I piani del governo sulle intercettazioni

Repubblica anticipa il contenuto di un decreto legislativo in arrivo: sarà vietato riportare i virgolettati integrali, solo riassunti

Andrea Orlando (Fabio Cimaglia / LaPresse)
Andrea Orlando (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Sulla prima pagina di Repubblica di oggi, venerdì 8 settembre, c’è un articolo in cui si anticipa che il ministro della Giustizia Andrea Orlando presenterà un decreto legislativo sulle intercettazioni in cui si prevede che nei provvedimenti dei magistrati non ci siano più citazioni integrali, cioè tra virgolette, delle conversazioni intercettate o di parti di esse, ma solo dei riassunti del contenuto. Si dice poi che sarà vietata anche la sola trascrizione di ascolti che riguardano persone casualmente coinvolte nelle indagini e che i colloqui tra un avvocato e il suo assistito non dovranno essere riportati nemmeno nei verbali della polizia.

Su Repubblica c’è la foto della prima pagina dello schema del decreto legislativo e si dice che il documento è stato «inviato in gran segreto ai più importanti procuratori italiani». Il decreto legislativo deriva dalla delega contenuta nella legge sulla riforma del processo penale approvata lo scorso giugno e in vigore dal 3 agosto. La legge stabiliva una delega per il governo che, dal momento dell’entrata in vigore, avrebbe avuto tre mesi di tempo per modificare alcuni aspetti del funzionamento delle intercettazioni telefoniche. La delega fissava alcuni “paletti” entro i quali decidere, che si possono leggere nei commi dall’82 all’85 del testo della legge e in cui si faceva soprattutto riferimento alla pubblicazione di intercettazioni ritenute irrilevanti ai fini delle indagini. Il decreto sembra però andare oltre i limiti stabiliti nella delega, poiché non riguarda solamente la garanzia della privacy delle registrazioni di chi finisce casualmente in un’indagine, ma è un vero intervento sull’uso stesso delle intercettazioni. Repubblica si chiede quindi se non si tratti di un “eccesso di delega” e scrive:

«Il decreto legislativo, prima del via libera del solo Consiglio dei ministri, passerà il vaglio consultivo delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. Da lì potranno arrivare critiche su un possibile eccesso di delega, perché con un decreto legislativo, e non con una legge, si tocca un meccanismo delicato della dinamica processuale. In mezza pagina, citando i relativi articoli del codice, il Guardasigilli cambia le attuali regole nell’uso delle intercettazioni che oggi vengono ampiamente citate nelle misure della magistratura. D’ora in avanti non sarà più così. Il decreto dispone “soltanto il richiamo al loro contenuto”».

Si spiega poi che proprio per una questione di tempi la riforma sulle intercettazioni non sarà analizzata da una commissione di esperti, come si era ipotizzato in precedenza, ma è stata inviata ai capi delle procure alcuni dei quali si erano già dotati di un codice di autoregolamentazione su questi temi. I codici delle procure di Roma, Torino e Napoli presentavano delle differenze tra loro, ma sostanzialmente stabilivano dei meccanismi più attenti per evitare la diffusione ingiustificata delle conversazioni. Il decreto di Orlando va però oltre anche quei codici. Scrive Repubblica:

«Recita l’articolo 3 del decreto: «È fatto divieto di riproduzione integrale nella richiesta (del pubblico ministero, ndr.) delle comunicazioni e conversazioni intercettate, ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto». La stessa frase viene ripetuta per le ordinanze del gip e per quelle del tribunale del riesame».

Nello Rossi, avvocato generale in Cassazione intervistato su Repubblica, spiega quale potrebbe essere il problema: «Ciò significa che il pm, il gip e il tribunale del riesame dovranno autonomamente esporre i contenuti delle conversazioni acquisite. Un pericoloso esercizio letterario che rischia o l’enfatizzazione o un’interpretazione riduttiva di conversazioni che sarebbero molto più chiare ed eloquenti se riportate integralmente». E ancora: «Se si ha presente che il gip non può appiattirsi sull’esposizione dei contenuti delle intercettazione fatta dal pm e che il tribunale del riesame, a sua volta, non può replicare meccanicamente quanto detto dal gip, si corre il rischio di tre parafrasi differenti della stessa intercettazione. Con buona pace della chiarezza necessaria alla prova».

Repubblica aggiunge poi che una serie di intercettazioni diventate molto famose – e che, dice, sono state in qualche modo utili per dare il contesto di una notizia, per quanto penalmente irrilevanti – non potranno più essere lette: «Sarebbe stato impossibile percepire l’humus criminale di cui si è alimentato il gruppo di Carminati senza quel pezzo di conversazione riportato nell’ordinanza di arresto del 2014. “È la teoria del mondo di mezzo, compà – spiega il Nero – Ci stanno i vivi sopra e li morti sotto e noi stamo ner mezzo… Ce sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano”».

Il decreto conterrebbe poi altre novità: una pena fino a 4 anni per chi, «al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine», riprende o registra un colloquio privato; una maggiore tutela delle conversazioni tra l’imputato e il suo difensore e un limite nell’uso dei cosiddetti “captatori informatici” che permettono di utilizzare un cellulare come un registratore. Il decreto Orlando li prevederebbe in caso di reati gravi come delitti di mafia e di terrorismo, ma li escluderebbe per i reati di corruzione. Le intercettazioni mediante i virus informatici dovranno infine seguire le stesse regole che regolano l’autorizzazione delle intercettazioni classiche: il magistrato dovrà motivare le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice e gli elementi raccolti non potranno «essere utilizzati per la prova di reati, anche connessi, diversi da quelli per cui è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza».