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  • Giovedì 26 ottobre 2017

Il bridge non è uno sport, dice la Corte di giustizia europea

Un ricorso della English Bridge Union è stato respinto, perché lo "sforzo mentale" richiesto ai giocatori non vale per qualificarlo come tale

Una partita della 43ma edizione dei Campionati mondiali di bridge, a Lione (ROMAIN LAFABREGUE/AFP/Getty Images)
Una partita della 43ma edizione dei Campionati mondiali di bridge, a Lione (ROMAIN LAFABREGUE/AFP/Getty Images)

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito oggi con una sentenza che il bridge, uno dei giochi di carte più diffusi al mondo, non possa essere ritenuto un’attività sportiva, contrariamente a quanto sostenuto e richiesto dalla English Bridge Union (EBU), l’organizzazione responsabile della regolamentazione del bridge in Inghilterra. Il caso era stato sollevato principalmente per una questione economica: il diritto europeo prevede infatti delle esenzioni IVA per le attività sportive riconosciute come tali, e la EBU aveva fatto leva sullo “sforzo mentale” richiesto dal gioco del bridge — riconosciuto come valido da diverse associazioni — per ottenerle.

Semplificando molto, nel bridge si gioca a coppie, due contro due, con risposta a seme: tutti i giocatori sono obbligati a giocare una carta per turno, rispettando il seme della carta appoggiata dal primo giocatore di ogni turno. Il giocatore che gioca la carta più alta “prende” tutte le altre, accumulando punti per la sua squadra. È fondamentale che i due giocatori di ciascuna coppia non possano mettersi d’accordo su quali carte giocare, altrimenti otterrebbero un vantaggio notevole rispetto all’altra coppia.

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) riguarda in particolare il bridge duplicato, una variante del gioco in cui in tutti i tavoli di un torneo si gioca con la stessa mano di carte. Il bridge duplicato si gioca nelle competizioni più importanti, le stesse in cui i giocatori sono tenuti a pagare una quota d’iscrizione in cui è compresa l’IVA. Nell’avanzare la sua richiesta, la EBU — formata da giocatori di bridge — sosteneva che il gioco comportasse un valido “sforzo mentale” per i suoi giocatori, e che questo “sforzo mentale” dovesse essere considerato come attività sportiva, come peraltro sostiene anche il Comitato Olimpico Internazionale, il quale riconosce il bridge come uno sport dal 1998. Ma a detta della CGUE, che un’attività favorisca degli sforzi mentali non può costituire di per sé un elemento sufficiente; uno sport inoltre, per essere considerato tale, deve comprendere “un elemento fisico non trascurabile”.

Ma la EBU può ancora ottenere l’esenzione dall’IVA. Per farlo, questa volta, dovrà dimostrare come lo sport il gioco sia di interesse pubblico e «occupi una posizione tale nel patrimonio sociale e culturale di un paese da poter essere considerato come facente parte della sua cultura».