Perché “Blade Runner” è uno di quei film

Come e dove questo film di fantascienza del 1982 – di cui giovedì arriva il seguito, "Blade Runner 2049" – è rimasto, in molti modi, nella cultura popolare

(Da "Blade Runner")
(Da "Blade Runner")

Blade Runner 2049 sarà nei cinema dal 5 ottobre, e se ne parlerà: perché sembra sia molto bello, a sentire i critici che lo hanno visto in anteprima, e perché arriva più di trent’anni dopo il primo Blade Runner, che uscì nel 1982 e che nel frattempo è diventato un classico apprezzatissimo e citatissimo, un film studiato (non solo da chi fa cinema) e che ha influenzato in modo rilevante un pezzo di cinema e di cultura popolare.

Quando uscì, nel 1982, Blade Runner era un film con una complicata storia di lavorazione fatta di casini, litigi e riscritture, che si prese qualche stroncatura e incassò poco. Uscì un paio di settimane dopo E.T. l’extra-terrestre, che andò fortissimo, ma era comunque un film atteso, ambizioso, che non saltava fuori dal nulla: il suo regista Ridley Scott aveva già diretto Alien e il suo protagonista Harrison Ford era già stato Ian Solo e Indiana Jones. Scott ha detto, intervistato a settembre dal New York Times, che vedeva Blade Runner come un «audace salto in avanti per il cinema di fantascienza» e che sapeva «di aver fatto qualcosa di speciale». A.O. Scott, critico di cinema del New York Times è andato oltre e ha scritto che Blade Runner «ha lasciato traccia di sé in ogni angolo della nostra cultura». Blade Runner è diventato ed è rimasto importante perché era un bel film, che è riuscito a piacere poi a tantissime persone, ma anche perché ha avuto una particolare estetica e perché ha saputo toccare certi temi, in un certo modo, in un certo momento.

Partendo dalle cose più semplici, Blade Runner – basato sul romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick– è rimasto nella nostra cultura grazie ad alcune scene e frasi. Quella che tutti più o meno conoscono – di quelle che ormai vengono usate anche in altri contesti, diversissimi da quello del film – è verso la fine del film e inizia con «Io ne ho viste cose».

Blade Runner è però andato molto oltre all’essere uno di quei film di cui tutti sanno almeno una frase. Il film era ambientato in un futuro particolare (nella Los Angeles del 2019, in un tempo in cui il sole non si vede più, piove quasi sempre e tutto è cupo, triste e artificiale) ed era un misto di almeno due generi. Era un film di fantascienza, perché ambientato nel futuro, ma fu anche descritto come neo-noir (perché riprendeva moltissimi temi e personaggi del cinema noir: per esempio il protagonista burbero e tutt’altro che eroe) e horror (perché i Replicanti e tutte le questioni etiche e filosofiche a loro collegate erano, alla fine, un’evoluzione della storia di Frankenstein). Oltre a guardare al futuro (ci lavorò il famoso futurista Syd Mead e Vox ha scritto che la Los Angeles del 2019 vista nel film influenzò le città americane degli anni successivi), Blade Runner prendeva anche molto dal passato: quando se ne parla si usa spesso la parola retrofuturista. Già prima qualcuno aveva pensato di prendere pezzi di cose passate e riadattarli a un ipotetico futuro; ma l’approccio usato da Blade Runner (nelle architetture, negli arredamenti, nei vestiti) si fece molto notare e contribuì al gran successo del retrofuturismo.

Come ha scritto il sito Film School RejectsBlade Runner «fece partire un nuovo interesse per gli adattamenti delle storie di Philip K. Dick, da Total Recall a Minority Report, fino a A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare. E la sua eredità è visibile anche in moltissimi altri granulosi film cyberpunk come Ghost in The Shell, L’esercito delle 12 scimmie, Strange Days, Dark City, Brazil e La città perduta»All’elenco si possono aggiungere tanti altri film, a cominciare dal Quinto elemento e, per certi versi, Matrix. Manca ovviamente la controprova ed è sempre impossibile valutare come e quanto un film ha influenzato quelli che sono arrivati dopo, ma in certa fantascienza – soprattutto in quella distopica, con tante questioni etiche e filosofiche e non solo supercomputer e scene d’azione – è praticamente impossibile non vedere l’influenza di Blade Runner.

Blade Runner uscì anche in un periodo considerato fortunato per gli effetti speciali: stavano cambiando e avevano iniziato a essere davvero efficaci. Come ha scritto William Bibbiani sul sito IGN, grazie alla tecnologia del tempo – e agli azzardi di Ridley Scott – il film riuscì a essere allo stesso tempo «grandioso e realistico», ancora più di quanto pochi anni prima avevano fatto Star Wars o Alien. Era fantascienza ma era credibile, e Bibbiani ha scritto che «i vasti paesaggi urbani di A.I. Intelligenza Artificiale e persino il pianeta Coruscant nei prequel di Star Wars devono molto a Blade Runner»; il film «ispirò più di uno stile visivo futurista», «aprì la porta a storie di fantascienza più ambiziose e intellettuali». E fece tutto questo riuscendo allo stesso tempo a essere quello che Michael Newton del Guardian ha definito «uno dei film visivamente più sbalorditivi della storia del cinema».

Scott ha scritto sul New York Times che oltre a cambiare un po’ il modo in cui qualcuno – nel cinema, in tv, nei fumetti e nella letteratura – si è di volta in volta immaginato il futuro, Blade Runner può anche essere considerato «uno dei sintomi che hanno dato origine al postmodernismo, un’interminabile e terminale malattia della mente». O, per spiegare in altro modo il “postmodernismo” – e semplificando moltissimo – un concetto complicato che può essere declinato in vari modi e contesti e riguarda una presa di coscienza della crisi della modernità e una scarsa fiducia nel futuro. Scott ha scritto che il film era un misto di nostalgia e distopia e ha messo le basi per un particolare tipo di malinconia: «Magari il mondo vero non è mai arrivato alla luce noir-neon della fumosa Los Angeles del film di Ridley Scott, ma la mappa del nostro mondo dei sogni collettivo fu riscritta in modo permanente».

Anche senza pensare al futuro immaginato dal film, è comunque evidente che certi suoi temi siano ancora più attuali ora che allora. È per esempio difficile non notare come Westworld, una delle serie tv più rilevanti degli ultimi anni e una delle più attese della prossima stagione, parli – nonostante un’ambientazione diversissima – di molte cose che c’erano già in Blade Runner, in modo molto simile.

In tutti questi anni Blade Runner ha fatto parlare di sé anche per un altro motivo, che non ha nulla a che vedere con postmodernismo, architettura e futuri distopici. È stato uno di quei film con un finale aperto, che lasciava possibili interpretazioni su una questione fondamentale: Deckard è un replicante o no? Le versioni di Ford e Scott sono diverse (no per Ford, sì per Scott) e Denis Villeneuve, regista di Blade Runner 2049, ha detto di aver «assistito a una discussione a cena tra i due, a Budapest» e che «è stata fantastica». E, tranquilli, Blade Runner 2049 non si dimentica di parlarne.

Blade Runner è anche un film uscito in tante diverse versioni. Una prima versione, quella che andò nei cinema, con lieto fine e voce narrante fuori campo che spiegava ogni cosa, odiata da Ridley Scott; una versione del 1992 montata come la voleva Ridley Scott, con un altro finale e senza voce narrante, e una versione uscita nel 2007, per i 25 anni del film. È la versione nota come “Final Cut” ed è quella approvata da Scott.