Il primo trapianto di cuore, 50 anni fa

A Città del Capo, in Sudafrica, il chirurgo Christiaan Barnard mise il cuore di una donna di 25 anni in un uomo di 55

Christiaan Barnard spiega come ha realizzato il primo trapianto di cuore umano a un gruppo di giornalistu a Città del Capo, il 10 dicembre 1967 (AP Photo/Cape Argus)
Christiaan Barnard spiega come ha realizzato il primo trapianto di cuore umano a un gruppo di giornalistu a Città del Capo, il 10 dicembre 1967 (AP Photo/Cape Argus)

Il 3 dicembre 1967 a Città del Capo, in Sudafrica, fu compiuto quello che è considerato il primo trapianto di cuore umano, uno dei più importanti progressi nella medicina del Novecento e della storia. L’operazione fu realizzata dal chirurgo Christiaan Barnard, destinato a diventare uno dei medici più famosi al mondo. La persona che ricevette il cuore si chiamava Louis Washkansky, aveva 54 anni, soffriva di diabete e aveva avuto già tre infarti; il cuore apparteneva a una donna di 24 anni, Denise Darvall, che a seguito di un incidente stradale era cerebralmente morta. L’intervento richiese otto ore di lavoro.

L’impatto che l’operazione ebbe sul mondo della medicina e sull’opinione pubblica mondiale fece sì che il 1968, tra le altre cose, fosse soprannominato «anno del trapianto»: in meno di un anno ne furono eseguiti più di sessanta, non solo in Sudafrica, ma anche in Europa, Stati Uniti, India e Venezuela. È invece meno noto che Washkansky morì 18 giorni dopo il trapianto, così come molte altre persone che furono sottoposte ai primi trapianti di cuore non sopravvissero a lungo. L’incidenza delle morti portò, dopo l’iniziale entusiasmo, a realizzare pochi trapianti di cuore negli anni Settanta: diventarono comuni solo nel decennio successivo.

Tutta la storia è raccontata bene in un capitolo di The Matter of the Heart: A History of the Heart in Eleven Operations di Thomas Morris, un saggio divulgativo sulla storia della chirurgia cardiovascolare uscito nel Regno Unito lo scorso giugno. Il libro spiega che negli anni Sessanta i chirurghi cardiaci del mondo non si sarebbero mai aspettati che sarebbe stato Barnard a fare il primo trapianto di cuore: qualcuno arrivò a definirlo un dilettante, non perché non fosse un chirurgo, ma perché non fu lui a fare le ricerche che resero possibili i trapianti. Ma andiamo con ordine.

La prima pagina della Stampa Sera del 4 dicembre 1967 (Archivio storico della Stampa)

Come avvenne il primo trapianto di cuore

L’operazione avvenne all’ospedale Groote Schuur di Città del Capo. Barnard non aveva mai fatto esperimenti di trapianti di cuore sugli animali, ma conosceva il lavoro dei chirurghi che in quegli anni li stavano facendo (Norman Shumway, Richard Lower e Adrian Kantrowitz, soprattutto) perché aveva studiato per qualche anno negli Stati Uniti. Da qualche tempo aveva deciso di provare a fare l’operazione, aveva individuato Washkansky come paziente candidato e aveva ottenuto dalla direzione dell’ospedale di essere informato non appena fosse arrivato un cuore adatto per lui. Quando fu accertato che le ferite alla testa di Denise Darvall avevano messo fine alla sua attività cerebrale, il suo cuore fu giudicato adatto.

Washkansky fu portato in sala operatoria 50 minuti dopo la mezzanotte del 3 dicembre. Fu anestetizzato e collegato a una macchina cuore-polmone, cioè a uno di quei dispositivi che servono per garantire la sopravvivenza dei pazienti chirurgici sostituendo temporaneamente le funzioni del cuore e dei polmoni nella circolazione. Nella stanza attigua c’era il corpo di Denis Darvall, il cui cuore continuava a battere grazie a un respiratore artificiale. Alle 2.20 Barnard finì di preparare Washkansky per l’intervento e disse a suo fratello, Marius Barnard, a sua volta chirurgo, di spegnere il respiratore attaccato al corpo di Darvall; dopo 12 minuti il cuore della giovane donna smise di battere, il suo petto fu aperto e il corpo collegato a un’altra macchina cuore-polmone per preservare gli organi destinati ad altri trapianti. Barnard estrasse il cuore di Darvall e lo trasportò nella sala operatoria in cui si trovava Washkansky in un contenitore in cui c’era una soluzione che lo tenne al freddo. Poi nel cuore fu infuso il sangue di Washkansky, un modo per renderlo compatibile con il corpo dell’uomo.

