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  • Venerdì 20 ottobre 2017

Ci sono progressi su Brexit

Il Consiglio europeo ha deciso di iniziare i lavori preparatori per la "seconda fase" dei negoziati, quella sui rapporti commerciali tra UE e Regno Unito, ed è un passo avanti

Theresa May (Dan Kitwood/Getty Images)
Theresa May (Dan Kitwood/Getty Images)

I capi di stato e di governo dell’Unione Europea, dopo due giorni di incontri a Bruxelles, hanno deciso di iniziare i preparativi per la cosiddetta “seconda fase” dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione. In altre parole, significa che inizieranno una serie di colloqui tra i 27 paesi che rimarranno nell’Unione dopo Brexit per stabilire quale strategia adottare nelle trattative sugli accordi commerciali che dovranno regolare i rapporti tra UE e Regno Unito. È un progresso ancora piccolo – di fatto l’inizio vero e proprio della seconda fase dei colloqui avverà solo dopo una nuova decisione dell’Unione Europea – ma segnala che l’intenzione delle due parti è quella di venirsi incontro. Non c’è una situazione di stallo insomma, come invece si era detto nelle ultime settimane.

La decisione di oggi non equivale alla conclusione della “prima fase” dei negoziati: il Consiglio europeo (che riunisce capi di stato e di governo della UE) ha detto che non ci sono ancora stati progressi sufficienti per poterlo dire, ma intanto la decisione di iniziare gli incontri preparatori della seconda fase segnala la fiducia di tutte le parti sul fatto che verranno fatti passi avanti. La cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha tenuto una breve conferenza stampa questa mattina dopo gli incontri a Bruxelles, ha detto che la “seconda fase” dei negoziati potrebbe iniziare entro dicembre, con poco ritardo rispetto a quanto preventivato.

La prima fase è quella che riguarda le tre grandi questioni dei soldi che il Regno Unito dovrà dare all’Unione Europea per gli impegni economici che aveva già preso prima del referendum su Brexit, della situazione dei cittadini di altri paesi dell’Unione Europea residenti nel Regno Unito e del confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord.

Specialmente sulle prime due questioni, negli ultimi mesi la prima ministra britannica Theresa May ha ammorbidito molto la sua posizione, dicendo di essere pronta a pagare 20 miliardi di euro come compensazione all’Unione Europea e di voler garantire a tutti i cittadini europei nel Regno Unito il diritto di rimanere nel paese anche dopo la sua uscita dall’Unione. Queste concessioni non sono state ritenute sufficienti, ma hanno comunque contribuito a migliorare il clima delle trattative. Per dire: un incontro avvenuto la scorsa estate tra May e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker era finito con il secondo che dava alla prima dell’illusa; ieri sera, invece, i toni sono stati molto pacati. I giornali britannici hanno scritto per esempio che Theresa May ha di fatto chiesto aiuto agli altri leader europei per trovare un accordo che lei possa presentare ai cittadini britannici senza perdere la faccia e si è smesso di parlare della possibilità – inizialmente minacciata da May – che il Regno Unito decida di lasciare la UE senza trovare un accordo.

Qualunque sia l’accordo finale che si troverà sulle tre grandi questioni della “prima fase” – e qui molto dipenderà anche dalla situazione di May all’interno del suo partito, che negli ultimi mesi è diventata piuttosto fragile –, la “seconda fase” potrebbe andare avanti per parecchio. Merkel ha spiegato che si aspetta che sarà più difficile della prima, perché si tratterà di mediare tra tutti gli interessi economici dei paesi dell’Unione, di trovare un compromesso, e poi di trovarne un secondo con gli interessi economici del Regno Unito, che fino ad oggi non ha spiegato come intende regolare i rapporti economici con la UE dopo Brexit.

È più che probabile che per trovare un accordo soddisfacente che non danneggi nessuna delle due parti ci vorranno anni di lavoro e quindi che si finisca dopo la data stabilita per l’effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione, marzo 2019. May ha proposto un periodo di transizione di due anni dopo il 2019, in cui per il Regno Unito continueranno a valere le regole dell’Unione Europea e in cui continuerà a valere l’autorità della Corte di Giustizia della UE. Per ora comunque non c’è stata alcuna risposta ufficiale alla sua proposta, che è invece stata molto criticata nel Regno Unito dai più convinti sostenitori di Brexit.