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  • Giovedì 12 ottobre 2017

Il fallimento della Nazionale statunitense

Dopo la mancata qualificazione ai Mondiali di calcio, per la prima volta in trent'anni, tutto il movimento nazionale è accusato di grande incompetenza

Christian Pulisic lascia il campo dopo la sconfitta contro Trinidad (EFE/Robert Taylor)
Christian Pulisic lascia il campo dopo la sconfitta contro Trinidad (EFE/Robert Taylor)

Per la prima volta dal 1986 la Nazionale di calcio maschile degli Stati Uniti ha mancato la qualificazione alla fase finale dei Mondiali. Dopo aver perso l’ultima decisiva partita del girone di qualificazione contro la piccola Nazionale di Trinidad e Tobago, infatti, gli Stati Uniti non potranno andare in Russia. La sconfitta contro Trinidad e la conseguente eliminazione sono state prese molto male dagli sportivi americani e sembrano essere un segnale dell’inefficacia delle scelte intraprese dalla federazione negli ultimi anni. Per la portata del fallimento e per quello che costerà (molto) a tutto il movimento calcistico statunitense, ora in molti — dagli esperti e tifosi — stanno chiedendo che venga fatta una rapida e profonda rifondazione, che tocchi tutte le principali categorie del calcio statunitense, a partire dalla Major League, il campionato nazionale.

Viste le prestazioni degli Stati Uniti nel corso delle qualificazioni, l’eliminazione, pur essendo arrivata soltanto all’ultima giornata, non può essere considerata una sorpresa. La squadra ha faticato molto fin dall’inizio, quando ancora era allenata da Jurgen Klinsmann, esonerato lo scorso novembre dopo due brutte sconfitte contro Costa Rica e Messico, che avevano complicato la strada verso la qualificazione diretta. Al posto di Klinsmann era stato richiamato Bruce Arena, già allenatore degli Stati Uniti dal 1998 al 2006. Ma con Arena le cose non sono cambiate più di tanto, mostrando come i problemi della Nazionale statunitense vadano ben oltre i suoi allenatori.

Dopo l’ultimo ottimo Mondiale disputato quattro anni fa, non c’è stato alcun ricambio generazionale: la squadra si è ritrovata con i suoi giocatori più esperti – Tim Howard, Clint Dempsey, Graham Zusi e Damarcus Beasley, per citarne quattro – in evidente calo di condizione e senza sostituti all’altezza. Lo scorso aprile uno di loro, l’ex centrocampista dello Schalke 04 Jermaine Jones, dopo essere stato escluso dalla formazione titolare per ragioni d’età aveva parlato esplicitamente della mancanza di ricambi dicendo: “Portatemi un ragazzo che sia migliore di me nella mia posizione, e che sia in grado di dimostrarlo settimana dopo settimana, contro di me e contro le altre squadre. Se riuscisse a dimostrarlo, mi farei da parte. Ho 35 anni, posso farlo e ho avuto una buona carriera. Ma per il momento, in tutta onestà, chiedete ai miei compagni, chiedete alla gente del giro: non c’è nessuno che possa prendere il mio posto”. Jones, che ai Mondiali del 2014 fu uno dei migliori giocatori degli Stati Uniti, è stato escluso prima per un infortunio e poi per motivi tecnici; ha giocato l’ultima partita di qualificazione lo scorso marzo, poi non è stato più convocato.

Arena ha cercato rimpiazzi soprattutto in MLS, dove però ha potuto convocare perlopiù giocatori già in età avanzata, non essendoci giovani di qualità già pronti per la Nazionale. Questo ha abbassato notevolmente la competitività della squadra, che negli ultimi mesi è stata tenuta in piedi dai più in forma fra i giocatori esperti, come Michael Bradley, l’ex centrocampista della Roma, e dall’unica vera grande promessa del calcio statunitense, il trequartista del Borussia Dortmund Christian Pulisic. A 19 anni, Pulisic è già titolare in Bundesliga ed è uno dei giovani più promettenti che si possano trovare oggi nel calcio europeo. Nelle partite giocate con gli Stati Uniti ha dimostrato di avere più talento di tutti i suoi compagni, ma le sue giocate sono rimaste isolate, come si è visto nella sconfitta contro Trinidad, in cui ha segnato il gol del 2-1.

La vittoria per 4-0 contro Panama nella penultima partita delle qualificazioni aveva tranquillizzato un po’ tutti, visto che grazie a quel risultato la squadra si sarebbe potuta qualificare con un pareggio o addirittura anche con una sconfitta nella partita successiva, a seconda dei risultati di Panama e Honduras. Ma la sconfitta non era stata davvero neanche preventivata, perché Trinidad era la Nazionale di gran lunga inferiore delle sei del girone, già eliminata e sconfitta 4-0 nell’ultimo incontro disputato. Tuttavia le difficoltà degli Stati Uniti si sono viste fin dai primi minuti: la squadra – la stessa scesa in campo quattro giorni prima – è sembrata molto più stanca degli avversari, anche per via del campo reso pesante dalle forti piogge dei giorni precedenti. Dopo mezz’ora Trinidad era già in vantaggio di due gol, il primo dei quali causato da un goffo autogol di Omar Gonzalez, uno dei difensori in campo. Gli Stati Uniti hanno segnato con Pulisic nei minuti di recupero del primo tempo, ma le difficoltà sono continuate per tutto il secondo tempo, fino al termine.

A poche ore dall’eliminazione Deadspin ha pubblicato un articolo scritto dal giornalista sportivo Billy Haisley, che è circolato molto. In uno dei passaggi più citati, si legge: «Dopo quello che è successo ognuno deve lasciare il proprio posto, e tutto ciò che è associato al calcio in America deve cambiare. Sunil Gulati [il presidente della Federazione] dovrebbe presentare la sue dimissioni per l’ora di cena, stasera, ma siccome sappiamo tutti che ciò non accadrà, deve perdere il suo incarico come presidente del calcio americano alle prossime elezioni. Il prossimo allenatore non può essere un americano. Come minimo, i giocatori della squadra attuale, come Besler, Gonzalez, Tim Howard, Clint Dempsey, DaMarcus Beasley, Graham Zusi, Nick Rimando e Chris Wondolowski, non dovrebbero mai più indossare la maglia degli Stati Uniti in partite decisive». Una cosa va ricordata, però: questa crisi riguarda solo il calcio degli uomini; nel calcio femminile, infatti, gli Stati Uniti esprimono storicamente una delle squadre più forti in circolazione, tre volte campione del mondo.

Le critiche sono state in parte condivise anche da Clint Smith sul New Yorker, dove oltre ai problemi citati del movimento calcistico maschile americano, ha scritto anche del momento storico in cui è arrivata l’eliminazione, ovvero un momento in cui il paese si sta sempre più isolando: «Gli avversari si sono rinvigoriti, gli alleati non si fidano di noi e le politiche dell’attuale amministrazione stanno alimentando il pericolo del nazionalismo in tutto il paese». E poi aggiunge: «La bellezza della Coppa del Mondo è che mentre trentadue paesi si rallegrano per le loro rispettive squadre, l’evento afferma anche un pluralismo globale: in fondo è un festival di molteplicità culturali in cui si affrontano alcuni dei migliori atleti al mondo».