• Media
  • Martedì 3 ottobre 2017

Facebook e Google sono ancora in alto mare con la lotta alle notizie false

Lo ha mostrato di nuovo la strage di Las Vegas, nonostante le promesse e nonostante se ne parli da più di un anno

Facebook e Google hanno promosso articoli con notizie false e infondate sulla strage di Las Vegas, mostrando che i loro algoritmi e i loro sistemi di controllo e verifica delle notizie false sono ancora piuttosto approssimativi, nonostante la diffusione delle notizie false sia diventato il tema di discussione dell’ultimo anno, soprattutto dopo la campagna elettorale statunitense del 2016, e nonostante entrambe le società abbiano più volte promesso di fare di più cercando allo stesso tempo di non assumersi responsabilità sul loro ruolo nella diffusione di informazioni false online.

Domenica sera – era la mattina di lunedì in Italia – un uomo ha ucciso almeno 59 persone sparando dal 32esimo piano di un albergo sul pubblico di un concerto di musica country. Prima che l’uomo fosse identificato come Stephen Paddock e prima che la polizia spiegasse che non risultavano sue affiliazioni con gruppi politici e religiosi, avevano cominciato a circolare online articoli e informazioni secondo cui l’assalitore era un attivista del Partito Democratico vicino a gruppi piuttosto estremisti che si oppongono al presidente statunitense Donald Trump.

Alcuni siti di estrema destra, per esempio, hanno cominciato a diffondere la notizia completamente senza fondamento secondo cui l’assalitore si chiamasse Geary Danley; su 4chan, il forum famoso per i suoi contenuti violenti, sessisti e razzisti, diversi hanno cominciato a sostenere che si trattasse di un militante Democratico. Gateway Pundit, un sito di informazioni di estrema destra, ha pubblicato un articolo in cui sosteneva – senza prove – che l’assalitore di Las Vegas fosse un attivista Democratico, fan della giornalista di sinistra Rachel Maddow e vicino a un gruppo chiamato “Esercito anti-Trump”.

L’articolo falso di Gateway Pundit, nonostante non avesse alcun fondamento, è stato inserito da Facebook nell’elenco delle notizie selezionate e offerte sulla pagina del servizio Safety Check, quello usato dalle persone coinvolte in un attentato o in un grave incidente per dire ad amici e parenti che stanno bene, quindi una delle pagine più visitate dopo una sparatoria di massa come quella di ieri. Il link alla pagina di 4chan che conteneva informazioni false sull’identità dell’assalitore, invece, è stato inserito da Google tra i link in evidenza che venivano offerti a chi cercava informazioni su Geary Danley, il cui nome era stato messo in circolazione da altri siti. Chi per esempio avesse voluto controllare il fondamento della accuse contro Geary Danley, quindi, si sarebbe visto consigliare da Google una pagina piena di notizie false e inventate.

Sempre su Facebook, una pagina che si presentava come quella di un gruppo di sinistra, ha pubblicato alcuni post in cui sosteneva che l’assalitore di Las Vegas fosse un suo militante. Tra le notizie “di tendenza” di ieri, invece, venivano promossi molti contenuti del sito filo-russo di notizie Sputnik, come ha notato Kevin Roose del New York Times.

Facebook e Google, che da tempo vengono accusate di non fare abbastanza per fermare la diffusione di notizie false sulle loro piattaforme, hanno detto di essere intervenute velocemente per risolvere i problemi dopo Las Vegas. Facebook ha detto che le notizie false che venivano postate sono state cancellate rapidamente, ma che nel tempo necessario per finire l’operazione diverse persone erano riuscite a fare screenshot dei contenuti e postarli nuovamente sul social network. Google ha detto invece che il problema della promozione della pagina di 4chan è stato legato al fatto che nei momenti subito successivi alla strage non c’erano molti contenuti legati a “Geary Danley” e che quindi l’algoritmo che seleziona le notizie da mettere in evidenza non ha avuto molta scelta su cosa mostrare: il link a 4chan è rimasto tra i consigliati per diverse ore, prima che l’algoritmo lo rimpiazzasse.

Alexis Madrigal, sull’Atlantic, si è detto molto insoddisfatto della risposta di Google, e ha spiegato che il problema è anche collegato alla decisione presa da Google nel 2014 di inserire siti “non giornalistici” tra quelli promossi nelle pagine di ricerca delle notizie, e che quindi non può essere derubricato a una sorta di incidente di percorso. Altrettanto insoddisfatto delle risposte di Google e Facebook si è detto Kevin Roose sul New York Times, spiegando che non si può dare la colpa a un algoritmo quando si sa da tempo che ci sono gruppi organizzati che poco dopo un attentato si attivano per cercare di sfruttare proprio gli algoritmi di Facebook e Google per dare massima visibilità a contenuti spesso inaccurati, quando non esplicitamente falsi.

Facebook ha presentato solo pochi giorni fa un nuovo ambizioso programma per limitare la diffusione di notizie false, dopo aver ammesso – sempre solo di recente – che durante la campagna elettorale che portò all’elezione di Donald Trump la sua piattaforma era stata utilizzata in modo fraudolento allo scopo di alterarne lo svolgimento. Google aveva promesso già lo scorso novembre di togliere le sue pubblicità da siti di notizie false, promettendo di voler fare di più per limitarne la diffusione. Come ha notato Madrigal, tuttavia, a un anno di distanza da quelle elezioni la cui campagna elettorale fu dominata dalla diffusione di contenuti infondati, sembra che ci siano ancora molti problemi. Roose, nella sua analisi sul New York Times ha ammesso che combattere le notizie false sia un problema enorme, perché in ogni caso apre il rischio di essere accusati di favoritismo verso certe fonti e censura di altre; secondo lui, però, il fatto che una battaglia sia difficile da vincere non rende accettabile che non la si decida di combattere.