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  • Mercoledì 6 dicembre 2017

Ora l’Unione Europea ha una “black list” di paradisi fiscali

Sono 17 paesi – alcuni non scontati – che faranno più fatica a ottenere fondi e aiuti, ma perché ci siano delle sanzioni vere bisognerà aspettare

(Andreas Nöthen/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Andreas Nöthen/picture-alliance/dpa/AP Images)

Per la prima volta nella sua storia l’Unione Europea ha pubblicato una “lista nera” di “paradisi fiscali”, cioè paesi che hanno adottato una legislazione grazie alla quale privati e società possono riuscire a nascondere i loro guadagni al fisco europeo. Si calcola che ogni anno i paesi dell’Unione Europea perdano centinaia di miliardi di euro che vengono portati di nascosto nei paradisi fiscali. La lista approvata ieri include Bahrein, Barbados, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Grenada, Guam, Isole Marshall, Macao, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Saint Lucia, Samoa, Samoa Americane, Trinidad e Tobago e Tunisia. Insieme alla “black list” è stata pubblicata anche una “lista grigia” di 47 paesi sotto osservazione. In quest’ultimo gruppo ci sono paesi come Svizzera e Bermuda e territori come Jersey, che appartiene al Regno Unito.

Nonostante quello che è appena avvenuto sia un grande passo avanti, in pratica cambierà ben poco, almeno nell’immediato. I 17 paesi inseriti nella lista “nera”, che ufficialmente sono definiti “non cooperativi” per quanto riguarda la politica fiscale, non potranno ricevere aiuti europei a meno che non si tratti di aiuti allo sviluppo. Per il resto imprese e privati potranno continuare ad avere a che fare con questi paesi senza rischiare nessuna sanzione a livello europeo. La Commissione Europea, però, “incoraggia” i singoli stati a mettere in atto sanzioni più stringenti se lo riterranno necessario. In questi casi, uno stato può combattere un paradiso fiscale stabilendo una tassa su tutte le transazioni economiche che partono o arrivavano da quello stato, oppure imponendo controlli fiscali ai privati e alle aziende che lo frequentano.

Il fatto che le azioni punitive siano state demandate ai singoli stati è un grosso punto debole per la nuova lista. Affinché queste misure siano efficaci, infatti, è necessario che siano assunte in maniera coordinata dal più alto numero di paesi possibile. Il problema è che l’Europa fa molta fatica a procedere unita su questi temi. Diversi stati membri, come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Malta, sfruttano legami con paradisi fiscali o hanno una legislazione che li rende – essi stessi – dei paradisi fiscali, almeno in parte. Questi stati si oppongono all’introduzione di sanzioni europee e di controlli ancora più stretti nei confronti dei paesi all’interno della lista nera.

Un altro problema della nuova misura è che alcuni dei più noti paradisi fiscali, che si trovano nell’arcipelago caraibico, sono stati esclusi da entrambe le liste. Nel documento viene specificato che, a causa degli uragani che hanno colpito la regione nel settembre 2017, l’inserimento nella lista di Anguilla, Antigua e Barbuda, Bahamas, Dominica, Isole Vergini Britanniche, Isole Vergini USA, Saint Kitts e Nevis e Turks e Caicos Islands è stato sospeso. L’esame riprenderà a partire dal prossimo febbraio ed entro la fine del 2018 sarà deciso se inserire questi paesi nella lista degli stati “non collaborativi”.

L’ONG Oxfam, che poche settimane fa ha pubblicato la sua lista di 35 paesi che considera paradisi fiscali, ha scritto in un comunicato: «Anche se riconosciamo che questo è un passo nella giusta direzione, se i leader dell’Unione Europea lasceranno sfuggire alla loro rete un numero eccessivo di paesi, ci rimetteremo tutti quanti. Un posto sulla “lista grigia” non deve significare che qualche paradiso fiscale possa riuscire a farla franca». Quello dell’elusione fiscale tramite l’utilizzo di paradisi fiscali è da tempo riconosciuto come un grosso problema a livello internazionale. A sfruttare queste scappatoie in maniera particolarmente efficace sono soprattutto le grande aziende del digitale, come Google, Facebook e Apple. Singoli stati europei hanno spesso provato a introdurre legislazioni per combattere il fenomeno, ma in genere senza ottenere grandi risultati.