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  • Sabato 21 ottobre 2017

Come sta la Grecia?

Il programma di aiuti finirà nel 2018: alcune cose sono migliorate, ma alle prossime elezioni il governo di Alexis Tsipras potrebbe pagare le politiche di austerità degli ultimi anni

Atene, 11 ottobre 2017
(LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images)
Atene, 11 ottobre 2017 (LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images)

La Grecia è entrata nel suo settimo anno di riforme economiche richieste dai creditori internazionali. Il programma di aiuti attualmente in corso – il terzo, approvato nell’agosto del 2015 – terminerà nell’agosto del 2018. Subito dopo, o nel 2019, al termine naturale della scadenza, ci saranno nuove elezioni. Alexis Tsipras e la coalizione di sinistra che lo sostiene, guidata da Syriza, avevano creato grandi aspettative di cambiamento per la Grecia, ma finora, per evitare il rischio di default e sotto la pressione dei creditori, hanno approvato diverse misure contrarie alle intenzioni annunciate: aumento delle imposte, riduzione della spesa, revisione del sistema pensionistico, riduzione dei salari pubblici tra il 10 e il 40 per cento, privatizzazione di alcuni settori.

Per i creditori, Tsipras potrebbe dunque rappresentare una garanzia, anche se non sembrano più rimandabili le richieste che il primo ministro (sostenuto anche dal Fondo Monetario Internazionale) ritiene necessarie per una reale ripresa del paese: cioè una ristrutturazione dei debito, che significa non restituire parte del denaro ricevuto in prestito. Questa situazione ha portato a scioperi e proteste e a un avanzamento dei partiti e dei movimenti di estrema destra. Le domande che in molti si fanno sono: che cosa succederà in Grecia nel 2018? La Grecia uscirà davvero dalla situazione critica nella quale si trova oppure cercherà di tornare al modello economico che ha contribuito a creare la crisi stessa? Sarà infine fondamentale sapere, dopo la fine degli aiuti, che forma avrà la “supervisione” del paese da parte dei creditori.

L’economia e la situazione sociale
Nell’agosto del 2015, l’Unione Europea approvò il terzo “bail-out” per la Grecia, un pacchetto di aiuti da 86 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni i fondi destinati al paese sono quindi saliti a un totale di 326 miliardi di euro, la più grande operazione di salvataggio della storia. Tra le richieste fatte dai creditori ci sono state una severa riforma delle pensioni, l’aumento dell’IVA, nuove leggi sul lavoro e l’innalzamento delle imposte indirette. In alcuni momenti particolarmente critici, il governo greco ha anche fatto ricorso a misure emergenziali, come il controllo sui capitali imponendo limiti ai prelievi giornalieri dai conti correnti che avevano causato code e panico agli sportelli delle banche.

Lo scorso luglio la Grecia era tornata dopo tre anni sul mercato finanziario, iniziando a vendere 3 miliardi di euro dei suoi nuovi bond a scadenza quinquennale. Il tasso di interesse era poco più basso rispetto a quello degli ultimi bond quinquennali venduti nel 2014, ma il governo aveva fatto sapere che erano arrivate 200 offerte di acquisto e che la vendita era stata un grande successo. Lo scorso settembre, poi, i ministri delle Finanze dell’Unione Europea avevano dichiarato l’uscita della Grecia dalla procedura per deficit eccessivo, a cui il paese era stato sottoposto nel 2009, quando il rapporto deficit-PIL era arrivato oltre il 15 per cento. Sette anni dopo quel valore si è trasformato in un saldo positivo: questa notizia e il fatto che sia nel 2017 che nel 2018 si preveda un rapporto deficit-PIL sotto la soglia del 3 per cento (come previsto dal Patto di stabilità e crescita degli stati dell’Unione monetaria) hanno fatto dire al commissario per gli Affari economici dell’UE, Pierre Moscovici, che la Grecia sta per «voltare la pagina dell’austerità e aprire quella della ripresa».

Nella pratica, la chiusura della procedura per deficit eccessivo non ha cambiato molto. La Grecia deve rispettare le misure concordate con i creditori internazionali nell’ambito degli aiuti finanziari e deve soprattutto fare i conti con una situazione economica e sociale piuttosto fragile. Dal 2010 ad oggi ha perso un terzo del suo PIL e mezzo milione di persone sono emigrate all’estero. Nello stesso periodo, il 20 per cento più povero della popolazione ha perso il 42 per cento del suo potere d’acquisto. Lo stato ha un debito di 320 miliardi di euro, pari al 180 per cento del PIL, il secondo rapporto più alto del mondo, e il tasso di disoccupazione – sebbene sia diminuito e sia attualmente al 21 per cento – è tra i più alti d’Europa. Gli stipendi medi sono diminuiti e la riduzione dei redditi dei lavoratori e delle lavoratrici ha portato all’impoverimento delle famiglie. Sono aumentati i problemi abitativi e i bisogni legati allo stato di salute, che riguardano quasi una persona su quattro. Il FMI ha poi rivisto al ribasso le stime sull’avanzo primario per il 2018 (fissandolo al 2,2 per cento del PIL, inferiore al 3,5 per cento previsto dalle istituzioni europee e dal governo di Atene): è quindi possibile che il FMI chieda al governo greco di intraprendere nuove misure per completare la terza revisione del programma di salvataggio economico.

