Aung San Suu Kyi non parteciperà all’Assemblea Generale dell’ONU dove si parlerà anche delle violenze contro i rohingya

Proteste a Rabat contro Aung San Suu Kyi e la repressione dei rohingya in Myanmar, 8 settembre 2017 (FADEL SENNA/AFP/Getty Images)
Proteste a Rabat contro Aung San Suu Kyi e la repressione dei rohingya in Myanmar, 8 settembre 2017 (FADEL SENNA/AFP/Getty Images)

La ministra degli Esteri birmana Aung San Suu Kyi, leader del partito al governo del paese e premio Nobel per la pace, ha fatto sapere che non parteciperà all’Assemblea Generale dell’ONU in programma a New York dal 19 al 25 settembre dove si parlerà anche delle violenze contro la minoranza musulmana dei rohingya. L’annuncio è stato fatto dal portavoce di Aung San Suu Kyi poche ore prima che il Consiglio di Sicurezza si riunisse a porte chiuse per discutere di questa situazione. L’ONU ha calcolato che dopo un nuovo ciclo di repressioni iniziato alla fine di agosto, 370 mila rohingya siano fuggiti dal Myanmar in Bangladesh. Lunedì 11 settembre l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al-Hussein, ha parlato di «un classico esempio di pulizia etnica».

Aung San Suu Kyi è criticata da tempo per non essere ancora intervenuta per fermare la sanguinosa repressione contro una delle minoranze etniche più perseguitate al mondo. Lo scorso gennaio, durante il precedente ciclo di violenze, un gruppo di importanti politici e attivisti internazionali aveva scritto una lettera aperta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere la fine della crisi umanitaria, criticando in particolare Aung San Suu Kyi; ora che la situazione è tornata grave, fra migliaia di sfollati e decine di morti nella regione del Myanmar abitata dai rohingya, alcuni stanno chiedendo di ritirare il Nobel per la pace che la ministra degli Esteri birmana ha vinto nel 1991. I rohingya sono musulmani e vivono per lo più nello stato del Rakhine: sono poco più di un milione, in un paese dove la stragrande maggioranza delle persone è buddista.