Con questa musica parliamo agli alieni

Un messaggio sonoro è in viaggio verso un pianeta a 12 anni luce da noi in una "zona abitabile", i ricercatori sperano che qualcuno risponda

Il radiotelescopio EISCAT nei pressi di Tromsø, Norvegia (METI - Sónar Calling)
Il radiotelescopio EISCAT nei pressi di Tromsø, Norvegia (METI - Sónar Calling)

Da qualche giorno un messaggio musicale viaggia nello Spazio profondo diretto verso GJ 273b, un pianeta fuori dal nostro sistema solare potenzialmente abitabile a 12 anni luce da noi. Gli autori della trasmissione sperano che su quel lontanissimo pianeta ci sia qualcuno e che abbia la capacità di captare il segnale, e magari di inviare una risposta verso la Terra. Tra poco meno di 25 anni potremo quindi sapere se su GJ 273b ci sia una popolazione aliena e se abbia le conoscenze per mettersi in contatto con noi. Potrebbe essere la scoperta del secolo, o forse la più grande delusione degli ultimi decenni nella ricerca di vita oltre il nostro piccolo e tutto sommato accogliente pianeta.

Il messaggio è stato preparato e inviato dai ricercatori e gli appassionati del METI (Messaging to Extra-Terrestrial Intelligence), l’organizzazione internazionale che vuole provare a comunicare con gli extraterrestri e non aspettare che siano loro a farsi vivi, come fa invece la più famosa e longeva SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Il METI è attivo da pochi anni e studia i modi migliori per comunicare con forme di vita aliene, partendo dal presupposto che abbiano sistemi di comunicazione diversi dal nostro, non necessariamente verbali o basati sulla produzione di suoni o di parole scritte. Il loro lavoro – e più in generale il tema di come comunicare con gli alieni – è tornato di grande attualità a inizio anno con l’uscita nei cinema del film di fantascienza Arrival.

Il pianeta GJ 273b in orbita intorno alla sua stella, in un’elaborazione grafica

Prima di inviare il loro messaggio, quelli del METI hanno dovuto scegliere il posto giusto verso cui indirizzarlo. Il pianeta GJ 273b è sembrato ideale non solo per la sua relativa vicinanza alla Terra, ma anche per il fatto di trovarsi nella cosiddetta “zona abitabile”: un’area in cui la temperatura superficiale del pianeta è tale da permettere all’acqua di essere allo stato liquido, rendendo più probabile la formazione della vita per come la conosciamo. GJ 273b è in orbita alla giusta distanza dalla Stella di Luyten (dal nome del suo scopritore Willem Jacob Luyten), una nana rossa, il tipo di stella più diffuso nella Via Lattea, la nostra galassia.

Stabilito l’obiettivo, gli esperti del METI si sono occupati di cosa trasmettere verso il pianeta e hanno pensato di usare la musica: in un certo senso una forma di comunicazione universale e che ha il vantaggio di basarsi sulla matematica e sulla sua oggettività. Insieme con gli organizzatori del festival di musica e tecnologia Sónar di Barcellona, hanno lavorato a un messaggio che fosse semplice da decodificare e comprendere. La base di partenza è stata quindi la matematica con un principio piuttosto semplice e che in teoria vale su qualsiasi pianeta nell’Universo: l’addizione. Hanno poi aggiunto livelli di difficoltà crescenti per illustrare i passaggi matematici che portano alla comprensione del suono e infine della musica.

Il set di messaggi è stato codificato utilizzando un sistema binario con due frequenze che si alternano, un approccio seguito da tempo da chi cerca di captare messaggi extraterrestri provenienti da luoghi remoti e inesplorati dello Spazio. Naturalmente il compito di interpretare le due frequenze, le loro differenze e il codice usato per comunicare spetta ai riceventi, cioè gli alieni, ma se si codifica il messaggio in modo da costruire a ogni passaggio un messaggio più articolato, li si può aiutare a capire che cosa si sta trasmettendo (o almeno è ciò che sperano i responsabili del METI).

Tra gli elementi contenuti in un messaggio c’è la nozione di tempo. Un impulso è stato fatto durare un secondo per comunicare il concetto di 1, a questo è stato fatto seguire un impulso lungo il doppio per far capire che vale 2 e che è il doppio del primo. La progressione prosegue per diverso tempo, nella speranza che in questo modo i riceventi possano comprendere quanto tempo è passato, fino a fargli capire che quell’1 iniziale altro non è che la base di misurazione di una variabile: il tempo.

Oltre a preparare il messaggio, quelli del METI hanno dovuto affrontare il problema di come trasmetterlo. Parlare con gli alieni non è semplice ed è piuttosto costoso, perché richiede l’utilizzo per diverse ore di un radiotelescopio: una gigantesca antenna che viene usata per rilevare le onde radio emesse dai corpi celesti, ma che può anche essere usata per inviare un proprio segnale. I radiotelescopi sono essenziali per la ricerca in astronomia e c’è una forte domanda per il loro utilizzo, con lunghe code di attesa per i ricercatori che vogliono puntarli verso un’area del cielo per studiare stelle, galassie e altri corpi celesti. Il tempo di utilizzo viene di solito assegnato alle ricerche con buone probabilità di portare a un risultato più concreto di: voglio farmi sentire dagli alieni e spero che mi rispondano.

Dopo avere consultato diversi centri, l’iniziativa del METI ha incuriosito i responsabili dell’EISCAT, un’associazione scientifica che possiede un radiotelescopio nei pressi di Tromsø, città della Norvegia settentrionale oltre il circolo polare artico. Al gruppo di lavoro è stato concesso l’uso del radiotelescopio per tre giorni, in modo da inviare il messaggio radio in direzione di GJ 273b. Per il prossimo aprile, METI ha in programma di tornare a Tromsø per inviare un nuovo messaggio, questa volta più complesso e basato su una melodia di diverse frequenze. Da dispositivo utilizzato, tra le altre cose, per studiare le aurore boreali, il radiotelescopio EISCAT si trasformerà in una sorta di strumento musicale interstellare nella speranza di ricevere risposta tra 25 anni, su come suona.