Prima che il cuore di Washkansky fosse rimosso, il suo corpo fu raffreddato a 30 °C per evitare danni al cervello durante la lunga operazione. Barnard bloccò l’aorta, per escluderla dalla circolazione, e la tagliò appena sopra le arterie coronarie; poi recise l’arteria polmonare e rimosse il cuore, lasciandone alcune parti – le porzioni degli atrii che contenevano le parti finali delle vene cave e delle vene polmonari – per poter attaccare meglio il cuore di Darvall. Cosa che poi fece, partendo dagli atrii, proseguendo con l’arteria polmonare e finendo con l’aorta. Una volta che fu soddisfatto delle suture, rimosse il morsetto che bloccava la circolazione nell’aorta facendo scorrere il sangue di Washkansky nel suo nuovo cuore. Successivamente i medici della squadra di Barnard fecero salire la temperatura del corpo del paziente. Dopo mezz’ora l’anestesista Joseph Ozinsky misurò che la temperatura nell’esofago di Washkansky aveva raggiunto i 36 °C e allora Barnard usò un defibrillatore: dopo un momento il cuore cominciò a battere. Erano le 5.52.

L’operazione comunque non era finita: si dovette staccare Washkansky dalla macchina cuore-polmone, cosa per cui ci vollero tre tentativi. Poi il suo petto fu richiuso. L’anestesista smise di somministrargli i farmaci che lo tenevano sedato e insensibile quando erano ormai le 8.30. Gli furono dati anche steroidi con lo scopo di indebolire il suo sistema immunitario per ridurre il rischio di rigetto per il nuovo cuore. Dato che le condizioni di Washkansky erano stabili, l’uomo fu condotto in una stanza preparata appositamente per ridurre al minimo il rischio di infezioni.

Dopo un paio di giorni Washkansky riuscì a mettersi a sedere e a parlare; le condizioni dei suoi organi migliorarono rispetto a prima dell’operazione, sintomo del fatto che la circolazione fosse migliorata. Fu intervistato da giornalisti di tutto il mondo con il consenso di Barnard. Il 15 dicembre gli fu permesso di mettersi in piedi.

Louis Washkansky sulla prima pagina della Stampa del 5 dicembre 1967 (Archivio storico della Stampa)

La sera dello stesso giorno in cui riuscì a mettersi in piedi, Washkansky cominciò a stare male. Faticava a respirare e gli fu diagnosticata una polmonite. Non si trovarono infezioni e per questo Barnard pensò che fosse una manifestazione del rigetto e diede a Washkansky dei farmaci per tenerlo sotto controllo: fu un errore, perché in realtà la polmonite era stata causata da una ferita alla gamba. Washkansky avrebbe avuto bisogno di antibiotici che aiutassero il suo sistema immunitario, non di farmaci che lo indebolissero come quelli che gli furono somministrati. Quando i medici capirono le cause reali della polmonite – all’epoca non si sapeva distinguere bene i sintomi di rigetto e di infezione e tuttora non è una cosa semplice – era troppo tardi: Washkansky morì il 21 dicembre. Tuttavia l’operazione di Barnard era stata un successo e senza l’infezione l’uomo avrebbe potuto vivere più a lungo.

«L’anno del trapianto» non andò tanto bene

Il secondo paziente a cui Barnard fece un trapianto, il dentista in pensione Philip Blaiberg, visse per più di 19 mesi dopo l’operazione, ma la maggior parte dei trapianti di cuore che furono effettuati nel 1968 non furono grandi successi. Secondo una rilevazione fatta nel dicembre di quell’anno, meno della metà dei 65 pazienti operati fino al quel punto erano ancora vivi. Nel dicembre del 1970 l’American Heart Association fece un altro censimento secondo cui solo 23 dei 166 pazienti sottoposti a trapianto di cuore fino a quel punto erano ancora vivi. I problemi non erano chirurgici – le tecniche dell’epoca erano abbastanza avanzate per rendere l’operazione fattibile – ma successivi ai trapianti stessi: non si sapeva bene come contrastare i rigetti.

