La storia di Pietro Maso, che uccise i genitori nel 1991

Fu protagonista di uno dei casi di cronaca nera italiani più famosi degli anni Novanta

(Ansa)
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Questo articolo è stato pubblicato il 5 ottobre del 2017.

Giovedì sera su Canale 5 Maurizio Costanzo intervisterà Pietro Maso, cioè l’uomo che il 17 aprile del 1991 uccise insieme a tre complici i suoi genitori a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, per intascarne l’eredità. Maso, che confessò due giorni dopo, fu condannato a trent’anni di prigione ed è uscito dopo ventidue, in semilibertà: quello che lo riguarda fu uno dei più famosi casi di cronaca nera degli anni Novanta, ed è diventato probabilmente il più rappresentativo e citato tra i casi di figli che uccidono i genitori, insieme al cosiddetto “caso Graneris”, del 1975, e al delitto di Novi Ligure, del 2001.

Maso, in un’anticipazione dell’intervista di Costanzo, ha detto: «Sarò veramente me stesso, per la prima volta». In realtà Maso ha già scritto un libro sulla sua storia, Il male ero io, uscito nel 2013 per Mondadori, ed è già stato intervistato in passato. Oltre all’efferatezza del crimine, a interessare i media della sua storia fu da subito il suo profilo personale, che si prestava molto a finire sulle prime pagine. Maso era infatti un bel ragazzo, descritto da tutti come carismatico anche se non molto intelligente: nei giorni del processo si presentò vestito con un blazer blu, una camicia bianca aperta e un foulard a pois, atteggiandosi con aria di vanità e superiorità. Questo gli attirò l’odio di molti italiani ma anche l’ammirazione di una piccola parte di persone, soprattutto giovani ragazze, che continuarono per anni a scrivergli lettere in carcere.

Nel 1991 Maso aveva vent’anni. Aveva avuto un’infanzia normale nella provincia veronese, facendo anche il chierichetto e andando a scuola in seminario. Aveva un buon rapporto con i suoi genitori, Antonio Maso e Rosa Tessari, e viveva con loro in una villetta. Dopo aver lasciato al terzo anno la scuola agraria cominciò a lavorare, ma a partire dai 18 anni cominciò a cambiare, iniziando a fare lavori più saltuari e a passare più tempo in discoteca e in ristoranti costosi, guadagnandosi una certa fama e popolarità tra i coetanei, ma sostanzialmente vivendo al di sopra delle sue possibilità economiche. I genitori, e soprattutto la madre, cominciarono a preoccuparsi di alcune sue frequentazioni e del fatto che non avesse più un lavoro stabile come cassiere in un supermercato, nonostante continuasse a spendere molti soldi. Ad aggravare la situazione economica di Maso ci fu il fatto che lui e il suo amico Giorgio Carbognin speserò una parte consistente di un prestito da 25 milioni di lire che il secondo aveva ottenuto dalla banca per comprare un’auto usata, alla quale aveva però poi dovuto rinunciare per volere dei genitori. Invece di restituire subito il prestito, Carbognin spese insieme a Maso diversi milioni in ristoranti e discoteche, e quando arrivò il momento di restituirlo non seppe come fare. Maso falsificò quindi un assegno a nome della madre e si convinse a uccidere lei e il padre prima che lo scoprissero.

Il 3 marzo del 1991 Maso aveva organizzato un primo piano per uccidere i suoi genitori, che però potenzialmente avrebbe potuto uccidere anche le sue due sorelle: aveva sistemato due bombole di gas nella taverna della casa, e aveva programmato una sveglia in modo che un rumore azionasse delle luci da discoteca. Nel suo piano l’accensione delle luci avrebbe dovuto incendiare il gas disperso nella stanza, la cui fuga era impedita da vestiti con i quali Maso aveva ostruito il camino, provocando un’esplosione. Maso scrisse nel suo libro che gli mancò il coraggio di attuare il piano, ma si dimenticò di rimettere a posto gli oggetti nella taverna e venne scoperto. Maso provò anche una seconda volta a uccidere sua madre, o meglio a farla uccidere da Carbognin: i due accompagnarono in auto la donna da un amico, e nei piani il complice avrebbe dovuto colpirla da dietro alla testa con un batticarne. Carbognin non lo fece, per paura.

La sera del 17 aprile 1991 Maso si ritrovò insieme a Carbognin e ad altri due amici, Paolo Cavazza e Damiano Burato (che era minorenne) in un bar, decisi a uccidere i genitori di Maso quella notte. Maso, si scrisse sui giornali dell’epoca, amava circondarsi di amici che lo stimavano e rispettavano molto, per il suo carisma, e che non erano molto intelligenti. I quattro si fecero accompagnare a casa di Maso da un quinto amico, che però era convinto stessero scherzando riguardo al piano per l’omicidio. Aspettarono che i genitori di Maso rientrassero, poco dopo le undici di serea, da un incontro di neocatecumenali. Avevano staccato la corrente perciò il padre, lasciata l’auto in garage, salì per vedere cosa non funzionava nel contatore. Al piano superiore Maso lo colpì con una spranga di ferro, aiutato da Burato che lo colpì con una padella. Poco dopo arrivò la madre, che fu colpita dagli altri due complici con un bloccasterzo e un’altra padella. I due genitori furono poi strangolati a morte.

Dopo l’omicidio, Cavazza e Burato tornarono a casa, mentre Maso e Carbognin andarono in discoteca per provare a crearsi un alibi. Maso tornò poi a casa qualche ora dopo e inscenò il ritrovamento dei cadaveri: disse a un vicino di aver visto le gambe dei genitori apparentemente stesi per terra, e chiese di andare a vedere. Questa particolare modalità del ritrovamento (Maso non era andato a controllare di persona) e il fatto che il disordine lasciato in casa non sembrava quello di un vero furto, come avevano provato a simulare gli assassini, fece insospettire presto la polizia. In più c’era il comportamento di Maso, che non sembrava essere davvero scioccato dalla morte dei genitori. Le sorelle scoprirono in fretta l’assegno di 25 milioni intestato a Carbognin e ne chiesero conto a Maso, che provò a sostenere che quei soldi fossero suoi, frutto dei suoi risparmi. Quando fu interrogato dalla polizia, però, crollò e confessò l’omicidio, seguito poi dai suoi tre complici.

Maso fu condannato nel 1992 a trent’anni di carcere, Cavazza e Carbognin a 26 anni; Burato, giudicato dal tribunale dei minori, a 13 anni. Inizialmente Maso fu considerato sano di mente, ma nella sentenza definitiva gli fu riconosciuta la seminfermità. Ha scontato la pena al carcere di Opera, in provincia di Milano, svolgendo diversi lavori negli ultimi dieci anni. È stato rilasciato nell’aprile del 2013, quando uscì anche il suo libro. All’inizio del 2016 Maso è stato indagato dalla procura di Verona per tentata estorsione ai danni delle sorelle, a cui è stata anche garantita la scorta. Un paio di mesi dopo Maso è stato ricoverato in una clinica psichiatrica per turbe mentali e per dipendenza da cocaina.