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  • Martedì 5 dicembre 2017

Cosa non funziona davvero, in Italia

Angelo Panebianco elenca un po’ di semplificazioni su lauree, lavoro, tasse, magistrature

La tipografia del Corriere della Sera. (GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
La tipografia del Corriere della Sera. (GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

Sul Corriere della Sera di oggi Angelo Panebianco – politologo, docente universitario ed editorialista di lungo corso – mette in fila una serie di luoghi comuni che fanno parte da anni del dibattito politico, e probabilmente sentiremo ancora più spesso con l’inizio della campagna elettorale dai partiti ma anche dai giornali.

A dimostrazione del fatto che le fake news non sono una invenzione recente, possiamo identificare una serie di asserzioni false che, a volte da decenni, vengono riproposte continuamente di fronte al pubblico. Queste falsità sono diventate luoghi comuni, acriticamente assunti come veri. Sono, almeno in parte, frutto di automatismi mentali, di cortocircuiti cognitivi. Per lo più, le asserzioni false circolano per una combinazione di interessi (qualcuno ha interesse a che il falso venga creduto vero) di chi le ribadisce e della pigrizia mentale di chi le ascolta. Faccio alcuni esempi scelti per la loro persistenza e per gli effetti negativi che tali falsità esercitano sulla nostra vita pubblica. Se ne potrebbero scegliere anche altri. Alcune di queste asserzioni false appartengono alla categoria «come imbrogliare i giovani». La più spudorata è quella secondo cui avremmo in Italia «pochi laureati». Detta così è una bugia. Abbiamo troppi laureati in giurisprudenza e troppo pochi laureati in fisica. Più in generale: troppi laureati in materie umanistiche, e in scienze umane, e pochi laureati nelle scienze hard. Questa distorsione penalizza i giovani laureati alla ricerca di una prima occupazione. Per eliminare la distorsione bisognerebbe introdurre il numero chiuso in tutti i corsi di laurea umanistici e di scienze umane. In modo da dare agli studenti liceali una bussola per orientare le scelte future.

I più dotati in materie umanistiche sapranno che, se quella è la loro vocazione, essi dispongono di buone chance per superare lo sbarramento del numero chiuso. Gli altri, se vogliono accedere all’Università, dovranno dedicarsi con impegno, già al liceo, allo studio della matematica e delle discipline scientifiche. Avremmo allora, in prospettiva, meno laureati(ma di migliore qualità)nelle umanistiche e più laureati nelle scientifiche. Mettendo fine a una distorsione che penalizza i giovani (e,per giunta, non mette a disposizione del mondo produttivo abbastanza «capitale umano»).

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