Un altro grosso problema era l’opinione pubblica. Dopo gli entusiasmi iniziali i chirurghi che volevano fare trapianti di cuore ricevettero moltissime critiche, sia per come venivano scelti i cuori da trapiantare, sia perché alcuni chirurghi fecero tentativi usando cuori di animali, una scelta considerata offensiva da molte persone. Il caso che causò più discussioni fu quello di un trapianto eseguito in Giappone l’8 agosto 1968 dal chirurgo Juro Wada, il primo nel paese: il cuore trapiantato apparteneva a un ragazzino che era annegato nuotando. Wada fu accusato di aver somministrato al ragazzino un rilassante muscolare quando era ancora in vita per poter ottenere il cuore e ci fu un processo. Wada fu assolto per mancanza di prove, ma in Giappone tutta la storia ebbe un grosso impatto: nonostante già negli anni Ottanta i trapianti di cuore fossero una procedura accettata in tutto il mondo, in Giappone il primo dopo quello di Wada fu eseguito solo nel 1999.

I numerosi fallimenti dei primi anni Settanta fecero sì che dopo gli iniziali entusiasmi la maggior parte dei chirurghi cardiaci smise di effettuare trapianti di cuore. In alcuni paesi la procedura fu addirittura bandita. Barnard invece continuò e quattro dei suoi primi dieci pazienti sopravvissero per più di un anno.

Il cuore che Christiaan Barnard trapiantò in Louis Washkansky il 3 dicembre 1967, conservato nel museo dell’ospedale Groote Schuur di Città del Capo, in Sudafrica (RODGER BOSCH/AFP/Getty Images)

Le cose cambiarono negli anni Ottanta quando si diffuse un nuovo farmaco che ridusse moltissimo i rischi di rigetto, la ciclosporina, e furono migliorate le tecniche di diagnosi del rigetto, rendendo possibile ai medici di intervenire con maggiore velocità nelle situazioni che lo richiedevano. Il primo trapianto di cuore in Italia avvenne il 14 novembre 1985 a Padova: fu effettuato dalla squadra del chirurgo Vincenzo Gallucci ed ebbe successo. Il paziente, Ilario Lazzari, visse fino al 1992.

Un merito i trapianti di cuore falliti comunque lo ebbero: portarono a una ridefinizione del concetto di “morte” nella comunità scientifica. Infatti, fino a quel momento, generalmente si considerava morta una persona senza più battito cardiaco: la definizione fu ampliata, resa più complessa e tra le altre cose si mise in conto che una persona può essere morta anche se per via artificiale il suo cuore continua a battere se non c’è più attività cerebrale.

E Christiaan Barnard?

L’ambizioso Christiaan Barnard, che anche grazie a una certa spavalderia era riuscito a fare il primo trapianto di cuore prima dei chirurghi americani le cui ricerche aveva studiato, divenne una celebrità in tutto il mondo. Incontrò il presidente degli Stati Uniti, Lyndon Johnson, e il Papa, fece amicizia con molte persone del mondo dello spettacolo, tra cui l’attrice Sophia Loren e l’attore Peter Sellers. Il suo primo matrimonio fallì dopo che si diffusero pettegolezzi su una sua relazione con Gina Lollobrigida.

Barnard continuò a fare trapianti di cuore per alcuni anni, ma i suoi interventi non contribuirono al progresso scientifico nel campo in modo particolare. In totale fece 22 trapianti di cuore in 13 anni. Nel 1983 poi smise di operare, un po’ per i problemi alle mani causatigli dall’artrite reumatoide, un po’ – secondo molti dei suoi colleghi – perché aveva perso interesse nella chirurgia. Morì il 2 settembre 2001, mentre era in vacanza a Cipro.

Un carro di Carnevale che rappresenta Christiaan Barnard a Viareggio, in Toscana, il 4 febbraio 1969 (AP Photo/Giuseppe Anastasi)