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  • Domenica 8 ottobre 2017

Il problema delle persone che lavorano troppo in Giappone

Negli ultimi giorni si sta riparlando di due casi in cui i troppi straordinari hanno portato alla morte di due donne, un fenomeno noto come "karoshi"

Una riunione negli uffici dell'azienda produttrice di liquori Suntory a Tokyo, il 24 febbraio 2017 (TORU YAMANAKA/AFP/Getty Images)
Una riunione negli uffici dell'azienda produttrice di liquori Suntory a Tokyo, il 24 febbraio 2017 (TORU YAMANAKA/AFP/Getty Images)

Venerdì un tribunale di Tokyo ha condannato Dentsu, una grande agenzia pubblicitaria giapponese, a pagare 500mila yen (quasi 4.000 euro) per aver violato le leggi sul lavoro obbligando i propri dipendenti a fare troppi straordinari. Le indagini che hanno portato alla condanna iniziarono nel 2015 dopo la morte di Matsuri Takahashi, una donna di 24 anni che lavorava per Dentsu e che si suicidò buttandosi dal tetto di un dormitorio per lavoratori: le autorità giapponesi hanno scoperto che nel periodo precedente alla sua morte Takahashi fece cento ore di straordinari al mese, e sono giunte alla conclusione che si sia uccisa perché sfinita dall’eccesso di lavoro. In Giappone questo tipo di morti è un fenomeno noto fin dagli anni Ottanta, ed esiste una parola specifica per definirlo: karoshi.

Una persona che lavora otto ore al giorno, lavora circa 160 ore al mese; fare 100 ore di straordinari significa lavorare cinque ore in più ogni giorno, oppure rinunciare a gran parte dei giorni di riposo. Lavorare così tanto logora le persone in vari modi: Takahashi si è suicidata, ma c’è chi cade in depressione, mentre molte altre persone vittime di karoshi muoiono per arresto cardiaco, anche se giovani. Così è stato nel caso di un’altra persona la cui storia è diventata famosa in Giappone, la giornalista Miwa Sado, che lavorava per la rete televisiva nazionale NHK. Nel 2013 Sado morì per arresto cardiaco: aveva solo 31 anni, ma nei mesi precedenti alla morte, durante i quali aveva seguito due elezioni locali per la TV, aveva lavorato quasi tutti i finesettimana, e quasi ogni giorno si era trattenuta al lavoro fino a mezzanotte. Nei trenta giorni prima della sua morte aveva avuto solo due giorni liberi. In un mese aveva raggiunto 159 ore di straordinari, e quindi aveva lavorato praticamente il doppio di quanto sarebbe normale. Secondo le autorità giapponesi ottanta ore di straordinari al mese in media per sei mesi o cento ore di straordinari in un mese sono i limiti oltre i quali una persona rischia di morire per eccesso di lavoro.

Con tre anni di ritardo, la settimana scorsa NHK ha approfittato dell’annuncio di alcune modifiche nel regolamento sull’orario dei propri dipendenti per rivelare che secondo un’indagine conclusa nel 2014 Sado morì di karoshi. I genitori di Sado hanno protestato, lamentandosi che i colleghi della figlia fossero rimasti per così tanto tempo ignari della causa della sua morte. Hanno detto che anche i giornalisti di NHK che si erano occupati di casi di karoshi per lavoro non sapevano che Sado fosse morta per questa ragione.

I genitori di Matsuri Takahashi durante una conferenza stampa a Tokyo avvenuta il 7 ottobre 2016, dopo che il suicidio della figlia fu riconosciuto come karoshi (Kyodo News via AP)

In Giappone il lavoro fino all’esaurimento viene spesso visto come un segno di dedizione, e per questo i lavoratori si prestano a fare tanti straordinari. Nel 2016 è stato pubblicato un rapporto del governo sul fenomeno del karoshi: quasi un quarto delle società analizzate nel documento lasciano che alcuni dipendenti facciamo più di ottanta ore di straordinari al mese, spesso non pagate; il 12 per cento delle aziende hanno dipendenti che fanno più di cento ore di straordinari. Ogni anno ci sono circa duemila cause portate avanti da lavoratori che chiedono di essere risarciti per aver lavorato troppo, di cui il 37 per cento si conclude con una sentenza a favore del lavoratore. Per cambiare la cultura dell’eccesso di lavoro sono state tentate alcune iniziative, come delle giornate in cui le aziende si impegnano a mandare i dipendenti a casa in anticipo e una campagna di sensibilizzazione nel 2014, ma non ci sono stati grandi cambiamenti.

I casi di Takahashi e di Sado, che sebbene non recentissimi sono tornati a essere al centro del dibattito pubblico in Giappone, hanno spinto molte persone a chiedere al governo delle riforme che mettano fine allo sfruttamento dei lavoratori, che spesso non vengono pagati per gli straordinari. Il primo ministro Shinzo Abe ha appoggiato un piano per riformare le leggi sul lavoro che metta un tetto alle ore di straordinari e alzi gli stipendi, ma per ora non è successo nulla che sembra potere risolvere il problema.

BBC ha intervistato in merito Scott North, professore di sociologia all’Università di Osaka, che ha detto che nonostante l’eccesso di lavoro sia un «problema cronico» in Giappone, è difficile che le cose cambino a breve. L’importo della multa fatta a Dentsu, che è una grossa azienda, è molto ridotto e per questo secondo North non servirà da deterrente: «Una morte occasionale continuerà a essere considerata una perdita relativamente piccola messa a confronto con i risparmi che si possono fare facendo fare straordinari non pagati ai dipendenti». Da parte sua, dopo la morte di Takahashi, Dentsu ha cominciato a spegnere tutte le luci dei propri uffici alle 22, per spingere i lavoratori ad andare a casa.