “tre giorni di rabbia”. Oggi – venerdì, importante giorno di preghiere per i musulmani – è l’ultimo di quei tre giorni: ci sono stati scontri in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e le città più interessate sono state Betlemme, Ramallah, Hebron e Nablus. Ci sono stati scontri anche a Gerusalemme est, per ora sono descritti come meno intensi, e in diversi altri paesi del Medioriente.

Secondo fonti mediche palestinesi citate da BBC i feriti palestinesi sono più di 200, la maggior parte dei quali intossicati dai gas lacrimogeni; nel pomeriggio di venerdì è arrivata la notizia di un palestinese di trent’anni ucciso negli scontri nella Striscia di Gaza. Associated Press ha scritto che in Cisgiordania i manifestanti palestinesi hanno dato fuoco ad alcuni pneumatici e che ci sono state sassaiole da parte di alcuni palestinesi, a cui i soldati israeliani hanno risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma. L’esercito israeliano ha parlato di scontri con manifestanti in almeno trenta diversi luoghi, dicendo di aver arrestato sei persone.

Le proteste contro la decisione di Trump – che è andato contro una consolidata prassi che andava avanti da decenni – ci sono state anche in altri paesi, tra cui la Giordania, l’Egitto, la Turchia, la Tunisia e l’Iran. Intanto questa mattina Trump ha pubblicato un video in cui – in altri momenti storici, in altri contesti – i tre presidenti statunitensi arrivati prima di lui parlarono di Gerusalemme come capitale di Israele: una legge degli anni Novanta infatti stabilisce che gli Stati Uniti debbano spostare la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ma concede ai presidenti di prorogare la decisione ogni sei mesi, cosa che avevano fatto fin qui tutti i presidenti – Democratici e Repubblicani – per evitare di esacerbare le tensioni. Anche Trump ha firmato una simile proroga due volte, l’ultima proprio dopo l’annuncio, ma ha promesso che cominceranno presto le procedure per trasferire davvero l’ambasciata.