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  • Martedì 28 novembre 2017

La complicata visita del Papa in Myanmar

Papa Francesco sta ricevendo delle critiche per non aver menzionato le persecuzioni subite dai rohingya nel paese che le ha compiute

(Max Rossi/Pool Photo via AP)
(Max Rossi/Pool Photo via AP)

Ieri Papa Francesco è atterrato in Myanmar, uno dei paesi che visiterà nel corso di un viaggio nel sudest asiatico che durerà fino al 2 dicembre. Il Papa è arrivato in Myanmar in un momento particolarmente delicato: negli ultimi mesi più di 600mila persone che appartengono all’etnia musulmana dei rohingya sono stati costretti a scappare dal Myanmar in Bangladesh a causa degli attacchi e delle persecuzioni delle forze militari governative, che l’ONU ha paragonato a una campagna di pulizia etnica. Fra ieri e oggi il Papa ha visitato molti luoghi e incontrato diverse persone, fra cui Aung San Suu Kyi, la leader di fatto del paese, e i giornali internazionali stanno cercando di capire come si stia barcamenando.

All’inizio della crisi in Myanmar, Papa Francesco aveva citato i rohingya in una omelia definendoli “i nostri fratelli”, e si era detto molto dispiaciuto per le violenze nei loro confronti. Negli ultimi giorni però la chiesa del Myanmar, e soprattutto l’arcivescovo Charles Maung Bo, ha consigliato al Papa di non usare del tutto il termine “rohingya” durante la sua visita ufficiale. La maggioranza degli abitanti – buddisti e di etnia Bamar – si riferisce a loro come bengalesi, lasciando intendere che appartengano al Bangladesh e che siano quindi stranieri nonostante siano arrivati nel Myanmar secoli fa. Gli stereotipi nei confronti dei rohingya sono molto diffusi anche nella classe dirigente del paese. Parlando col New York Times, Maung Bo ha detto che in Myanmar la parola “rohingya” «è molto controversa, e i militari, il governo e l’opinione pubblica non vorrebbero che il Papa la utilizzasse».

Il Papa ha parlato sia con Min Aung Hlaing, il capo dell’esercito, sia con Aung San Suu Kyi. Tutti e due – soprattutto Suu Kyi, premiata col Nobel per la Pace nel 1991 – sono stati criticati per aver consentito le violenze sui rohingya da parte delle forze governative. In nessuna delle due occasioni, a quanto si sa, il Papa ha usato la parola “rohingya”. In una conferenza stampa congiunta insieme a Suu Kyi e altri leader locali il Papa ha sollevato la questione del rispetto dei diritti umani per tutti i gruppi etnici, ma senza citare esplicitamente i rohingya.

Secondo alcuni, il Papa potrebbe essere stato convinto ad ammorbidire i suoi toni dal contesto generale del paese. Il Myanmar è appena uscito da una lunga dittatura militare, le istituzioni democratiche sono ancora parecchio fragili e la stessa comunità cristiana – circa 700mila persone, l’1,3 per cento della popolazione – potrebbe rischiare di subire discriminazioni in caso di nuove agitazioni. Altri stanno criticando il Papa per aver perso un’occasione per incoraggiare al rispetto dei diritti umani, un tema di cui parla molto spesso.

Altri ancora ritengono che il Papa abbia sbagliato ad andare in Myanmar in un momento così delicato: «Ho grande ammirazione per il Papa e le sue capacità, ma qualcuno avrebbe dovuto convincerlo a non fare questo viaggio», ha scritto il reverendo Thomas J. Reese, che fa parte del comitato governativo americano per le libertà religiose.

Stamattina, prima di celebrare una messa a Nay Pyi Taw, la capitale del paese, il Papa ha comunque incontrato alcuni rappresentanti delle principali religioni del paese, fra cui anche alcuni membri della comunità musulmana e cristiana.

Poco dopo la conferenza stampa con Suu Kyi, il Papa su Twitter ha incoraggiato il Myanmar a costruire una «società inclusiva». Dopodomani il Papa proseguirà il suo viaggio spostandosi in Bangladesh.