In questa situazione ci sono però dei settori dell’economia greca che sono rimasti stabili o che sono migliorati, come quello della produzione di alcolici: i produttori hanno infatti aumentato le loro esportazioni del 64 per cento negli ultimi cinque anni e sette bottiglie prodotte su dieci sono attualmente esportate. Anche l’industria chimica non è stata particolarmente colpita dalla crisi, così come l’industria dei trasporti. Una ripresa nel settore agricolo ha poi contribuito a elevare la qualità di alcuni prodotti, come l’olio d’oliva. Infine c’è il turismo: ogni anno milioni di persone vanno in Grecia, raddoppiando la popolazione del paese. Un ambito invece in forte ritardo è quello della giustizia: affrontare le cause in modo efficace è positivo per un’economia sana e i giudici greci impiegano in media più di quattro anni (1.580 giorni) per arrivare a una risoluzione delle controversie commerciali.

Politica
Alexis Tsipras era stato eletto primo ministro della Grecia nel gennaio del 2015. Dopo aver perso la maggioranza al parlamento ed essersi dimesso, era stato rieletto nel settembre dello stesso anno. Tsipras è leader del partito greco Syriza, che nel 2004 era nato come unione di vari movimenti e partiti indipendenti di sinistra. Tsipras aveva vinto promettendo di opporsi a nuovi tagli e misure di austerità imposte dall’Europa, di introdurre un reddito minimo e di riassumere i lavoratori del settore pubblico licenziati negli anni precedenti: nel suo primo discorso dopo la vittoria aveva detto che la sua era stata «la vittoria di tutti i popoli europei che lottano contro l’austerità».

Tsipras però ha accettato l’imposizione dell’austerità. In parlamento si è alleato con ANEL (Greci indipendenti), partito nazionalista e di destra, secondo alcuni facendo una scelta responsabile, secondo altri poco coraggiosa. Comunque sia andata, questi anni gli costeranno probabilmente molto alle prossime elezioni. Da alcuni recenti sondaggi risulta che solo il 3,5 per cento degli intervistati si è detto «soddisfatto dei risultati ottenuti della coalizione Syriza-ANEL». Tra gli elettori di Syriza alle scorse elezioni, l’89,5 per cento ha detto di essere deluso dal governo. Attualmente il partito di Tsipras è al 15,5 per cento, mentre il partito di centrodestra Nea Demokratia risulta primo con il 33 per cento. Alba Dorata, partito di estrema destra di orientamento nazionalista, è terza con il 7,5 per cento.

Uno degli obiettivi principali di Tsipras nei negoziati è stato comunque quello della ristrutturazione del debito: Tsipras chiede cioè di allungare la scadenza dei prestiti anche di alcuni decenni, dando così più margine al governo per attuare politiche espansive e permettere una maggiore sostenibilità (più spesa senza rimetterci troppo, in pratica). Gli aiuti servono al governo per pagare i debiti ai creditori internazionali e in piccola parte ai creditori interni, ma non permettono nuovi investimenti, una riduzione anche minima dell’austerità o spazi di manovra quando si presentano delle emergenze. L’operazione di alleggerimento del debito, che un tempo sembrava impensabile, è ora presa in considerazione da alcuni paesi europei e ritenuta necessaria anche dal Fondo Monetario Internazionale.

Politica estera
In politica estera Tsipras è stato piuttosto abile. In questi anni la Grecia è riuscita a mantenere le sue alleanze tradizionali e a non creare rotture in un contesto piuttosto complicato. Il ministro degli Esteri greco, Nikos Kotzias, ha anche tentato di aprire dei canali diplomatici con l’Iran, Israele e la Russia. Il governo greco ha in generale avuto posizioni più morbide della maggior parte dei paesi membri dell’Unione Europea nei confronti della Russia: Tsipras è stato a Mosca, ha criticato il governo ucraino con l’accusa di ospitare elementi “nazisti” e diversi membri che hanno fatto parte dell’esecutivo greco hanno avuto rapporti con alcuni elementi della destra nazionalista russa, come il filosofo Alexander Dugin, che fu invitato nel 2013 dal ministro degli Esteri Kotzias a un seminario al Pireo.

Allo stesso tempo, come ha spiegato l’analista politico George Tzogopoulos, «nonostante la sua opposizione ideologica alle politiche statunitensi, Syriza ha contribuito a un notevole miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti». Negli ultimi giorni Alexis Tsipras è stato in visita ufficiale negli Stati Uniti: ha incontrato la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde e il presidente Donald Trump. Lagarde ha ribadito che l’attuazione del programma di salvataggio greco insieme alla cancellazione del debito sono i fattori decisivi per portare il paese fuori dalla crisi e Trump ha detto che la Grecia «offre immense opportunità per il commercio e gli investimenti. Stiamo anche facendo grandi passi in avanti nella nostra cooperazione economica». Tsipras, da parte sua, ha detto che «le relazioni tra Grecia e Stati Uniti hanno raggiunto il livello più alto dalla Seconda guerra mondiale».

(Donald Trump e Alexis Tsipras alla Casa Bianca, Washington, 17 ottobre 2017 – JASON CONNOLLY/AFP/Getty Images)

La Grecia ha parlato positivamente dell’accordo del 2016 tra l’Unione Europea e la Turchia per la gestione dell’arrivo dei migranti sulle coste greche (negli ultimi anni la Grecia ha accolto decine di migliaia di rifugiati con l’aiuto di gruppi di di volontari e delle ONG). E poi c’è Cipro e il lavoro per la sua riunificazione che – anche se non è andato finora a buon fine – ha occupato molti degli sforzi diplomatici del paese.