Rotten Tomatoes ha il potere di far andare male un film?

Il più famoso sito che aggrega recensioni di film è odiato da molti pezzi grossi di Hollywood, che forse però hanno soltanto fatto film brutti

(Da "Baywatch")
(Da "Baywatch")

Negli ultimi mesi, diversi film con un budget molto alto sono andati piuttosto male: hanno avuto brutte recensioni e hanno incassato meno del previsto. È successo per esempio a Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar, a Baywatch e a La Mummia. Secondo alcuni registi e produttori – di questi e di altri film – sono andati male perché molte persone hanno visto che avevano ricevuto brutte recensioni, e la colpa è soprattutto di Rotten Tomatoes, un sito che mette insieme e sintetizza centinaia di recensioni per ogni nuovo film. Rotten Tomatoes vuole dire “pomodori marci”, ed è un riferimento alla vecchia usanza di tirare verdure, e quindi anche pomodori, agli attori di teatro ritenuti scarsi.

Lo staff di Rotten Tomatoes decide (o chiede al recensore stesso) se una determinata recensione è positiva o negativa, e poi esprime con una percentuale quante, sul totale, sono positive. Se quella percentuale è sotto il 60 per cento il film è considerato “rotten” (marcio). Nel caso di Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar, Baywatch e La Mummia le percentuali erano del 29, del 18 e del 16 per cento: erano quindi tutti e tre “marci”. La tesi di alcuni produttori e registi è che Rotten Tomatoes, che ormai è visitato da più di 10 milioni di utenti unici al mese, convinca molti spettatori – soprattutto negli Stati Uniti – a non guardare i film che totalizzano basse percentuali. Il problema, secondo chi sostiene questa tesi, è che il parametro di valutazione usato da Rotten Tomatoes (che si chiama Tomatoemeter) è poco affidabile.

Un po’ di informazioni in più

In riferimento ai film che vanno male, Brooks Barnes ha scritto sul New York Times che tra il primo weekend di maggio e il Labor Day (che negli Stati Uniti è il 4 settembre ed è una sorta di data di fine estate, almeno per il cinema) gli incassi dei cinema americani sono stati di 3,8 miliardi di dollari; il 15 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Ed è un problema soprattutto se si pensa che, in genere, questo periodo di circa quattro mesi fa fare ai cinema il 40 per cento dei loro guadagni totali. Barnes ha scritto che «per trovare un’estate peggiore si deve andare indietro di 20 anni».

Cosa c’entra Rotten Tomatoes

Barnes ha anche scritto che, anche se c’è qualcuno che ammette che forse erano i film a essere brutti, «la maggior parte dei produttori di Hollywood punta il dito contro il Tomatoemeter di Rotten Tomatoes», che nel maggio 2017 ha avuto il 32 per cento di visitatori unici in più rispetto all’anno precedente. Secondo questa fazione di addetti ai lavori, il problema è che il Tomatoemeter «elimina le sfumature»: dà cioè la stessa importanza a una recensione del New Yorker e a una di quelle di siti meno autorevoli come Screen Junkies o Punch Drunk Critics. Negli ultimi mesi Rotten Tomatoes ha guadagnato una possibilità di influenzare i gusti del pubblico che prima non aveva, e questo ha reso molto più evidente il problema.

Rotten Tomatoes esiste dal 1998, ma dal febbraio 2016 – quando già era comunque molto noto e visitato – è stato acquisito da Fandango, la società (a sua volta controllata da NBCUniversal) sul cui sito molti spettatori statunitensi vanno per comprare i biglietti dei film. Il fatto è che ora, accanto alla locandina e alle informazioni sul film (genere, durata, eccetera) si vede se è “fresco” (cioè con almeno il 60 per cento di recensioni positive) o “marcio”. Mostrare che un film ha tantissime pessime recensioni a uno spettatore che sta per comprarne il biglietto su Fandango, ha scritto Barnes, equivale a dirgli «se paghi per vedere questo film, sei un idiota»

Barnes ha scritto: «Un mese fa, durante un pranzo, l’amministratore delegato di una grande società che produce film mi ha guardato negli occhi e mi ha detto, senza giri di parole, che la sua missione era distruggere Rotten Tomatoes». A marzo, il regista e produttore Brett Ratner (che ha diretto, tra gli altri, X-Men – Conflitto finale e Rush Hourdisse che Rotten Tomatoes era «la peggior cosa della cultura cinematografica contemporanea».

