La più grande sconfitta mai subita dall’esercito italiano

La disfatta di Caporetto iniziò 100 anni fa con un attacco a sorpresa di austriaci e tedeschi e finì con una ritirata che durò quasi un mese

Equipaggiamenti dell'esercito italiano abbandonati durante la ritirata nel novembre 1917 (ANSA-S&M Studio)
Equipaggiamenti dell'esercito italiano abbandonati durante la ritirata nel novembre 1917 (ANSA-S&M Studio)

All’alba del 24 ottobre 1917 tonnellate di gas tossici e proiettili di artiglieria iniziarono a cadere sulle linee avanzate difese dall’esercito italiano, vicino al piccolo paese di Caporetto, oggi in Slovenia. Nelle ore immediatamente successive migliaia di soldati austriaci e tedeschi attaccarono nella breccia aperta nello schieramento italiano. Dopo una giornata di combattimenti, i generali italiani ordinarono alle loro truppe di ripiegare. La ritirata si sarebbe fermata soltanto quattro settimane dopo, sulla famosa linea del Piave. Quarantamila soldati italiani furono uccisi o feriti e altri 365 mila furono fatti prigionieri. Un secolo dopo, la battaglia è considerata una delle più grandi disfatte inflitte all’esercito italiano, tanto che il suo nome è diventato sinonimo di “sconfitta” nel linguaggio comune.

Un po’ di contesto
La battaglia di Caporetto si svolse durante la Prima guerra mondiale e vide scontrarsi l’esercito italiano e quello dell’Austria-Ungheria e dei suoi alleati dell’Impero Germanico. L’Italia era entrata in guerra due anni prima, nel 1915, con l’obiettivo di tornare in possesso delle cosiddette “terre irredente”, cioè Trento e Trieste, all’epoca città di lingua italiana ma ancora sottoposte al governo dell’Austria-Ungheria. I principali luoghi di scontro furono le valli e le montagne dell’Altopiano di Asiago, nel Veneto settentrionale, e soprattutto dell’altopiano del Carso, al confine tra l’odierna Slovenia e il Friuli Venezia Giulia, lungo il fiume Isonzo. Per questo Caporetto è chiamata anche “Dodicesima battaglia dell’Isonzo”.

Dodici battaglie dell’Isonzo, davvero?
Sì. Prima di Caporetto ci furono altre undici battaglie, tutte combattute nella stessa zona e tutte con una dinamica e un obiettivo simile: sfondare la linea nemica e costringere gli austriaci a ritirarsi. I generali italiani le provarono tutte: grandi attacchi, piccoli attacchi, attacchi preceduti da lunghi bombardamenti, attacchi a sorpresa, attacchi di giorno e attacchi di notte. L’esercito italiano, guidato dal generale Luigi Cadorna, andò avanti così per 2 anni, cinque mesi e 4 giorni. In alcuni casi riuscì a conquistare parecchio terreno, in altri l’attacco fallì completamente. In ogni caso, le perdite furono sempre altissime e il fronte austriaco non venne mai sfondato.

Quasi tutti i generali delle nazioni belligeranti non fecero una gran figura durante la Prima guerra mondiale e quelli italiani non fecero eccezione. Il loro problema era che tutti, senza eccezione, avevano ricevuto una formazione militare secondo i canoni della fine dell’Ottocento, quando ancora non erano chiare cose come il devastante potenziale raggiunto dall’artiglieria moderna, l’efficacia delle mitragliatrici e di altri accorgimenti apparentemente banali, come le trincee e il filo spinato. Tutti i generali dei paesi belligeranti furono costretti a imparare sul campo la realtà della nuova guerra e a trovare, sperimentando e sbagliando, il modo migliore di combatterla. Ogni esperimento fallito, però, costava migliaia di vite umane.

La battaglia di Caporetto
Nell’agosto del 1917 l’Impero Austro-Ungarico sembrava a un passo dalla sconfitta. Il suo esercito si era dimostrato inadeguato alla guerra moderna e sui fronti serbo, polacco e ucraino aveva subito una lunga serie di sconfitte. C’era aria di rivoluzione e l’antica monarchia degli Asburgo sembrava più incerta che mai. Solo il fronte italiano sembrava reggere, ma era questione di tempo prima che i testardi assalti del generale Cadorna riuscissero a penetrare anche da quella parte. La Germania non poteva permettersi di perdere il suo alleato e così decise che bisognava cercare di togliere di mezzo l’Italia con un colpo a sorpresa. Sei divisioni tedesche furono segretamente inviate sul fronte, mentre gas tossici e munizioni di artiglieria vennero ammassati dietro la linea del fronte.

Dopo essere stato rimandato per alcuni giorni a causa del maltempo, l’attacco cominciò la mattina del 24 ottobre. Prima venne lanciato il gas tossico. Gli italiani, che avevano maschere antigas con filtri che potevano durare al massimo un paio d’ore, evacuarono in fretta le trincee avanzate. Poco dopo arrivò l’artiglieria, che spazzò via i reticoli di filo spinato e costrinse i difensori rimasti sul posto a nascondersi nei rifugi sotterranei o abbandonare il fronte. Il terzo elemento dell’attacco furono i reparti di fanteria d’assalto tedeschi: piccoli reparti armati di mitragliatrici, bombe a mano e lanciafiamme che avevano il compito di infiltrarsi nelle trincee nemiche, conquistarle e difenderle fino all’arrivo del grosso delle truppe (uno di questi reparti era comandato da un ufficiale destinato a diventare molto famoso nel conflitto successivo, Erwin Rommel).

La combinazione si rivelò tremendamente efficace. Quando gli austro-tedeschi avanzarono nelle valli vicino a Caporetto non incontrarono resistenza, mentre i reparti d’assalto riuscirono facilmente a conquistare le posizioni sulle alture circostanti. Altri attacchi furono respinti, ma quello principale ebbe un tale successo da mettere in pericolo l’intera linea italiana. Il comandante locale chiese il permesso di ritirare le sue truppe, che rischiavano di essere attaccate alle spalle dagli austriaci, ma Cadorna glielo proibì per diverse ore. A sera, però, anche lui dovette arrendersi: la situazione era compromessa e fu ordinata la ritirata generale.

Le conseguenze
Caporetto è stata definita da numerosi storici militari la più grande sconfitta mai subita da un esercito italiano. La ritirata dopo la battaglia durò dal 24 ottobre fino al 19 novembre. Ci furono numerosi episodi di disordine e panico, con soldati che gettavano le armi e si arrendevano spontaneamente agli austriaci. Carabinieri e ufficiali furono spesso costretti a usare le armi per riportarli alla disciplina. Alcuni reparti, però, continuarono a combattere in maniera accanita. Cadorna fu in grado di creare una linea temporanea sul fiume Tagliamento, prima di ritirarsi ancora più a occidente. Austriaci e tedeschi non ebbero la forza di completare la loro vittoria distruggendo completamente l’esercito italiano, che alla fine riuscì a stabilirsi sul fiume Piave, costruendo una linea difensiva che gli austriaci non sarebbero mai riusciti a sfondare. Quando a novembre la situazione si fu stabilizzata, Cadorna fu cacciato dal suo comando e sostituito con il generale Armando Diaz, che avrebbe guidato l’esercito italiano fino alla vittoria finale, nel novembre del 1918.