Ma le recensioni ci sono sempre state

È vero. Già negli anni Venti qualcuno decise di sintetizzare le recensioni usando per esempio le stelle. 5 stelle, capolavoro, 1 stella, filmaccio. Il fatto è che prima si trattava di singole recensioni, con cui era più facile pensare di poter essere in disaccordo. Le cose, ha scritto Barnes, sono un po’ cambiate negli anni Ottanta, quando due critici – Gene Siskel e Roger Ebert – diventarono così autorevoli da dare l’impressione che con una loro recensione potessero decidere se un film sarebbe andato bene o male. Rotten Tomatoes è semplicemente un livello successivo: centinaia di recensioni sintetizzate in una percentuale, applicato ai tempi di internet.

Come funziona Rotten Tomatoes, quindi

Per Rotten Tomatoes lavorano 36 persone e affinché una recensione venga inserita tra quelle che concorrono a creare il Tomatometer serve che il critico che l’ha scritta ne abbia scritte molte altre prima: più o meno un centinaio di recensioni in un paio d’anni, almeno. Circa metà dei critici le cui recensioni sono usate da Rotten Tomatoes le mandano direttamente al sito, spiegando anche se il loro giudizio finale è da considerarsi positivo o negativo. I dipendenti di Rotten Tomatoes cercano poi le altre su internet, le leggono e decidono se secondo loro sono generalmente positive o negative. Jeff Voris – un ex dirigente Disney che ora è vicepresidente di Rotten Tomatoes – ha spiegato che non è mai una sola persona a decidere. Una recensione viene letta da persone diverse (in genere 3), che se non riescono a mettersi d’accordo sul giudizio complessivo dell’autore lo contattano per farselo dire. Ci sono anche dipendenti che controllano le recensioni mandate direttamente dai critici: magari uno di loro ha detto di considerare la sua recensione positiva, mentre in realtà è piena di giudizi negativi. Varis ha spiegato che è successo per esempio con una recensione di Alien: Covenant, che è stata quindi cambiata (e da “fresca” è diventata “marcia”).

Su Rotten Tomatoes c’è anche, per tutti i film principali, una frase che sintetizza l’opinione che hanno del film la maggior parte dei critici. Si chiama Critics Consensus e la scrive sempre Jeff Giles, dopo essersi letto le recensioni. Giles lavora al sito da 12 anni.

Ma quindi, si può dire se e quanta colpa ha Rotten Tomatoes?

In realtà si tratta perlopiù di opinioni espresse dai registi, e di ipotesi fatte da analisti (supportate dal fatto che spesso film “freschi” vanno bene). Ovviamente può anche soltanto voler dire che la gente va a vedere i film belli, e che il Tomatometer è affidabile proprio perché, mettendo insieme tante recensioni, capisce bene quali sono i film belli e quali no.

Negli ultimi giorni diversi siti statunitensi hanno ripreso un’analisi fatta da Yves Bergquist, un analista che guida un gruppo di ricerca dell’Entertainment Technology Center della ‘University of Southern California, e pubblicato su Medium a inizio settimana. Bergquist ha preso in esame i dati di incassi e il Tomatometer di oltre 150 film che nel 2017 hanno incassato più di un milione di dollari negli Stati Uniti, e di altre centinaia degli anni precedenti. Secondo i suoi risultati, non ci sono elementi per dire che Rotten Tomatoes abbia il potere di far andare male (o bene) un film; né prima né dopo Fandango. Ha però notato che, soprattutto negli ultimi anni, i gusti dei critici e quelli degli spettatori (su Rotten Tomatoes ci sono anche i voti degli spettatori) si sono avvicinati. Ha scritto: «Quando i dirigenti di Hollywood si lamentano di Rotten Tomatoes, si stanno in realtà lamentando dei gusti dei loro spettatori, perché sono praticamente la stessa cosa». In più, Bergquist ha notato che i critici stanno diventando meno critici: nel 2015 il Tomatometer medio dei film con un incasso di oltre 2 milioni di dollari era del 46,5 per cento (cioè: più della metà erano negative); nel 2017 è del 71 per cento (cioè: due su tre sono state positive).